Diritti / Opinioni
Mantenere la rotta
Nell’Italia disperata del post-voto, i protagonisti dell’altra economia devono mantenere la rotta senza cadere nell’illusione e nel conformismo. Mantenere la rotta significa imparare sempre più a pensare e ad agire politicamente
L’Italia tra disperazione e illusione. È la posizione di un Paese colpito dai poteri finanziari globali, da un’Unione europea ipocrita e suddita di quei poteri, nonché dal parassitaggio di un ceto politico egocentrico, con l’eccezione di alcune figure isolate. La “personalizzazione” della politica, che già in sé è un male, avviene non in rapporto a figure come Mohandas Gandhi, Nelson Mandela, Willy Brandt, Olof Palme, José Mujica oppure Gobetti, Gramsci, Spinelli, Sturzo, De Gasperi, Togliatti, Nenni o Berlinguer, ma con personaggi del calibro antropologico di Salvini, Berlusconi, Grillo, Di Maio, Renzi, D’Alema, Bersani.
Questo basterebbe a capire perché siamo messi così male. L’illusione è la speranza dei disperati. Siamo arrivati al voto senza un progetto e un soggetto adeguati ad avviare la liberazione dall’assetto esistente. Gran parte degli elettori hanno detto no sia alla presenza dei migranti, votando la Lega, sia ai politici e al “vecchio”, votando M5S. Renzi e i suoi hanno reagito alla disfatta con la consueta superficialità, la cui ultima trovata è il rifiuto di tentare un governo con il M5S per consegnare così l’Italia o adesso a una Lega a 5 stelle o, dopo nuove elezioni con premio di maggioranza, direttamente a Salvini. Alla disperazione e all’illusione si aggiunge la banalità dei commentatori che ti spiegano i risultati delle elezioni come se fossero il giudizio di Dio ai tempi dell’Inquisizione. E ti illustrano che siamo oltre le ideologie, oltre la differenza tra destra e sinistra, oltre i novecenteschi valori della Costituzione, oltre le relazioni dirette tra le persone, perché ormai tutto è post-ideologico, digitale, accelerato.
Nella gara per la tradizionale apologia dei vincitori segnalo Loris Caruso, che su “il manifesto” del 13 marzo scorso, riferendosi al M5S, scrive: “La frattura vecchio/nuovo vale dieci volte quella destra/sinistra” e “l’Italia ha inventato una nuova forma politica”. Se il “il manifesto” pubblica un commento del genere, questo ci dà la misura di quanto, oltre a molti giovani, dal nostro Paese stia emigrando pure il pensiero critico-progettuale. Non serve la laurea in scienze politiche per capire che il cosiddetto “nuovo” esprime in gran parte tendenze conformi al sistema globale vigente: l’adesione al tecnocapitalismo e l’ostilità verso i migranti.
La differenza tra una tendenza di destra, tutta a favore dei poteri dominanti, e una tendenza di sinistra, a favore della liberazione di chi è sottomesso dal sistema, non esiste più solo nel senso che la destra per ora ha stravinto. Lo ha fatto non solo alle elezioni in molte parti del mondo, bensì nella mentalità diffusa e nei rapporti di forza su scala globale. Stiamo assistendo al crescere della povertà, alla disarticolazione dell’economia reale, alla demolizione dei servizi pubblici, alla fuga dei giovani, al ritorno del razzismo e del neofascismo, al trionfo del qualunquismo e della menzogna. In tale contesto dire che è stata inventata una nuova forma della politica è una battuta surreale, degna di Antonio Albanese.
I protagonisti dell’altra economia, dell’ecologismo, del femminismo, dei movimenti di liberazione dei migranti, degli studenti, dei lavoratori, dei marginalizzati, i movimenti per i diritti civili, le associazioni di volontariato più consapevoli, i Comuni impegnati nella democrazia locale e le scuole fedeli al loro compito educativo devono mantenere la rotta senza cadere nella disperazione, nell’illusione e nel conformismo. Mantenere la rotta significa imparare sempre più a pensare e ad agire politicamente. Si tratta di lavorare per trascrivere il bene comune in un progetto di società e per promuoverne dal basso la graduale realizzazione. Perciò occorre costruire alleanze sociali e culturali eticamente ispirate che, un giorno, genereranno una politica e un governo all’altezza della democrazia equa, accogliente, ecologica e nonviolenta. Altro che il “nuovo”!
Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)
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