Finanza / Approfondimento
A chi ha prestato davvero i soldi MPS?
Oltre il 70% delle “sofferenze” a bilancio dell’istituto senese riguardano soggetti che hanno ottenuto crediti per oltre un milione di euro. La causa principale della crisi, quindi, non sono i cittadini titolari di un mutuo ma grandi gruppi impegnati in investimenti fallimentari, come dimostrano i casi Risanamento spa e Sorgenia
Ora che il governo ha scelto di investire nel capitale del Monte dei Paschi di Siena vale la esporre qualche elemento che aiuti a capire “come si è arrivati a questo punto?”, a partire da casi eclatanti come quelli che hanno portato la banca senese a diventare azionista delle società Risanamento e Sorgenia.
I dati si trovano nella Relazione conclusiva (di minoranza) della Commissione d’inchiesta che tra l’estate del 2015 e quella del 2016 ha lavorato in seno al consiglio regionale della Toscana, “In merito alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena e alla Banca Monte dei Paschi di Siena. I rapporti con la Regione Toscana”.
I numeri sono quelli dei crediti deteriorati, e in particolare di quelli classificati all’interno dei bilanci della banche come “sofferenze”, parii a 9,7 miliardi di euro alla fine del 2015.
Secondo le informazioni diffuse dal consiglio d’amministrazione della banca, per il 56,7% fanno capo a soggetti cui l’istituto di credito aveva prestato oltre un milione di euro. E se si guarda anche alle esposizioni derivanti da crediti di oltre mezzo milione di euro la percentuale sale a quasi il settanta per cento.
Nella relazioni è riportato un virgolettato dall’audizione del signor Mauro Aurigi, per 42 anni dipendente MPS: “Le sofferenze sono tutte successive al periodo glorioso della banca pubblica, so la moralità che aveva il Monte dei Paschi, vi dico solo questo, Monte dei Paschi inventò persino i piccoli prestiti personali, credo li abbia copiati da qualche banca americana […] le sofferenze, in quel periodo il Monte dei Paschi aveva il 2% di sofferenze contro il 6/7% del sistema, questo era il Monte dei Paschi”.
La cessione sul mercato dei “non performing loans” in portafoglio (oltre alle “sofferenze” anche le “inadempienze probabili” e le “esposizioni scadute deteriorate”), pari a circa 27 miliardi di euro, era stata infatti individuata nell’estate del 2016 come pre-condizione per l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro che avrebbe dovuto salvare la banca -che è la più antica d’Italia, essendo nata nel 1472- senza l’intervento pubblico.
La tabella allegata alla Relazioni mostra anche che meno del 20 per cento dei crediti in sofferenza fa riferimento a prestiti il cui importo iniziale era inferiore ai 250mila euro. Il problema principale per Siena, cioè, non sono stati i cittadini che non pagano le rate del mutuo, o i titolari di imprese artigiane o PMI.
Ma un altro tipo di imprenditore. Non è possibile, però, scomporre ulteriormente i crediti maggiori di 3 milioni di euro, né conoscerne la numerosità: poter individuare quanti siano i crediti in sofferenza che dipendono da soggetti cui MPS aveva affidato più di 50 milioni di euro, o più di 100 milioni di euro, sarebbe interessante.
Per spiegare quali erano i criteri in base ai quali venivano accordati determinati prestiti di entità molto elevate, due vicende sono esemplari.
La prima riguarda Risanamento spa, la società di costruzioni di Luigi Zunino, quella che avrebbe dovuto costruire un nuovo quartiere -Milano Santa Giulia- nell’area adiacente alla stazione Fs di Milano Rogoredo e recuperare l’area dismessa di oltre un milione di metri quadrati della ex Falck di Sesto San Giovanni. Le due operazioni sono ancora ferme. I terreni di Rogoredo sono stati a lungo sotto sequestro, perché l’imprenditore avrebbe iniziato i lavori senza bonificare l’area (su cui insisteva in precedenza una raffineria). Nel frattempo, nei primi anni Duemila, Zunino aveva cumulato debiti fino a 3 miliardi di euro, gran parte dei quali con un pool di banche, che oltre a MPS teneva dentro Intesa Sanpaolo, Unicredit, UBI Banca, BPM.
Nel 2011, dopo un’istanza di fallimento presentata dal Tribunale di Milano, le banche erano state costrette a trasformare il proprio credito in azioni della società: fino al 31 dicembre del 2015, Monte dei Paschi risultava azionista per oltre il 3 per cento di Risanamento, una società quotata in Borsa. Solo a dicembre 2016 (come emerge dal sito della Commissione nazionale di vigilanza sulle società quotate, CONSOB), MPS è scesa sotto il 2% nel capitale di Risanamento.
È ben più elevata, e pari al 16,6%, la quota azionaria del Monte nel capitale di Nuova Sorgenia Holding spa, la società cui un gruppo di banche hanno dato vita nel corso del 2015 dopo aver completato il processo di ristruttuzione del debito -pari a 600 milioni di euro- concesso nel 2009 alla società Sorgenia, che faceva parte della holding del gruppo De Benedetti (CIR, che è anche l’editore de la Repubblica e l’Espresso). I soldi servivano alla costruzione di due centrali termoelettriche a ciclo combinato, quella di Bertonico (nel lodigiano) e quella di Aprilia, in provincia di Latina. Mentre in tutto il mondo crescevano in modo tumultuoso le energie rinnovabili, Sorgenia investiva ancora nel gas naturale. A concedere la linea di credito erano state Mediobanca, Banca di Credito Finanziario, Monte dei Paschi di Siena, Intesa Sanpaolo, Unicredit Mediocredito Centrale, WestLB Ag e Banca Popolare di Lodi. MPS si è ritrovata primo azionista del gruppo. Era la banca più esposta.
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