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“Noi non vogliamo contare i morti”. A Bagnoli l’emergenza bradisismo tocca mire immobiliari

L'area ex industriale di Bagnoli sullo sfondo della manifestazione del 21 marzo scorso © Giuseppe Carrella

A un mese dalla scossa più forte mai registrata nell’area da quando esistono i sismografi, gli abitanti dei Campi Flegrei continuano a chiedere alle istituzioni azioni concrete e informazioni chiare. Intanto avanza il mega progetto di “risanamento ambientale” e “rigenerazione urbana” della ex Italsider. Con il rischio di un’ulteriore cementificazione in un’area che per la stessa Protezione civile rientra nella zona di crisi

A poche settimane dal sisma di magnitudo 4.6 che nella notte del 13 marzo scorso ha colto nel sonno gli abitanti della zona occidentale di Napoli -in particolare il quartiere ex-operaio di Bagnoli- il sindaco di Napoli e commissario straordinario Gaetano Manfredi ha visitato l’area della ex Italsider a Bagnoli dove, dopo anni di rinvii e ritardi di varia natura, proseguono le operazioni di bonifica da parte dell’ente commissariale Invitalia. Proprio in queste ultime settimane si è data un’accelerata al tanto atteso processo di risanamento ambientale e rigenerazione urbana.  

Mentre la questione bradisismica è tornata prepotentemente alla cronaca con gli sciami sismici che tra febbraio e marzo di quest’anno hanno colpito i Campi Flegrei, fino alla scossa del 13 marzo -la più forte mai registrata nell’area da quando esistono i sismografi- che ha interessato principalmente il quartiere di Bagnoli (vicinissimo all’epicentro, in un’area marginale del perimetro del rischio bradisismico), gli sviluppi della rigenerazione urbana del Sito di interesse nazionale (Sin) di Bagnoli-Coroglio pongono, o dovrebbero porre, seri interrogativi sulla contraddizione di un’ulteriore cementificazione in un’area che nella “mappa speditiva della Protezione civile rientra nella zona di intervento, nel pieno di una crisi bradisismica.  

Dal 2005 si è registrata una recrudescenza del fenomeno con il suolo che ha ricominciato a salire, arrivando a 142 centimetri al porto di Pozzuoli. La caldera dei Campi Flegrei, dove vivono circa 500mila persone, è in stato di unrest (agitazione vulcanica) da anni. Nel 2012 il livello di allarme è passato da verde a giallo e fase operativa di “attenzione”. Negli ultimi due anni si sono registrati continui sciami sismici con terremoti anche di magnitudo elevata. A metà febbraio di quest’anno la velocità di sollevamento del suolo è passata da uno a tre centimetri al mese. In quei giorni, ai residenti già provati e impauriti, il capo dipartimento della Protezione civile Fabio Ciciliano aveva detto: “Con una scossa di magnitudo cinque, crollano i palazzi e conto i morti”.  

Purtroppo quella di Ciciliano è una dichiarazione molto dura ma è quello che si teme”, spiega Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio vesuviano. A Bagnoli sono oltre 400 le persone sfollate in provincia in seguito ai terremoti del 13 e poi del 14 e 15 marzo (rispettivamente di magnitudo 3.5 e 3.9) mentre proseguono le verifiche di vulnerabilità per gli edifici più a rischio.

L’Assemblea popolare di Bagnoli e dei Campi Flegrei, formata a inizio marzo da gruppi di base e associazioni durante i giorni di occupazione della X Municipalità, manifesta da settimane dietro a uno striscione che recita “Noi non vogliamo contare i morti”.

La gente ha paura e chiede che le istituzioni non si blindino nei palazzi ma mettano in campo azioni concrete e informazioni chiare. Cruciale in queste settimane è stata la mobilitazione degli abitanti e dei movimenti che ruotano attorno a Villa Medusa, un villino liberty al confine tra Bagnoli e Pozzuoli: un bene comune restituito alla collettività che da oltre dieci anni anima diverse iniziative improntate al mutualismo.  

