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Ambiente / Opinioni

Non chiedo la Luna: chiedo solo una transizione equa e ad alto rispetto ecologico

© Karel - Unsplash

Suoli sani, boschi, aree agricole e biodiversità non devono pagare il prezzo dell’urgente decarbonizzazione del sistema energetico. Un conto è ridurre la burocrazia, un altro è tagliare le valutazioni di impatto ambientale, producendo ingiustizie e continuando nel solco di un modello distruttivo. Il dibattito sulle “aree idonee” per l’installazione delle rinnovabili continua

Ben venga un dibattito sul tema delle “aree idonee” per le rinnovabili e quindi ringrazio Nicola Armaroli per aver inviato, a nome di Energia per l’Italia, un testo in reazione al mio intervento. Risponderò punto per punto per aiutare il lettore a non perdersi.

Prima però voglio di nuovo ricordare che non sono mai stato contrario alla transizione energetica verso le rinnovabili. Semmai sono contrario alla deregolazione con la quale fino a oggi si è gestita la partita della localizzazione degli impianti solari e delle pale eoliche.

Il mio mestiere è tutelare e dare voce a suolo, ecosistemi e paesaggio e queste norme stanno imbavagliando gli ecosistemi. La deregolazione che propongono mi preoccupa sia per gli impatti ambientali verso il suolo, le specie animali, l’agricoltura, la biodiversità e sia per il costante irrobustimento di quell’approccio culturale che vede nella natura una risorsa da continuare a sfruttare, supporto e nulla di più, qualcosa a nostro indiscutibile servizio. Ancor più aberrante quando la pretesa d’uso della natura avviene in nome di una qualche emergenza, distorsione che in Italia conosciamo bene e che spazza via ogni capacità di ragionare e migliorare perché, furbescamente, mette davanti l’emozione alla ragione, mandando in pappa qualsiasi ragionamento.

Vengo al testo di Armaroli. Non so chi abbia scritto quel virgolettato sulla scuola ma non c’entra nulla, metodologicamente parlando. Già perché una volta che realizzo una pala eolica ho già espropriato la terra a qualcuno, ho già consumato suolo, ho già fatto immensi movimenti terra e spianato sentieri trasformandoli in strade camionabili. Quindi non potrò migliorare tutto ciò durante il tempo di vita e funzionamento della pala. Semmai potrò migliorare la tecnologia con la quale funziona. Ma nulla di ecologico che riguarda l’ambiente potrò ripristinare durante la vita della pala. Quell’esempio confonde il contenitore con il contenuto e non aiuta il ragionamento. Convincerci che prima faccio urgentemente le cose come posso (“meglio così che nulla”) e poi si migliorerà, è un vecchio adagio che non ha mai funzionato.

Veniamo al contestato “errore clamoroso e devastante”. Vorrei che fosse chiaro a tutti che l’errore potrebbe essere anche quello di spazzare via terre ed ecosistemi alla spicciolata (visto che il decreto permette questo, come ho spiegato), senza pensare alle conseguenze a partire dalla riduzione della produzione cibo (perché gli stessi criteri del ministero ammettono questa evenienza anche nel caso dell’agrivoltaico) con conseguente aumento del condizionamento dalla produzione estera e con buona pace della scomparsa di aziende agricole (e dei loro posti di lavoro).

Perché non dovrebbe essere un errore clamoroso e devastante privarsi di criteri davvero sostenibili ed equi per decidere le aree idonee? Purtroppo sul sito di Energia per l’Italia non ne ho trovate, ma se sono stati stilate, ben vengano: mostratecele e discutiamone. Se non lo sono, il mio appello da tempo che rivolgo agli energetici rinnovabili è di non perdere tempo e definirle insieme a tutte quelle altre discipline coinvolte, dall’agraria, alla sociologia, alla ecologia, al governo del territorio, etc. Peccato non abbiano raccolto gli allarmi mio e di altri che da tempo solleviamo: si sarebbe potuto guadagnare tempo ed evitare questa ingiusta transizione energetica che forse risolverà un po’ il problema energetico (chissà), ma al prezzo di ingiustizie e impatti ecologici, sociali e paesaggistici non irrilevanti.

