Esteri / Reportage
Nelle miniere Trepca. Anche qui il Kosovo è diviso
Venticinque anni dopo lo scoppio dell’ultima guerra che ha insanguinato i Balcani, l’integrazione tra serbi e albanesi resta difficile. L’incontro con i lavoratori, a 900 metri di profondità
All’entrata della miniera, prima di salire sul vecchio montacarichi che porta a 900 metri di profondità, si controllano le torce sui caschi. Alla domanda relativa alla percentuale di lavoratori serbi e albanesi presenti nella miniera, mi viene risposto: “No, qui di lavoratori serbi non ce ne sono e speriamo che rimanga così perché non ne vogliamo”.
Venticinque anni dopo lo scoppio della guerra in Kosovo, risulta davvero difficile vedere cenni di integrazione fra l’etnia albanese e quella serba. Ultima fra le guerre balcaniche degli anni Novanta, anche quella in Kosovo fu causata dalle mire nazionaliste dell’allora presidente Slobodan Milosevic che voleva limitare l’indipendenza delle regioni un tempo sotto il controllo jugoslavo. Dal febbraio 1998 al giugno 1999 si fronteggiarono le truppe serbe della Repubblica federale di Jugoslavia -che allora comprendeva Serbia, Montenegro e le province indipendenti di Kosovo e Metohija– e gli albanesi dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK). Gli scontri portarono crescente preoccupazione nella comunità internazionale, primi fra tutti gli Stati Uniti. A seguito di trattative mai andate a buon fine e di una escalation di atrocità, nel marzo 1999 venne approvato l’intervento militare della Nato che bombardò la Serbia costringendo il suo presidente alla resa e al ritiro delle truppe dal Kosovo.
Durante i dieci anni di tensioni che portarono alla guerra, il complesso minerario Trepca non interruppe mai la sua operatività. Le miniere di zinco e piombo situate nel Nord del Paese, al confine con la Serbia, sono le più grandi in Europa. Prima del conflitto rappresentavano il 70% delle entrate del Kosovo e davano lavoro a circa 20mila persone di entrambe le etnie. L’ascesa di Milosevic portò a una progressiva riduzione della libertà e un conseguente degrado dei rapporti. Lo scoppio della guerra interruppe per la prima volta l’attività estrattiva e contemporaneamente anche quella tacita collaborazione fra minatori serbi e albanesi.
Al termine del conflitto il complesso minerario è passato sotto l’autorità delle forze internazionali che, poco per volta, lo hanno lasciato nelle mani del governo kosovaro; il quale lo ha fatto diventare una società per azioni, controllata all’80% dal governo, che vende i propri minerali sul mercato internazionale. Questa transizione non è però passata in nessun modo attraverso l’integrazione fra i due popoli, che solo separatamente accettano di lavorare all’interno delle miniere.
In Kosovo circa il 95% della popolazione è di origine albanese e la restante percentuale è per la maggior parte serba. Questa sproporzione è chiara anche all’interno del governo e si ripercuote nelle decisioni prese dal primo ministro Albin Kurti che da fine 2023 sta mettendo in atto una serie di misure penalizzanti per la comunità serba. Proteste, boicottaggi elettorali e violenti scontri che ne conseguono alzano il livello di tensione fra Belgrado e Pristina, allontanando il negoziato che la comunità internazionale invano continua a promuovere. Alle domande rivolte al rappresentante di Trepca relative ai problemi di sicurezza nelle municipalità a maggioranza serba, che ospitano la maggior parte dei siti dell’azienda, viene risposto che “non hanno mai avuto problemi nell’esercizio delle attività minerarie perché il settore non è gestito dai Comuni, ma è regolato dal governo”.
Visitando il sito estrattivo di Stan Terg, nella Regione di Kosovska Mitrovica, Shyqyri Sadiku, operaio albanese che negli anni è diventato direttore del centro estrattivo, racconta della situazione lavorativa prima della guerra, della protesta con sciopero della fame del 1989, degli sforzi per rimettere in funzione la miniera allagata dai serbi dopo il conflitto e degli investimenti che il governo kosovaro ha intenzione di mettere in atto nei prossimi anni. A Stan Terg, che si tratti di minatori che scendono nelle gallerie, di impiegati che si occupano di contabilità, o di lavoratori dell’indotto come cuochi o personale delle pulizie, tutti sono di origine albanese. A poche decine di chilometri a Nord di Stan Terg, la raffineria di Leposavic e il sito estrattivo di Crnac sono invece l’esatto opposto. Da sempre, a Nord del fiume Ibar vive la maggior parte della comunità serba che risiede in Kosovo.
Il confine naturale che divide longitudinalmente la città di Mitrovica separa anche i siti minerari di Trepca. Il direttore serbo, Sinisa Milutinovic, espone la sua versione dei fatti, che combacia con quella del direttore albanese solo quando racconta della pacifica convivenza lavorativa prima della guerra. Oggi nei suoi siti produttivi sono impiegati solo lavoratori serbi e anche qui non si accenna minimamente a un cambiamento. Milutinovic lamenta una grande difficoltà nel pagare gli stipendi –circa 550 euro mensili per un minatore non qualificato– in ritardo già di oltre trenta giorni e un doppio standard da parte del governo che supporta economicamente i siti albanesi. L’elenco dei disagi è lungo e come l’omonimo albanese vorrebbe solo avere la possibilità di fare lavorare i suoi operai.
Sottoterra la situazione è chiara: il lavoro del minatore è duro e faticoso. Le condizioni non sono drammatiche o proibitive, ma difficili da sostenere a lungo termine. Umidità, polvere, stivali nel fango ben oltre la caviglia, il costante rumore di trivelle ed esplosioni, una temperatura di 40 gradi in alcune gallerie e di dieci in altre, mentre fuori la neve copre i tetti da mesi. Arben ha 45 anni e dopo qualche risposta intervallata da una sigaretta, dice che “il pane più difficile è quello che si guadagna miniera”.
Le condizioni rendono il lavoro altamente usurante e accorciano sensibilmente la vita degli operai che lamentano stipendi insufficienti per mantenere la famiglia a causa dell’aumento dei prezzi. Secondo i dati della Kosovo agency of statistics, nel luglio 2022 l’inflazione ha raggiunto il picco del 14,2%, percentuale che progressivamente è poi scesa al 2,3% di dicembre 2023. La divisione interna degli operai Trepca si annulla quando si parla del loro futuro: tutti vorrebbero semplicemente lavorare ed evitare di dover emigrare. Condizione facilitata per i cittadini con documenti kosovari che da gennaio 2024 possono viaggiare nello spazio Schengen senza visto, e più difficile per i cittadini con documenti serbi che devono invece richiederlo tramite la Serbia.
Il progressivo spopolamento del Paese registrato nei primi mesi dell’anno è un chiaro indice dell’instabilità del Kosovo. I negoziati tra Belgrado e Pristina sono in una fase di stallo alla messicana, con la comunità internazionale come terza presenza in campo. Necessaria, ma ingombrante: nei venticinque anni sul territorio non sembra sia riuscita a essere di grande aiuto nella mediazione fra kosovari di origine serba e albanese.
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