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Negli ultimi due anni i fondi garantiti ai 24 produttori di armi nucleari sono aumentati

© SIMON LEE - Unsplash

Le istituzioni finanziarie hanno assicurato oltre 820 miliardi di dollari alle aziende che producono armi nucleari. Un valore cresciuto negli ultimi due anni per via della guerra in Ucraina e del falso mito della deterrenza. Ma il numero di soggetti coinvolti è calato, ricostruisce il report “Don’t bank on the bomb”. Il ruolo delle banche italiane

Negli ultimi due anni i fondi garantiti ai 24 produttori di armi nucleari sono aumentati, raggiungendo nell’agosto 2023 quota 820 miliardi di dollari, contro i 647 miliardi del 2020. Tuttavia il numero di banche, fondi pensione, compagnie assicurative e gestori patrimoniali che hanno finanziato le aziende produttrici è diminuito, passando dai 306 soggetti del 2021 ai 287 di metà 2023. È quanto emerge dal nuovo report “Don’t bank on the bomb” pubblicato a febbraio 2024 e realizzato da Pax, la principale organizzazione pacifista olandese e dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), con il supporto dalla società di consulenza per la ricerca economica Profundo.

“A due più di due anni dall’invasione russa dell’Ucraina le tensioni globali e i rischi di conflitto nucleare rimangono a un livello elevato -si legge nel rapporto-. Se da un lato la possibilità concreta di una guerra atomica ha spinto anche gli Stati dotati di questi armamenti a condannare e delegittimare esplicitamente le minacce nucleari, dall’altro questi stessi Paesi sostengono che a tali rischi si possa rispondere solo continuando a fare affidamento sulle proprie forze di deterrenza, ampliandole ulteriormente”.

Questa narrativa alimenta un flusso enorme di investimenti. Al momento, infatti, tutti i nove Stati dotati di questi dispositivi (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord) stanno ammodernando il proprio arsenale tattico e nel 2022 hanno speso complessivamente 82,9 miliardi di dollari, in crescita di 2,5 miliardi rispetto all’anno precedente. Washington ha investito un budget superiore addirittura di quello dei restanti otto Paesi sommati tra loro.

Le aziende coinvolte nella produzione di ordigni nucleari come detto sono 24 e hanno sede in Cina, Francia, India, Italia, Paesi Bassi, Russia e Stati Uniti. Molte hanno siglato contratti pluriennali (per un totale di almeno 336 miliardi di dollari) e le società con i maggiori investimenti nel comparto sono le statunitensi Northrop Grumman e General Dynamics con contratti all’attivo, rispettivamente, per 21,2 miliardi e 23,7 miliardi di dollari.

Anche Bae systems, Boeing, Lockheed Martin e Rtx (già Raytheon Technologies) vantano commissioni multimiliardarie per la produzione e il mantenimento di arsenali nucleari. A rappresentare l’Italia c’è Leonardo che ha una partecipazione del 25% nella joint venture Mbda (insieme ad Airbus e Bae system), che produce missili per l’arsenale nucleare francese e che ha generato ricavi per 14,7 miliardi di euro nel 2023. L’azienda italiana fornisce anche componenti per i sottomarini nucleari di classe Columbia della marina statunitense, per i quali si è aggiudicata un contratto da un miliardo di dollari nell’aprile 2023 e uno da tre miliardi a gennaio 2024.

Quello delle armi nucleari è un apparato industriale che non esisterebbe senza il supporto finanziario di 287 istituti di credito di 28 Paesi diversi, principalmente Stati dotati di tali sistemi o che appoggiano politiche di deterrenza, come l’Italia e la Germania che ospitano testate atomiche statunitensi sul territorio. Con l’eccezione di Nuova Zelanda e Sudafrica, nessuno di questi istituti ha sede in un Paese che ha aderito al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw), entrato in vigore a gennaio 2021 e che costituisce il primo accordo internazionale che proibisce in modo assoluto lo sviluppo, la fabbricazione, la sperimentazione, il possesso, l’uso e la minaccia di uso di armi nucleari.

I Paesi dotati di armi nucleari

I primi dieci istituti di credito per il finanziamento alle armi nucleari attraverso l’acquisto di azioni e obbligazioni sono tutti statunitensi. Nel 2023 hanno investito 327 miliardi di dollari (su 477 garantiti da tutti gli istituti esaminati), un incremento di 18,7 miliardi rispetto al 2022. A guidare la classifica c’è il fondo Vanguard che nel 2023 ha investito 72,5 miliardi di dollari, in crescita di 4,3 miliardi rispetto all’anno precedente. Seguono Capital Group (62,5 miliardi di dollari investititi, 11,3 miliardi in più rispetto al 2022), State Street (55,5 miliardi, meno 1,12 miliardi) e BlackRock (53,2 miliardi, più 5,11 miliardi).

I primi dieci finanziatori delle armi nucleari tramite l’acquisto di azioni e obbligazioni. Dati in miliardi di dollari

Per quanto riguarda, invece, i finanziamenti e le sottoscrizioni, sono anche questa volta gli Stati Uniti a occupare le prime quattro posizioni. Il maggior finanziatore è la banca Citigroup, che nel 2023 risultava coinvolta per 28,1 miliardi di dollari. Seguono Bank of America (27,4 miliardi), JPMorgan Chase (25,2 miliardi) e Wells Fargo (18,9 miliardi).

I maggiori dieci sostenitori delle armi nucleari tramite finanziamenti e sottoscrizioni. Dati in miliardi di dollari

Tra le banche che hanno erogato finanziamenti alle aziende produttrici di armi nucleari vi sono anche istituti di credito italiani. A guidare la classifica sono Unicredit, con 5,2 miliardi di dollari, e Intesa Sanpaolo con un miliardo e mezzo. Seguono Banco Bpm (621 milioni di dollari), Bper banca (480 milioni), Banca popolare di Sondrio (246), Mediobanca (226), la “pubblica” Cassa depositi e prestiti (221), Monte dei Paschi e Banca Passadore (175 milioni ciascuna).

Sebbene i finanziamenti alla produzione di armi nucleari siano aumentati in termini assoluti, il numero di investitori è diminuito. È il segno, secondo gli autori del report, di come il Tpnw stia facendo crescere lo stigma relativo a questo tipo di armamenti. Anche la finanza è coinvolta sempre di più in questa presa di posizione: nel 2022, ad esempio, la piattaforma dell’Unione europea sulla finanza sostenibile ha pubblicato delle linee guida per la realizzazione di una tassonomia dei prodotti finanziari che sia “socialmente sostenibile”, raccomandando di tenere in considerazione le regolamentazioni del Tpnw.

Sempre più istituzioni finanziarie che adottano politiche in materia di responsabilità ambientali, sociali e di governance (Esg) sceglierebbero di abbandonare le armi nucleari così come altri armamenti. Secondo Ican, dall’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, il 41,5% in più di istituzioni ha adottato politiche di restrizione degli investimenti in aziende coinvolte in armi atomiche. Durante il secondo incontro degli Stati aderenti al Tpnw, che si è svolto a novembre 2023 presso il quartier generale delle Nazioni Unite a New York, 111 istituti finanziari (che rappresentano un totale di mille miliardi di dollari di asset) hanno ribadito il loro impegno per il disarmo nucleare. “Questo dimostra che c’è un numero crescente di istituzioni che non sono disposte a compromettere i propri valori per trarre profitto dalla modernizzazione degli arsenali da parte degli Stati dotati di armi nucleari”, concludono i ricercatori di Ican.

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