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L’utilizzo di pesticidi sulla frutta europea è in crescita. Nonostante gli annunci
L’Unione europea si è impegnata a ridurre l’uso dei pesticidi ma i risultati di un recente studio curato dalla rete Pesticide action network Europe evidenziano un aumento preoccupante. L’analisi di oltre 97mila campioni di frutta fresca coltivata in Europa mostra infatti un aumento del 53% dei campioni contaminati tra il 2011 e 2019
Nonostante l’impegno dichiarato dell’Unione europea a ridurre l’uso dei pesticidi, i risultati di un recente studio curato dalla rete europea Pesticide action network Europe (Pan) evidenziano come invece l’utilizzo di queste sostanze abbia registrato un aumento preoccupante nel corso degli ultimi anni. L’analisi di oltre 97mila campioni di frutta fresca coltivata in Europa mostra infatti un aumento del 53% dei campioni contaminati tra il 2011 e 2019. È quanto emerge dal report “Forbidden fruit”, pubblicato il 24 maggio, che ha analizzato i residui chimici lasciati su diverse tipologie di frutta e verdura prodotte e commercializzate nei Paesi dell’Ue, escludendo quindi i prodotti di importazione. I dati utilizzati per condurre l’analisi sono quelli del monitoraggio ufficiale europeo, che stanno alla base della redazione del report annuale dell’European food safety authority (Efsa). Si tratta, evidenzia Pan, di dati “sufficientemente rappresentativi da un punto di vista statistico da stimare un’esposizione dei consumatori europei a questi residui”.
La tendenza è particolarmente preoccupante per alcune tipologie di frutta: se, ad esempio, nel 2011 solo il 4% dei kiwi aveva tracce di pesticidi, nel 2019 la percentuale era salita al 32% (+397%). Per le ciliegie, nello stesso arco di tempo si è passati dal 22% al 54% (+152%), mentre per le mele -che rappresentano il frutto più coltivato d’Europa- si è passati dal 16% al 34%, per le pere si è registrato un aumento del 103% di campioni contaminati e per le pesche si registra un +52%. Tracce elevate di pesticidi sono state rilevate anche sulle fragole (il 38% dei campioni è risultato contaminato) e le albicocche (35%). L’analisi è stata condotta anche su diverse verdure: sebbene, a differenza della frutta, siano meno soggette a insetti e malattie, tracce di pesticidi sono state ritrovate anche sul 13% degli oltre 113mila campioni analizzati, in crescita rispetto all’11% del 2011. Le verdure che sono risultate più contaminate nel 2019 sono state il sedano (54%) e sedano rapa (45%). I Paesi dove sono state rilevate le più alte percentuali di frutta e verdura con tracce residue di pesticidi sono il Belgio (34%), l’Irlanda (26%), la Francia (22%), l’Italia (21%) e la Germania (20%).
L’uso di queste sostanze avrebbe dovuto iniziare a diminuire significativamente a partire dal 2011, con l’entrata in vigore del Regolamento numero 1107 del 2009 in base al quale gli Stati membri sono obbligati a trovare alternative più sicure ad alcune tipologie di sostanze identificate come particolarmente pericolose. Invece, sottolinea Pan, è successo esattamente il contrario: “Non solo è aumentata la probabilità di acquistare frutta e verdura contaminate, ma si riscontrano anche più combinazioni tra diversi elementi chimici, che moltiplicano i rischi”. Mentre nel 2012 solo il 6,4% dei campioni di frutta analizzati era contaminato da almeno due di questi pesticidi, nel 2019 la percentuale è salita al 10,2% nel 2019. Inoltre, secondo quanto emerge dalla ricerca, metà delle pere campionate in tutta Europa presentano tracce di ben cinque pesticidi, in Portogallo la percentuale sale all’85% e in Belgio all’87%. “Sebbene gli scienziati abbiano informazioni crescenti sul fatto che questi cocktail abbiano un impatto maggiore sulla saluta umana, queste combinazioni di prodotti non vengono ancora valutare dalle autorità”, si legge nel report.
L’analisi si concentra sui residui dei pesticidi più pericolosi, definiti “more hazardous” dalla Commissione europea nell’ambito della strategia “Farm to fork”: si tratta di prodotti collegati a una serie di patologie come cancro, problemi cardiovascolari e diabete; oltre a provocare gravi danni all’ambiente inquinando le acque e il suolo. I primi risultati di questa ricerca mostrano quanta strada ci sia ancora da percorrere per raggiungere gli obiettivi fissati dalla strategia “Farm to Fork”, varata nel 2020, che fissa come obiettivo una riduzione dell’uso di pesticidi del 50% e un dimezzamento dell’uso di quelli classificati come “pericolosi” entro il 2030. Facendo riferimento ai dati disponibili sulle vendite di questi prodotti, la Commissione europea già parla di una riduzione del loro utilizzo pari al 12% nel 2019 rispetto al triennio 2015-2017. “Questo rapporto, che fornisce prove della quantità di pesticidi che finiscono effettivamente negli alimenti consumati quotidianamente da una grande maggioranza di consumatori europei, rappresenta una forte smentita a tale affermazione”, si legge nel report che evidenzia come nel 2019, la percentuale di frutta e verdura contaminata dai pesticidi più pericolosi sia aumentata dell’8,8% rispetto al 2015-2017.
“Per noi è chiaro che i governi non hanno alcuna intenzione di vietare questi pesticidi, qualunque cosa dica la legge -commenta Salomé Roynel, policy e campaign officer di Pan-. Hanno troppa paura della lobby agricola, che dipende da sostanze chimiche potenti e un modello obsoleto. Syngenta, Bayer e altri giganti chimici diranno che queste tracce di pesticidi sono perfettamente sicure, ma la ricerca medica ci dice che alcune sostanze chimiche non hanno limiti di sicurezza e questo si applica alla maggior parte di questi pesticidi”.
Il report di Pesticide action network arriva in un momento cruciale. A Bruxelles in queste settimane è in corso una battaglia sui nuovi obiettivi di riduzione dei pesticidi, che la Commissione europea dovrebbe proporre il 22 giugno per imporre nuove norme vincolanti finalizzate dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030. Mentre più di 1,2 milioni di persone hanno firmato l’iniziativa dei cittadini europei “Save bees and farmers” per chiedere una riduzione dell’80% dei pesticidi sintetici entro il 2030 e la loro completa eliminazione entro il 2035 i gruppi industriali del settore stanno già lavorando per indebolire le ambizioni della Commissione.
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