Ambiente / Attualità
Ma quale “agricoltore custode”: i dati che smontano la retorica del ministro Lollobrigida
Agricoltura e allevamento intensivo sono la prima causa di perdita della biodiversità in Italia, responsabili tra l’altro dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo. Ma le grandi associazioni agricole e il governo ignorano le evidenze scientifiche e promuovono l’idea generica dell’agricoltore come il vero ambientalista. Un escamotage interessato per non cambiare un modello che fa male all’ecosistema
Dal 2024 l’Italia ha riconosciuto per legge la figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio, istituendo una Giornata nazionale dell’agricoltura, che quest’anno è caduta il 10 novembre.
Il Wwf ha scelto l’occasione per evidenziare le contraddizioni tra i dati pubblici, quelli delle banche dati dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) su pesticidi e fungicidi, e “la retorica delle associazioni agricole e del ministro Lollobrigida”, in piena continuità con le affermazioni gastronazionaliste e le “sparate” su sovranità e povertà alimentare.
Secondo l’organizzazione ambientalista, infatti, “oggi l’agricoltura in Italia è la prima causa del cattivo stato di conservazione di habitat e specie selvatiche, inquina le acque, l’aria e il suolo”, dati che fan sì che i veri custodi tra gli agricoltori siano una minoranza.
Ecco i limiti della Legge 24 del 28 febbraio di quest’anno, relativa a “Disposizioni per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio e per l’istituzione della Giornata nazionale dell’agricoltura”. Il Wwf critica la “narrativa di Coldiretti, Cia, Confagricoltura e dell’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che vorrebbe accreditare in modo generico l’agricoltore come il vero ambientalista, custode dell’ambiente e del territorio”.
I monitoraggi ambientali confermano invece che agricoltura e allevamento intensivo rappresentano la prima causa di perdita della biodiversità in Italia, responsabili tra l’altro dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo, e del 7,8% delle emissioni totali di gas serra a livello nazionale e del 22% a livello globale. “La Legge 24/2024 fornisce quindi una visione distorta dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio”, scrive il Wwf.
L’errore che si continua a commettere è parlare di agricoltura al singolare perché in realtà esistono diversi modelli di agricoltura, più o meno sostenibili. Il modello intensivo dominante, adottato dalla maggioranza degli agricoltori italiani e che interessa oltre l’80% della superficie agricola utilizzata (Sau), dipende dalle sostanze chimiche di sintesi e da una pesante meccanizzazione che degrada il suolo, con l’obiettivo di massimizzare le produzioni. Meno del 20% della Sau è gestita con pratiche che rispettano i principi dell’agroecologia.
Alcuni dati citati provengono dall’Annuario dei dati ambientali 2023 dell’Ispra, che è stato pubblicato il 21 ottobre 2024 e fa riferimento al 2021. Quell’anno “in Italia sono state immesse in commercio oltre 4,8 milioni di tonnellate di fertilizzanti. Il 46% è costituito dai concimi minerali (semplici, composti, a base di meso e microelementi) e il 31,7% dai fertilizzanti organici, rappresentati dagli ammendanti (80,2%) e dai concimi organici (19,8%). Nel periodo 2000-2021 si registra un aumento di 139mila tonnellate di fertilizzanti (+3%). Sempre nel 2021 sono state immesse in commercio circa 116mila tonnellate di prodotti fitosanitari (pesticidi), di questi il 47,1% è costituito da fungicidi, il 21,2% da insetticidi e acaricidi, il 17,7% da erbicidi e il 14,1% da altri vari pesticidi. Per quanto riguarda il contenuto in principi attivi, pari a circa 50,3mila tonnellate, il 61,4% del totale è costituito dai fungicidi, seguono, nell’ordine, i vari (18%), gli erbicidi (10,9%), gli insetticidi e gli acaricidi (8,4%) e i biologici (1,3%)”.
E se è vero che i prodotti fitosanitari hanno registrato una diminuzione del 10,4% rispetto al 2014, lo è anche che il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), scaduto dal febbraio 2019, ancora non è stato rinnovato.
“Il grande problema della produzione del cibo è la competizione con la natura selvatica per una risorsa fondamentale: il territorio. Per fare agricoltura -conclude il Wwf- bisogna infatti eliminare un ecosistema naturale, con le sue piante e i suoi animali, e sostituirlo con uno artificiale, semplificato, che va poi difeso dai tentativi della natura di riprenderne possesso con l’aratura e l’uso di pesticidi ed erbicidi. Dopo il raccolto, va ripristinata la fertilità del suolo con i fertilizzanti”.
Tutto questo richiede energia e presenta altri impatti, indiretti e poco “visibili”, relativamente al degrado degli habitat acquatici e ai costi associati alla depurazione e al disinquinamento delle acque. Sono le esternalità negative che non paghiamo quando il cibo è offerto a basso costo nei canali di vendita della Grande distribuzione organizzata.
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