Cultura e scienza / Approfondimento
La pandemia di Covid-19 e la salute dell’ambiente
La pressione del nostro modello di sviluppo, i cambiamenti climatici e le degradazioni ambientali contribuiscono ad agevolare la diffusione di malattie e la trasmissione dei virus. Che cosa dovrebbe insegnare quanto avvenuto al “mercato bagnato” di Wuhan
La pandemia da Covid-19 avrebbe preso il via dal “mercato bagnato” (Wet market) di Wuhan, in Cina, uno dei numerosi luoghi di commercio di animali di ogni tipo (da allevamento e selvatici), che vengono uccisi vivi di fronte al cliente e venduti “freschi”. Come in altre parti del mondo, la vendita di carne di animali selvatici in Cina è molto comune e offre opportunità lavorative alla vastissima popolazione rurale del Paese. I rischi per la salute pubblica, però, sono elevati. Lo sa bene Zhou Jinfeng, direttore della China’s biodiversity conservation and green development foundation, che ha chiesto più volte il divieto di vendita e sfruttamento di animali selvatici e la chiusura dei mercati dove vengono venduti. Covid-19, del resto, è una malattia infettiva sorta dall’intreccio di promiscuità uomo-animali. Non sarebbe la prima volta. La comunità scientifica mostra infatti che l’origine di malattie infettive come la SARS (2003) e l’Ebola (2014) è simile: la prima sembra essere iniziata da un “wet market” in Cina, la seconda dai mercati di carne selvatica nell’Africa Occidentale.
Le malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo sono le zoonosi. Un saggio del 2001 pubblicato sulla rivista scientifica inglese Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences dà conto del fatto che più del 75% delle malattie infettive umane vengono trasmesse all’uomo dagli animali (selvatici e domestici). La rivista scientifica The Lancet illustra chiaramente in un articolo la relazione tra animali, ambiente e uomo: “La trasmissione di agenti patogeni -cioè agenti biologici responsabili dell’insorgenza di malattie in un organismo, ndr– all’uomo da altre specie è un prodotto naturale della nostra relazione con animali ed ambiente. La comparsa delle zoonosi può essere considerata una logica conseguenza dell’evoluzione, visto che i microbi trovano sempre altri organismi su cui attaccarsi”.
Tuttavia, si legge ancora sulla rivista, la mediazione della zoonosi negli ultimi anni non è stata “naturale” ma nei fatti “alterata” da azioni umane come lo sfruttamento della terra, l’estrazione di risorse naturali, l’industria della carne, i moderni sistemi di trasporto, l’utilizzo di antibiotici, ed il commercio globale. La SARS, l’Ebola, l’HIV sono tutte patologie virali zoonotiche e soprattutto dimostrate essere riconducibili a fattori antropocentrici: questo potrebbe essere il punto.
Un ulteriore esempio, con le dovute differenze, arriva dagli Stati Uniti. La borreliosi di Lyme è una patologia di origine batterica sviluppatasi negli USA nel 1975. Prende il nome dalla cittadina di Lyme, nel Connecticut, in cui furono segnalati i primi casi. Uno studio del 2004 ha dimostrato come in questa regione statunitense deforestazione, riforestazione e la frammentazione degli habitat naturali da parte dell’uomo, abbia cambiato la popolazione di prede e predatori causando una nuova zoonosi, appunto la “nuova” patologia di Lyme. Stessa cosa è accaduta in Tibet dove una zoonosi è stata dimostrata essere direttamente causata dall’eccessivo sfruttamento della terra a causa dei pascoli intensivi. Oppure nelle regioni tropicali dove i cambiamenti dell’utilizzo della terra sono stati responsabili della diffusione di patologie come la malattia di Chagas, la febbre gialla e la leishmaniosi.
L’azione dell’uomo si è spinta fino alla distruzione di ecosistemi che fino a quel momento non erano mai stati toccati, come le foreste primarie. Infatti, sempre la rivista The Lancet in “Ecologia delle Zoonosi: storia naturali ed innaturali” (2012), ha posto in evidenza che lo sfruttamento e la distruzione di foreste primarie (ricchissime di fauna e flora e nuove popolazioni batteriche e virali) conduce l’uomo a venire in contatto con nuovi virus. Questo ponte comunicativo aumenta il rischio di nuove zoonosi e quindi di nuove malattie infettive alle quali non è detto che si sia preparati. Sono evidenze approfondite da tempo. Uno studio del 2008 pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha analizzato infatti 335 malattie infettive dal 1940 al 2004. I risultati confermano che l’origine di quelle malattie infettive sia principalmente legata a ragioni socio-economiche, ambientali ed ecologiche. Come se la comparsa delle patologie prese in esame fosse anche un prodotto dei cambiamenti antropogenici e demografici, un costo “celato” dello sviluppo economico umano.
È anche per queste ragioni che dall’inizio del nuovo millennio si parla di “One Health Approach” (letteralmente “Un unico approccio alla salute”). Questo concetto di salute si focalizza sulla relazione e interconnessione fra gli uomini, gli animali e l’ambiente, e riconosce che la salute ed il benessere degli umani siano intimamente connessi alla salute degli animali e dell’ambiente (e viceversa). Materiale utile per i decisori politici. Non più tardi di tre anni fa questa “comune responsabilità” nella salvaguardia dell’ambiente e quindi della salute era stata al centro di un summit tra i ministri della Salute dei Paesi membri dell’Unione europea e il direttore generale dell’OMS per l’Europa. Sappiamo come è andata.
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