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Nucleare addio: per l’ONU è tempo di “disarmo”
Al Palazzo di vetro di New York dal 27 al 31 marzo al via i negoziati di un Trattato vincolante per mettere al bando le armi nucleari: è un momento storico, per il superamento del fallimentare Trattato di non proliferazione, cui l’Italia -per il momento- ha scelto di non partecipare. Anche se il Paese ospita ordigni nucleari USA, nessun esponente del nostro esecutivo parteciperà alla discussione
È la prima volta che si arriva a discutere un Trattato vincolante per mettere fuori legge le armi nucleari, sotto l’auspicio delle Nazioni Unite. Per questo, la data del 27 marzo 2017, cioè il giorno in cui i negoziati per definirne i contenuti vengono avviati presso il quartier generale ONU a New York, è da considerarsi storica. Dopo questa prima sessione di 5 giorni (fino al 31 marzo), ce ne sarà anche una seconda, già in programma, dal 15 giugno al 7 luglio prossimi.
Se oggi è possibile ipotizzare un “Nuclear Ban”, una messa al bando che riguarderebbe non solo le testate attualmente in possesso di nove Stati (come mostra l’infografica qui sotto), ma anche lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma, ciò si deve anche all’azione di pressione dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), che dal 2007 ha spinto la riflessione “disarmista” anche oltre il conclamato fallimento del Trattato di non proliferazione. In vigore dal 1968, non è riuscito a fermare la corsa al riarmo, come riassunto nelle parole di Luigi Mosca, fisico italiano naturalizzato francese, già direttore del “Laboratoire Souterrain de Modane” (uno dei più qualificati laboratori per lo studio della fisica delle particelle subatomiche) e attivista dell’associazione francese Armes Nucléaires Stop: “Il TNP – aveva spiegato ad Altreconomia nel 2015 è riuscito ad evitare la proliferazione, poiché, dal 1968 altri 4 Stati si sono dotati di armi nucleari”. Sono India, Pakistan, Israele e Corea del Nord, che si sono aggiunti ai Paesi che già ne detenevano prima del ’68, e cioè Usa, Russia, Regno Unito, Francia e Cina.
“Questo Trattato finalmente metterà al bando armi che sono progettate per uccidere in modo indiscriminato civili; verrà così completato il processo di proibizione di tutte le armi di distruzione di massa” sottolinea Beatrice Fihn (direttrice della campagna ICAN, che vede come membri italiani Rete Disarmo e Senzatomica).
Alla sessione del 27 marzo si è arrivati grazie al voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che con il sostegno di più di 120 Paesi (ma non dell’Italia) ha approvato e confermato la decisione di procedere a negoziati su questo Trattato, presa nell’ottobre 2016 in seno al Primo comitato sul disarmo.
L’azione decisa a livello ONU è la conseguenza di una serie di conferenze internazionali che hanno raccolto dati e indicazioni stringenti sul costo umanitario inaccettabile di qualsiasi uso di armi nucleari, e sul ruolo che la proibizione di tali ordigni avrebbe nel rafforzare la legge umanitaria internazionale. In base al documento di convocazione, ci si aspetta che il Trattato impedisca legalmente agli Stati che decideranno di sottoscriverlo di utilizzare, possedere e sviluppare armi nucleari, e di assistere altri Paesi in questa attività. Il nuovo strumento internazionale funzionerà in armonia con l’esistente regime di accordi sulla non proliferazione e disarmo nucleare, mettendo a disposizione degli Stati un metodo e un percorso per adempiere ai propri obblighi di disarmo.
Nonostante la presenza di testate nucleari nel nostro Paese, il governo italiano sarà tra gli assenti a New York: a meno di sorprese, l’esecutivo guidato dall’ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni non parteciperà ai negoziati, allineandosi a quei Paesi (della Nato o sotto l’”ombrello nucleare” Usa) che si sono opposti alla Risoluzione di convocazione.
Secondo un comunicato di Rete Disarmo, “l’Italia rischia così di vanificare la possibilità di un ruolo attivo e positivo in questo processo, in quanto per la sua situazione geopolitica e per l’essere un Paese ospitante armi nucleari statunitensi potrebbe invece fungere da mediatore positivo”, fino a “spingere i propri alleati Nato a considerare concretamente la strada verso il disarmo nucleare”.
Nelle ultime settimane, per sottolineare la pericolosità legata agli ordigni nucleari presenti sui propri territori, attivisti di Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi hanno dimostrato davanti alle basi che li ospitano ad Aviano e Ghedi (Italia), Kleine Brogel (Belgio), Büchel (Germania) e Volkel (Paesi Bassi).
Il Trattato in discussione avrà in ogni caso un impatto anche sugli Stati che decideranno di non partecipare ai negoziati, poiché imposterà norme internazionale di comportamento e contribuirà a cancellare il prestigio politico associato al possesso di armi nucleari.
“Per tutti questi motivi noi continuiamo a fare appello al Governo italiano, a cui abbiamo scritto nelle scorse settimane senza ottenere risposte, affinché cambi la propria posizione e si allinei con le nazioni che vogliono concretamente il disarmo nucleare, non solo a parole -commenta Lisa Clark, co-presidente dell’International Peace Bureau e coordinatrice per il disarmo nucleare di Rete Disarmo-. Abbiamo bisogno di coraggio e che il nostro Paese riprenda quella leadership internazionale per il disarmo che ha già svolto in passato su altre tipologie di armamenti. L’alternativa sarebbe quella di seguire la dottrina del nuovo presidente Trump, che ha già dichiarato di voler addirittura aumentare l’arsenale nucleare”.
Gli Stati Uniti hanno convocato una conferenza stampa di protesta contro negoziati all’ingresso del Palazzo di Vetro, poco dopo l’inizio della sessione. L’Italia ha davvero intenzione di scendere in piazza a fianco dell’amministrazione di Donald Trump?
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