Vengono citati molti Paesi esteri ma sarebbe stato utile portare all’attenzione del lettore i criteri localizzativi più innovativi ed ecologicamente protettivi di quei Paesi. Dato che siete del settore, perché non ce li mostrate? Così abbiamo modo di apprendere e pure migliorarli.

Tralascio la caduta di stile nell’uso dell’aggettivo “contadina” per riferirsi a qualcosa di negativo. Ringraziamo i contadini che ancora fanno con piena dignità il loro mestiere contrapponendosi a una agricoltura industriale sempre più insostenibile e nociva. Viva la vera mentalità contadina.

Si parla di Regioni ammorsate dalla siccità. Vero. Tra queste si citano la Sardegna e la Sicilia. Vorrei soffermarmi sul fatto che l’iniquità della attuale transizione non solo non prevede nessun beneficio per gli abitanti di quelle Regioni (pagano la bolletta come un abitante in centro a Milano), ancor più per gli abitanti delle zone dove vengono sottratte terre per quegli impianti, ma non è provato da nessuna parte che grazie a quegli impianti gli effetti della siccità saranno attenuati. Perché semplicemente non lo saranno e non vorrei che il lettore fosse tratto in inganno per un momento. Quella siccità, terribile, è il prodotto complesso di un modello di sviluppo che da decenni ci distrugge, che rapina terre e risorse, che sfrutta le parti più deboli e molli dei Paesi, che propone agricolture insostenibili, che sfrutta ogni pertugio possibile per fare speculazione, che finanziarizza qualunque cosa (anche l’energia rinnovabile che si produrrà e che stiamo dando in mano a migliaia di operatori scomposti che inseguono il proprio profitto e non certo alcun criterio di equità, tranne pochi casi), che usa il marketing per convincere chiunque a consumare (sono esempi presi dalla Laudato Si’, per dire una fonte molto molto più autorevole di me).

Quindi ridurre il tutto all’equazione più pale meno siccità è quanto meno fuorviante e non rende giustizia della complessità che abbiamo davanti e che dobbiamo e possiamo affrontare assieme.

Vengo al coraggio. Il mio è senza dubbio quello di usare il pensiero critico per disvelare che non tutto quello che si presenta per rinovabile è sostenibile. L’ho fatto scrivendo vari articoli su questa testata e soprattutto uno di questi è l’esito di una lunga rassegna bibliografica di studi scientifici che hanno ampiamente dimostrato che i suoli subiscono impatti importanti per via della pannelizzazione (quella agrivoltaica un po’ meno, ma non zero).

La cosa preoccupa talmente gli scienziati che hanno proposto di rivedere i criteri di localizzazione e gestione degli impianti da un lato e di prevedere un accantonamento finanziario per il ripristino ecologico e non solo per lo smantellamento (ma in Italia nessuno dei due è previsto). Se Energia per l’Italia ha evidenze scientifiche che smontano quelle che io ho portato su suolo e biodiversità, le mostri. E ne parliamo.

Il “ben misero prezzo da pagare” è una frase certamente a effetto che risponde più o meno come la temperatura media del corpo secondo Charles Bukowski: si può ottenere mettendo la testa in freezer e il sedere nel forno. Gli effetti però sono devastanti. Voglio dire che se il “misero” prezzo da pagare lo facciamo pagare a chi è già misero, fragile e sfruttato da sempre (penso al caso sardo soprattutto, ma anche all’entroterra pugliese o siciliano), tanto misero non è, ma anzi gravido di iniquità e sofferenza perché molti pastori e agricoltori sardi scompariranno.

Non mi risulta che nessuna compagnia energetica (o di installazione pale e pannelli) stia offrendo loro un posto di lavoro in compensazione, ammesso che sia accettabile questo scambio. Pertanto, anche il “volàno occupazionale” è tutto da dimostrare e, soprattutto, da capire come regge una volta calato a terra (ovvero dove aumenta l’occupazione rispetto a dove vengono sottratte le terre).

Sul fatto che i pannelli siano assolutamente a impatto zero ho già scritto e rimando a quegli articoli che trovate sempre su Altreconomia. Il suolo riceve impatti: punto. Cionondimeno vi è un impatto relativo a costruzione e trasporto traducibile in emissioni, ma lascio a voi il calcolo. Riguardo il consumo diretto di suolo mi permetto di dire che le cose non stanno proprio come scritto da Armaroli perché i plinti delle pale sono grandi e i sistemi di ancoraggio dei pannelli non sono indolore e in ogni caso richiedono pretrattamenti a terra come eradicazione vegetazionale, dispersione erbicidi, movimento terre, etc. Ma anche di questo ho scritto e trovate tutto.

