Cultura e scienza / Opinioni
La resurrezione del Museo delle fornaci
Una mostra delle statue della Ginori di Sesto Fiorentino contribuisce al salvataggio della manifattura. La riscossa civile contro il disinteresse della finanza. La rubrica di Tomaso Montanari
La mostra delle statue in porcellana uscite negli anni 40 del Settecento dalla Manifattura Ginori di Sesto Fiorentino è una mostra diversa. È una mostra politica: nel senso più alto del termine. Una mostra che è stata immaginata, voluta, costruita per aiutare a salvare un pezzo di polis: cioè di città.
Alludo al Museo Ginori: cioè ad un pezzo straordinariamente importante del patrimonio culturale del territorio di Firenze. Ma alludo anche alla vita di coloro che oggi lavorano nello stabilimento Ginori. Nel 2004 la Ginori alienò il terreno su cui sono ubicati sia la fabbrica sia il museo ad una società immobiliare (la Ginori Real Estate, che aveva come soci immobiliaristi poi coinvolti in varie inchieste). Nel 2010 la Ginori Real Estate venne messa in liquidazione, e nel 2013 fu la volta della stessa manifattura Ginori, che fallì (seguirà un processo per bancarotta fraudolenta). La manifattura, dopo lunghe lotte dei lavoratori, è stata “salvata” dalla Gucci, che l’ha rilevata. Ma l’acquisto dello stabilimento da parte di una holding multinazionale del lusso con sede all’estero (Gucci appartiene infatti alla Kering di François Pinault) ha tagliato l’ultimo filo tra l’attuale produzione Ginori e la storia della manifattura Ginori: e la prima conseguenza è stata la perdita di interesse per il museo, che infatti non è stato acquistato dalla holding, ed è rimasto in un asse fallimentare privo dei mezzi necessari al suo stesso mantenimento in vita. Il disfacimento fisico del museo -invaso dalle infiltrazioni d’acqua e aggredito da muffe che (mentre scrivo, nell’aprile 2017) costringono ad entrarci solo con una mascherina protettiva- si può leggere come un simbolo eloquente delle conseguenze di una globalizzazione finanziaria, mediata dalle banche, sul tessuto industriale e su quello culturale e sociale
È per questo motivo che abbiamo voluto che nel titolo della mostra ci fosse la parola “popolo”: perché la centralità della figura umana così presente nella tradizione fiorentina non riguarda solo il popolo di statue che uscì dalle fornaci Ginori, ma anche il popolo di lavoratori che, allora come oggi, attende a quelle fornaci. Ma come può una mostra essere d’aiuto, in una situazione come questa? Può farlo se riesce a riannodare alcuni nessi spezzati, a risvegliare una sollecitudine, a nutrire una consapevolezza, ad alimentare un amore.
Mentre la mostra era nella fase finale della sua preparazione, il 30 marzo 2017, il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini ha annunciato che lo Stato acquisterà il Museo Ginori. Questa mostra -a cui tutti gli autori hanno lavorato gratuitamente, come forma di contributo personale alla salvezza del Museo Ginori- vuole affrettare una simile resurrezione. Certo, è singolare che né gli industriali né le grandi famiglie né le banche di una Firenze-Disneyland dominata dalla retorica della bellezza siano riusciti a comprare un bene privato: a salvarlo, a rilanciarlo nel futuro. Di fronte alla paralisi di una intera classe dirigente, deve intervenire lo Stato, azzerando in un colpo solo tutta la propaganda per cui sarebbe ormai l’intervento privato l’unica speranza per il sostegno del patrimonio culturale pubblico. Ma è l’unico esito evidentemente possibile, ed è ovviamente il benvenuto. Ora agli annunci devono seguire i fatti: e speriamo che questa mostra contribuisca a rendere consapevole l’opinione pubblica della necessità di vegliare sulle sorti del Museo Ginori.
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