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Il Messico, gli Usa e i migranti: quello che Trump e Peña Nieto non dicono
Oltre la retorica del muro, i numeri dimostrano l’ipocrisia del nuovo presidente degli Stati Uniti e del suo omologo messicano. Il 66% dei “clandestini” adulti vive a Nord del Rio Grande da oltre 10 anni, mentre i centroamericani (anche i bambini) vengono fermati e deportati in massa alla frontiera meridionale che divide Messico e Guatemala
Nel dibattito “surreale” che accompagna la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in merito alla costruzione di un muro lungo tutta la frontiera con il Messico, mancano i numeri. Quelli che aiuterebbero a spiegare l’insensatezza di un progetto che potrebbe arrivare a costare quasi 12 miliardi di dollari, e che per molte miglia correrebbe a fianco del Rio Grande o Rio Bravo.
1) Il numero di soggetti arrestati ai posti di controllo lungo il confine meridionale degli Stati Uniti è sceso, a partire dal 2010, ai livelli degli anni Settanta: le persone fermate sarebbero intorno alle 400mila, mentre nel 2000 -secondo l’U.S. Border Patrol- erano stati circa 1,6 milioni.
2) Questi dati si riflettono in quelli legati al totale dei migranti (considerati illegali) presenti nel territorio degli Stati Uniti, e alla loro anzianità di permanenza nel Paese.
Dopo aver toccato un picco nel 2007, con 12,2 milioni di persone, oggi i “clandestini” sono 11,1 milioni (e tra questi ci sono circa 8 milioni di lavoratori).
Il 66% degli adulti, inoltre, risiede nel Paese da oltre dieci anni (il dato è in crescita rispetto al 2005, quando il 41% dei migranti poteva vantare tale anzianità negli Usa).
Appena il 7% dei messicani -la nazionalità più avversata da Trump- censiti nel 2014 era presente negli Stati Uniti da meno di 5 anni.
Quello che Trump non dice, e che non ricorda nemmeno il suo omologo messicano Enrique Peña Nieto, che in un video rilanciato dai media di tutto il mondo dice di voler difendere i migranti messicani ovunque essi siano, è che nelle politiche migratorie tra Centro America, Messico e Stati Uniti qualcosa è cambiato tra il 2014 e il 2015, da quando è diventato operativo il Plan Frontiera Sur del governo messicano.
In pratica, è come se esistesse già, nei fatti, un secondo “muro”, localizzato sulla frontiera tra Messico e Guatemala. Le forze di sicurezza messicane, infatti, “difendono” la frontera Sur e deportano preventivamente i migranti, in particolare centroamericani, per impedire che raggiungano la frontera Norte.
Al finanziamento di questo “programma” ha contribuito nel corso degli ultimi anni anche il governo Usa di Barack Obama, con almeno 90 milioni di dollari.
I risultati del Plan Frontiera Sur ci forniscono ulteriori strumenti per comprendere la situazione:
3) tra gennaio e novembre 2016, il Messico ha deportato 136mila persone; di queste, 132mila sono centroamericani: circa 100mila sono di nazionalità hondureña e guatemalteca.
Sono persone in fuga da Paesi disastrati e dalla violenza (come riconosce Amnesty Internazional nel suo ultimo rapporto dedicato al Messico, “Mexico 2015/2016”); connazionali di quelli che è possibile incontrare (se riescono ad attraversare la frontiera) nei “refugios” e negli “albergues” aperti lungo la “ruta” verso la frontiera Nord (raccontiamo le loro storie in questo reportage del 2016, da Altreconomia 182).
4) Tra i deportati, ben 13.830 (sempre nei primi 11 mesi del 2016) sono minori non accompagnati: molti sono bambini, perché hanno meno di 11 anni; provengono da Honduras, Guatemala ed El Salvador.
Il Messico, quindi, non è solo la vittima di Donald Trump, ma ne è complice, come hanno denunciato Amnesty International e Human Rights Watch (che nel 2016 ha pubblicato il rapporto “Mexico’s Failure to Protect Central American Refugee and Migrant Children”, il fallimento del Messico nella protezione dei rifugiati centro americani e dei bambini migranti), ma anche la Commissione interamericana per i diritti umani e il Relatore speciale delle Nazioni Uniti per i diritti umani, che a fine 2015 ha segnalato “i terribili abusi nei confronti dei migranti e dei rifugiati in transito”.
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