In ogni caso sappiate che per portare i conci di una pala eolica sulle cime di colline e montagnole, le stradine vengono allargate di tre volte (o più), compattate, a tratti asfaltate, risagomate. E questo per chilometri e non per una decina di metri. Idem per la preparazione del sito di ancoraggio. Idem per i cavidotti chilometrici. Impattano anche i numerosi viaggi per trasportare acciaio e cemento.

Capisco che nella contabilità affrettata della transizione energetica non interessa nulla tutto ciò, ma oggi non ha nessun senso vedere una partita dissociata dalle altre. E aggredirci tra noi.

Oggi la transizione energetica deve avvenire assieme a quella ecologica e non “perdinci” facendo pagare sempre qualcosa al più debole, che è poi la natura e le piccole comunità. Lasciate perdere la Cina, siamo in Europa e abbiamo sulle spalle una storia di sfruttamento delle risorse naturali enorme dalla quale stiamo uscendo con la consapevolezza che non dobbiamo solo virare verso altro, ma dismettere certi atteggiamenti predatori. Quindi, “perdinci”, non ha senso fare energia rinnovabile con una mano e ridurre biodiversità, consumare suolo, spianare colline, cementificare vette con plinti che nessuno mai toglierà un giorno, con l’altra.

Fintanto che abbiamo aree già consumate, già impermeabilizzate, già degradate, non ha alcun senso aggredire suoli sani, boschi e aree agricole, a meno di facilitare la speculazione finanziaria in nome della religione della fretta (e spesso i ritardi sono costruiti a tavolino, proprio poi per avvallare il teorema della fretta).

Quello che ho detto e ripeto è semplice. Possiamo fare meglio. Dobbiamo fare meglio. Perché negare alle Regioni una transizione energetica equa ed ecologicamente corretta? Bene tagliare la burocrazia ma non le valutazioni ambientali e paesaggistiche. Se volete aiutare le Regioni a non perdere tempo, perché non suggerite (e non avete suggerito) quali superfici occupare per prime, di usare le grandi superfici a tetto di capannoni e centri commerciali, certe aree militari, le aree inquinate, solo per fare alcuni esempi. Perché non avete proposto criteri di equità sociale? Perché accettate che, ope legis, tutte le aree attorno ai siti produttivi siano idonee? Sono davvero tutte aree degradate quelle? Ritenete davvero sostenibile che per decidere se un’area è idonea non sia richiesta una sola analisi fisico-chimica-biologica-ecologica dei suoli e delle aree? Perché i criteri amministrativi devono prevalere su quelli ambientali ed ecologici? Ritenete davvero corretto che tutto questo non passi per processi autentici di partecipazione locale? Perché? In base a quale principio? La fretta? Solo la fretta? Mi pare un po’ poco. E poi in questi anni perché non avete tirato fuori dal cilindro dei criteri di sostenibilità (che non siano quelli del ministero)?

Ultima cosa che mi ha stupito nella risposta: la mancanza totale di riferimento al risparmio energetico, la grande e democratica risorsa con la quale potremmo rispondere a un pezzo del problema del surriscaldamento del Pianeta. Non è solo la tecnologia a salvarci (ammesso che lo sia: io non ci credo), ma il cambio di stile di vita e il miglioramento culturale e sono questi che quel decreto aree idonee non propone perché, pur con un cappottino green, agisce con le medesime leve dell’economia estrattiva di sempre.

Alcuni si salveranno, certamente, ma molti moltissimi saranno più fragili di prima e molte aree peggiori di prima. Non è questa la transizione che dobbiamo permetterci.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)


Su questi temi il dibattito su Altreconomia è aperto. Segnaliamo a proposito l’intervento, dall’orientamento diverso, del prof. Stefano Caserini dal nuovo numero della rivista. Il 10 luglio è intervenuto il prof. Nicola Armaroli, dirigente di ricerca al Cnr dal 2007, membro dell’Accademia nazionale delle Scienze e direttore della rivista italiana di divulgazione scientifica “Sapere”.

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