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Oltre il Colosseo

Dopo che un’assemblea sindacale ha chiuso per qualche ora l’antiteatro romano, il governo ha decretato che musei e luoghi di cultura rappresentano un servizio pubblico essenziale. Abbiamo chiesto allo storico dell’arte Tomaso Montanari di aiutarci a tracciare i contorni di questa "inclusione", fondati sulla lettura della Costituzione. La parola d’ordine è accessibilità

“Se davvero il patrimonio rappresenta un servizio pubblico essenziale, secondo le indicazioni del governo, contenute nel decreto approvato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, è opportuno definire le caratteristiche di questo servizio” dice Tomaso Montanari, storico dell’arte, curatore del libro “Rottama Italia” di Altreconomia edizioni, editorialista del quotidiano la Repubblica.
Nel fine settimana i media hanno vivisezionato le ragioni dell’apertura ritardata del Colosseo, venerdì scorso, per permettere ai custodi di partecipare a un’assemblea sindacale, hanno dato voce ai turisti indignati rimasti per tre ore in attesa di fronte ai cancelli del monumento; e hanno preso per un dato di fatto la decisione di disciplinare l’apertura di “musei e luoghi di cultura” (così il comunicato stampa del governo, al termine del consiglio dei ministri) con la legge 146 del 1990 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Ci si è concentrati sulla forma, ma non c’è stato il tempo (il decreto deve ancora essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) per studiare le “conseguenze” di una inclusione dei musei tra i servizi pubblici essenziali. Abbiamo chiesto a Montanari di farlo: “Dobbiamo considerare innanzitutto la categoria dell’accessibilità, che decliniamo in vario modo. C’è, intanto, quella materiale: il patrimonio dev’essere aperto, con orari definiti e certi; tanto nelle biblioteca quando nei musei, nelle chiese e nel patrimonio diffuso. Questa ‘certezza’, però, non sempre oggi è reale: e a far sì che questo ‘diritto’ sia limitato è la povertà di mezzi e di personale.
Viene poi -continua Montanari- l’accessibilità in senso sociale: se è vero che canone di pagamento delle prestazioni sanitarie dipende dal reddito, certo con mille problemi ed inefficienza, allora lo stesso criterio potrebbe essere applicato al patrimonio.
Credo però che come si entra gratis in biblioteca si potrebbe entrar gratis nei musei, il che eliminerebbe anche alla radice buona parte dei problemi legati alla privatizzazione dei servizi accessori, come biglietteria e book shop.
La sostenibilità economica di una opzione del genere riguarda le scelte dell’esecutivo e la legge di Stabilità: il patrimonio culturale dev’essere sostenuto, e invece è definanziato criminalmente da decenni. Se il patrimonio è un servizio pubblico essenziale, perché l’Italia dedica al ministero dei Beni culturali appena lo 0,6% del PIL? Le nostre tasse devono andare a sostenerlo” dice Montanari, che punta infine l’accento sul tema dell’accessibilità culturale, “che è quella a cui tengo di più: qual è l’apparato didattico dei nostri musei? Il patrimonio è parte di un progetto di ‘inclusione’, che passa attraverso un’alfabetizzazione? No, non esiste alcun progetto in questa direzione”.

La precondizione per fare del patrimonio un servizio pubblico essenziale è però che il patrimonio esista, aggiunge lo storico dell’Arte fiorentino, che insegna all’Università di Napoli: “È crollato il tetto della Chiesa di San Francesco, a Pisa (la scoperta è avvenuta il giorno 17 settembre, ndr), ma non ho letto un Tweet del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, per affermare che ‘la misura è colma’, com’è avvenuto a seguito dello sciopero annunciato dei custodi del Colosseo”.

Dire che la fruizione del patrimonio rappresenti un servizio pubblico essenziale ha poi una connotazione ulteriore se vista dal punto di vista del ricercatore, dello studioso: Se una biblioteca chiude, per carenza di personale, o non garantisce tempi adeguati per la ‘presa’ dei libri (il servizio di prestito, ndr), potrò far causa al ministero dei Beni culturali, come faccio oggi se non vengo curato in modo adeguato in un ospedale?” si chiede Montanari.

E non è un esempio lontano dalla realtà: in un post sul suo blog dedicato all’articolo 9 della Costituzione sul sito di Repubblica, Montanari ha pubblicato due foto recenti, “cartelli" apparsi sulle porte della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (la più importante d’Italia) e dell’Archivio di Stato di Roma, che evidenziano l’impossibilità di rispettare gli orari di apertura al pubblico. “Questo è il punto. Le biblioteche chiudono e gli archivi sono memoria del passato e laboratorio di futuro. Chiuderle è come chiudere le arterie che portano sangue al cervello della nazione -dice Montanari-. Ma Franceschini non urla, non chiede decreti d’urgenza, non twitta. Perché? Perché il colpevole è lui. E dunque via con l’ennesima arma di distrazione di massa, la caccia alla strega sindacale”.

Perché l’indignazione del ministro dei Beni culturali è alta solo quando il monumento non fruibile è un blockbuster, come Pompei e il Colosseo? Che idea prevale nella gestione del patrimonio? Conta solo il "danno d’immagine" verso i turisti, o c’è anche un comunità scientifica che critica il rapporto tra l’Italia e i suoi monumenti, musei, beni storici, archeologici ed architettonici?
“Non è mai passata l’idea costituzionale che il diritto al patrimonio sia un diritto essenziale della persona, e che esso serva ad attuare l’articolo 3 (uguaglianza sostanziale e pieno sviluppo della persona umana). Franceschini parla di servizio essenziale, ma intende dire ‘show must go on’. Il patrimonio entra nella narrazione renziana solo con riferimento a quella decina di musei e monumenti redditizi. Stiamo davvero toccando il fondo, sul piano culturale e civile. Dire, come fa Franceschini, che questo grottesco decreto d’urgenza applica l’articolo 9 fa rivoltare nella tomba i nostri costituenti. L’idea che la Costituzione si applica mettendo un diritto contro l’altro è pura barbarie.
La cultura (e non solo il turismo blockbuster, che ne è solo una parte: e non la più feconda sul piano civile) è davvero un servizio essenziale, ma non è negato da qualche assemblea sindacale bensì dalla politica bipartisan dei governi degli ultimi 30 anni. Il patrimonio culturale è chiuso per alto tradimento della classe politica”.

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