Alcuni manifesti affissi alle porte della X municipalità invitano la popolazione ad autorganizzarsi per chiedere soluzioni alle istituzioni © Giuseppe Carrella

I residenti chiedono un provvedimento ad hoc, un piano di prevenzione sociale e la messa in sicurezza del territorio. La mobilitazione popolare di queste settimane, che ha avuto il suo apice nella partecipata manifestazione del 21 marzo, ha spinto il governo a convocare a Palazzo Chigi una delegazione dell’Assemblea che il 27 marzo ha incontrato il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci. I rappresentanti dell’Assemblea hanno sollecitato una serie di punti collettivamente stilati: adeguamento sismico degli edifici, soluzioni dignitose per gli sfollati, attrezzatura di aree di accoglienza, mappatura a tappeto degli edifici, screening delle persone disabili e allettate, assicurare la frequenza scolastica ai giovani sfollati, stop a mutui e affitti e sostegni fiscali per le attività chiuse, oltre alla sospensione del piano di rigenerazione urbana in zona rossa.

Nel corso dell’informativa urgente alla Camera in merito agli ultimi eventi sismici, il ministro Musumeci ha definito i Campi Flegrei come “un territorio gravato da una eccezionale sovrapposizione di rischi naturali, vulcanico, sismico e bradisismico” ai quali 100mila residenti sono esposti quotidianamente. “Un’accurata e responsabile pianificazione urbanistica avrebbe dovuto impedire fin dal dopoguerra ogni attività edificatoria”, ha detto ancora, mentre si appresta ad attivare nuove risorse previste dallo stato di mobilitazione nazionale, oltre ai 52 milioni di euro stanziati nel 2023 e ai quasi 400 milioni nel 2024 con i due decreti Campi Flegrei che prevedono misure urgenti di prevenzione del rischio sismico e interventi di protezione civile.  

Questi decreti lasciano intendere che il governo si stia muovendo ma non è sufficiente, anche perché sono in contrasto con il programma di rigenerazione urbana dell’ex-area industriale portato avanti dall’amministrazione comunale e dall’ente commissariale”, spiega Umberto del collettivo Iskra, una delle realtà che compongono l’Assemblea popolare.

Lo scorso luglio il Governo Meloni ha siglato il protocollo d’intesa che ha stanziato 1,2 miliardi di euro per ultimare il piano di bonifica e di riqualificazione dell’ex polo siderurgico di Bagnoli. Il 12 marzo si è riunita la Cabina di regia per definire gli indirizzi strategici per implementare il Programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana (Praru) che ha valutato progetti alternativi con “minore impatto ambientale e tempi più rapidi” per la bonifica dell’arenile e dell’area marina.  

Peccato però che nel piano definitivo siano stati accantonati una serie di elementi frutto di 30 anni di battaglie dal basso, come il progetto di ripristinare la linea di costa -si è deciso che la colmata (una spianata di 195mila metri quadrati costituita da cemento e scarti di lavorazione dell’altoforno) verrà solo parzialmente rimossa- mentre non è ancora chiaro quali saranno i “servizi” integrati nella zona del parco urbano che ha preso il posto dell’area boschiva.

Quest’ultima, insieme alla spiaggia libera, erano al centro delle rivendicazioni popolari. Per la mitigazione del rischio sismico e bradisismico si valuterà la rimodulazione del piano urbanistico con la sostituzione parziale di alcune volumetrie residenziali con altre attività di “diversa natura” oltre che “migliorare l’accessibilità e garantire vie di esodo sicure in caso di emergenza”. 

Proprio nei giorni dell’occupazione della X Municipalità, il Comune ha messo di nuovo mano ai piani per Bagnoli che dovevano prevedere aree verdi e spiaggia libera. Ha rimesso in discussione tutto quello che si era deciso finora parlando invece di attività, ristoranti, alberghi e pure un centro congressi (quando ce ne sono tre in zona) -continua Umberto-. Il governo dice che non si deve cementificare, il decreto Musumeci dice che già è stata una follia che viviamo qui e non si deve dare spazio a nuovo cemento. La contraddizione maggiore è che l’amministrazione comunale continui a parlare di cementificazione in un momento, e soprattutto in una zona, come questa. Per noi, la questione della rigenerazione urbana è strettamente legata a quella bradisismica”. 

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