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Esteri / Intervista

“Oggi a Gaza l’intervento umanitario è un’illusione”

La struttura rifugio di Medici Senza Frontiere colpita dall'esercito israeliano a Khan Younis tra il 20 e il 21 febbraio 2024 © Mohammed Abed

Stefano Di Carlo, direttore generale Medici Senza Frontiere Italia, denuncia l’impossibilità per gli operatori di fornire assistenza alle persone vittime degli attacchi, data l’assenza delle condizioni minime per operare. Il 21 febbraio un rifugio dell’organizzazione umanitaria è stato colpito dall’esercito israeliano

“Riunione dopo riunione, risoluzione dopo risoluzione, questo organismo non è riuscito ad affrontare efficacemente questo conflitto. Abbiamo visto i membri di questo Consiglio deliberare e indugiare mentre i civili morivano. Questa morte, questa distruzione e questo sfollamento forzato sono il risultato di scelte militari e politiche che ignorano palesemente le vite dei civili. Queste scelte avrebbero potuto, e possono ancora, essere fatte in modo molto diverso”.

È stato un discorso duro quello che Christopher Lockyear, segretario generale di Medici Senza Frontiere, ha tenuto il 22 febbraio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in cui ha esortato gli Stati a chiedere un cessate il fuoco immediato e duraturo nella Striscia di Gaza unitamente alla protezione inequivocabile delle strutture mediche, del personale e dei pazienti.

Appena 48 ore prima due donne -la moglie e la nuora di un membro dello staff dell’organizzazione umanitaria- erano state uccise e altre sei persone erano rimaste ferite dopo che un carro armato aveva colpito un rifugio di Msf ad Al-Mawasi, nei pressi di Khan Younis. Nella struttura al momento dell’attacco c’erano 64 persone. “Quando operiamo in contesti di conflitto mettiamo in atto una serie di comportamenti per tutelare la sicurezza delle persone segnalando chiaramente i luoghi in cui viviamo e ci rifugiamo, proprio per evitare di essere attaccati -spiega ad Altreconomia Stefano Di Carlo, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia-. Avevamo comunicato le coordinate gps del rifugio alle parti in conflitto e avevamo fatto in modo di rendere chiaramente riconoscibile l’edificio: c’era una bandiera di Msf di due metri per tre”.

Di Carlo, questo però non è bastato a scongiurare l’attacco.
SDC Purtroppo no. E non solo il rifugio è stato colpito da un proiettile di carro armato, un fatto di per sé preoccupante, ma è stato successivamente attaccato con altre raffiche di arma da fuoco. Non è stato un colpo solo, dunque. E questo ci riporta alle difficoltà di portare avanti un’azione umanitaria che di fatto è un’illusione.

Posso chiederle di spiegare meglio che cosa intende?
SDC Ci stiamo illudendo che sia in atto un intervento umanitario, ma in realtà equivale ad applicare un cerotto su un arto amputato. Non sta funzionando e non funziona perché ci sono problemi di accesso -non si riescono a portare aiuti umanitari e materiali sanitari nella Striscia- e di sicurezza: non ci sono le condizioni minime per lavorare. Le strutture sanitarie effettivamente attive a Gaza oggi si contano sulle dita di una mano e nonostante il grande impegno del personale medico locale che è ancora presente non riescono a dare risposte adeguate. Se venisse emanato un ordine di evacuazione dall’esercito non sapremmo dove andare né sapremmo dove portare i pazienti: stiamo solo dando l’impressione che esista una risposta umanitaria.

Questo vi ha portati a interrogarvi sul senso della vostra presenza a Gaza?
SDC Si, è una situazione che ci ha portato a interrogarci. Nell’audizione al Consiglio di sicurezza dell’Onu, Lockyear ha ribadito che oggi l’intervento umanitario a Gaza è un’illusione. Eppure tutti gli attori coinvolti hanno evitato di mettere in atto un’azione politica per gestire il conflitto e ridurre le sofferenze della popolazione civile. Le azioni militari sono andate avanti per mesi in mancanza di aiuti umanitari e abbiamo visto in maniera chiarissima come le leggi del diritto umanitario internazionale siano state totalmente ignorate. Al punto che oggi sembrano insignificanti.

Non è la prima volta che nella Striscia di Gaza il personale e i mezzi di Msf vengono colpiti, così come le strutture sanitarie. Continuerete a operare?
SDC Sì, continueremo a farlo. L’azione di Medici Senza Frontiere ha due facce: quella medico-sanitaria e quella di testimonianza. Come ha ribadito anche il segretario generale, fino a quando potremo operare noi resteremo lì, perché parte della nostra mission è portare al resto del mondo le voci di chi è coinvolto nei conflitti. Non dobbiamo poi dimenticare che molti nostri colleghi sono palestinesi e non hanno scelta.

Quali sono oggi i principali bisogni sanitari della popolazione?
SDC A Gaza siamo all’anno zero, manca praticamente tutto. Non abbiamo capacità di rispondere adeguatamente alle esigenze delle vittime dirette del conflitto: stiamo parlando di migliaia di persone che hanno subito un trauma per un bombardamento, per un colpo d’arma da fuoco o per essere rimasti sotto le macerie di un edificio crollato che necessitano di intervento chirurgico e di una presa in carico post-operatoria. Abbiamo problemi di approvvigionamento che vanno dall’acqua ai materiali medici e c’è grande preoccupazione per quanto riguarda la capacità di garantire un fabbisogno nutrizionale adeguato alla popolazione. A tutto questo si aggiunge il rischio di trasmissione di malattie infettive, che è elevatissimo in un contesto sovraffollato come quello di Rafah dove sono ammassate 1,5 milioni di persone in un’area estremamente ristretta.

Quando si arriverà a un cessate il fuoco, quali saranno le conseguenze a lungo termine del conflitto sulla popolazione e la sua salute?
SDC Il discorso potrebbe essere molto ampio. Ricordiamoci che stiamo parlando di una comunità che è stata colpita da una guerra particolarmente intensa e dove il numero di feriti è estremamente elevato (oltre 70mila al 26 febbraio secondo le stime fornite dal ministero della Sanità di Gaza, ndr): negli anni a venire molti di loro avranno bisogno di anni di riabilitazione e alla luce della situazione delle infrastrutture ci chiediamo come potremo assicurare sostegno in tempi brevi a tutti gli uomini, le donne e i bambini che portano sul proprio corpo le ferite della guerra.

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