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Terra e cibo / Opinioni

Nel campo minato dell’agricoltura europea

© Ries Bosch - Unsplash

La nuova Politica agricola comune -affossata poco prima del voto- non discuteva il modello dominante, anzi. Riuscirà la nuova Ue a resistere alle lobby? La rubrica di Riccardo Bocci

Tratto da Altreconomia 272 — Luglio/Agosto 2024

Come abbiamo già raccontato in questa rubrica, l’agricoltura è uno dei temi centrali nel definire il futuro dell’Unione europea. La Politica agricola comune (Pac), non a caso, nel 2022 rappresentava un terzo del budget complessivo dell’Unione. Negli ultimi mesi, le manifestazioni dei trattori nei vari Paesi europei, le immagini della loro presenza a Bruxelles fuori dai luoghi del potere hanno polarizzato gli animi, alimentando un divario, del tutto strumentale, tra agricoltura e ambiente. E, ovviamente, tra portatori d’interesse dei rispettivi mondi.

Questo clima di conflitto, basato su una reale crisi di senso che vive tutto il mondo agricolo ancora senza soluzione, ha portato la Commissione e il Parlamento europeo a fare vari passi indietro rispetto ai target ambientali stabiliti nelle strategie “From farm to fork” e “Biodiversità”, e nella loro implementazione tramite la Pac.

Votando a favore di queste modifiche a fine mandato il Partito popolare europeo, con una parte del gruppo liberale Renew Europe e dei socialisti europei, ha cercato di placare le ire del mondo agricolo industriale a fini elettorali. Si è trattato di un tentativo mal riuscito a giudicare dal voto delle elezioni di giugno, che, però, ha acuito il conflitto tra agricoltura e ambiente, con il riconoscimento implicito che non si può prescindere dal modello industrialista sviluppato nel secondo dopoguerra.

Ma erano veramente così dirompenti (o ideologiche) le misure previste dalla Pac? In realtà, anche se nei suoi obiettivi figurava quello di promuovere “la transizione verso l’agricoltura sostenibile”, dando come esempi di sostenibilità “l’agricoltura biologica, la gestione integrata delle malattie, l’agroecologia, l’agroforestazione e l’agricoltura di precisione”, nessuno di questi era indicato come modello. Al contrario, avrebbero potuto servire da guida agli Stati membri per identificare gli obiettivi da raggiungere nei loro Piani strategici nazionali (Psn). Ricordiamo, infatti, che la nuova Pac era stata nazionalizzata dando agli Stati la possibilità di adattare le misure alle loro necessità attraverso i Psn.

A loro spettava, quindi, la responsabilità di tradurre in pratica la visione del Green Deal e gli obiettivi strategici della Pac, il tutto all’interno di una serie di indicatori in grado di misurare l’impatto degli strumenti adottati. Al di là di questo riferimento alla “transizione”, di cui non si definiva né una fine né un chiaro orizzonte, la nuova Pac, quindi, non ha mai messo in dubbio il modello dell’aiuto diretto a ettaro, che fa sì che lo 0,5% degli agricoltori prenda il 16,45% degli aiuti e non è intervenuta nel direzionare i soldi verso un altro modello produttivo, sostanzialmente lasciando inalterato il fatto che circa l’80% delle risorse finisca a supportare la produzione animale.

Lo 0,5% è la quota di agricoltori che con l’attuale Politica agricola comune europea si assicura in modo del tutto squilibrato il 16,45% degli aiuti diretti a ettaro

Inoltre queste misure sono in gran parte volontarie: in nessun modo l’Unione europea obbliga gli agricoltori a cambiare il proprio sistema aziendale. I famigerati ecoschemi, oggetto degli attacchi delle manifestazioni, rappresentano meno del 25% degli aiuti diretti ed erano, comunque, soggetti a interpretazione e applicazione da parte dei singoli Stati.

Insomma, la Pac non era rivoluzionaria né dirompente nei confronti del modello dominante. Gli attacchi sono stati ideologici e strumentali con il fine di rinforzare il peso delle lobby industriali a Bruxelles, in primis i sindacati agricoli, mettendo nero su bianco che senza di loro non si negozia. Il Parlamento appena votato e la futura maggioranza che darà vita alla Commissione dovranno lavorare su questo campo minato, cercando di svelenire il dibattito.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola

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