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Economia / Opinioni

Perché puntare al patrimonio mafioso

La legge 109 sui beni e le aziende confiscate compie 20 anni. Una ricerca spiega dove e come investe la criminalità organizzata

Tratto da Altreconomia 185 — Settembre 2016

“Tutto quanto rappresenta per la mafia  il possesso di un bene, denaro, ricchezza  e capitale, diventa potere e prestigio. Il bene diviene simbolo del controllo del  territorio perché serve a ricordare continuamente alla comunità locale la presenza dei proprietari ed il potere che sanno esercitare. Occorre spezzare il legame esistente tra  il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. Così scriveva Pio La Torre, sindacalista e parlamentare del Pci, nonché autorevole membro della Commissione parlamentare antimafia, nel 1982, poche settimane prima di essere assassinato da un commando mafioso. Questo pensiero è stato riportato in apertura della ricerca intitolata “Dove investe la criminalità organizzata”, curato da Cgil Lombardia e Centro Studi Saveria Antiochia.

Lo studio è stato presentato il 7 luglio a Bruxelles, presso la sede del Comitato delle Regioni, dove si è svolta la conferenza finale del progetto ICARO, durato un anno e mezzo e finanziato dall’Ue al fine di contribuire alla conoscenza della tematica dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata e al loro riutilizzo sociale, secondo le norme previste dalla legge italiana 109/1996.

Sono stati 53 i latitanti pericolosi catturati nel corso del 2015, secondo i dati del ministero dell’interno. Nel giugno del 2016, in Calabria è stato arrestato Ernesto Fazzalari, boss della ‘ndrangheta, latitante da 20 anni, ritenuto il secondo ricercato più pericoloso dopo il boss di cosanostra, Matteo Messina Denaro

La ricerca -curata tra gli altri dalla professoressa dell’Università di Bologna Stefania Pellegrini- aiuta a comprendere le strategie di investimento delle “mafie-imprese” nell’economia legale, quali interessi e settori di attività esse perseguono in un determinato territorio, quali specifiche modalità operative esse mettono in atto. Se l’obiettivo principale dell’impresa mafiosa è la massimizzazione del consenso sociale, i settori favoriti sono la grande distribuzione (supermercati e negozi), l’agricoltura e l’edilizia, attività che facilitano la disponibilità di posti di lavoro, a partire da amici, parenti e soggetti vicini all’organizzazione. Visibilità e prestigio sociale sono garantiti meglio da ristoranti, alberghi e locali notturni. Il controllo del territorio spinge a privilegiare attività con una distribuzione capillare, come ad esempio il settore turistico, la ristorazione e la grande distribuzione. La ricerca mette in luce come la forma societaria delle imprese confiscate non sia la stessa tra i territori del Sud e quelli del Nord. Ad esempio, in Calabria il 45% di aziende confiscate risultano essere imprese individuali, perché prevale la volontà di mantenere un controllo diretto ed interno sulle aziende. In Lombardia -dove la ‘ndrangheta è oggi la mafia più presente- il 49% sono Società a responsabilità limitata, perché ritenute il miglior compromesso tra l’agilità di costituzione e gestione, e le esigenze di occultamento dell’identità criminale, grazie alla frammentazione del capitale tra soggetti diversi.

Il riutilizzo legale e sociale di aziende sequestrate e confiscate, buona parte delle quali attualmente risultano ferme o fallite, può e deve diventare un pilastro portante della lotta alle mafie e alla corruzione nonché strumento di rilancio dello sviluppo economico e sociale. Perché ciò si realizzi serve non solo modificare l’attuale normativa, ma altresì implementare l’azione di un “imprenditore collettivo”, come l’ha definito Nando dalla Chiesa al convegno di Icaro, vale a dire la messa in rete di soggetti, competenze, intelligenze presenti in un determinato territorio. Se le mafie sono forti è anche perché sono organizzate. L’antimafia non può fare diversamente.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it

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