Finanza / Opinioni
L’ultimo regalo di Joe Biden ai grandi fondi a pochi giorni dall’avvento di Donald Trump
Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha inserito due società, Tencent e Catl, nella blacklist che contiene i soggetti con cui il governo americano non può fare affari. L’accusa è di avere relazioni troppo strette con Pechino. La realtà, però, è più complessa. E racconta lo smarrimento del capitalismo finanziario e del mercato. L’analisi di Alessandro Volpi
A pochi giorni dall’insediamento di Donald Trump, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha inserito due importanti società nella blacklist che contiene i soggetti con cui il governo americano non può fare affari. Si tratta di Tencent e di Catl, accusate di avere relazioni troppo strette, in termini militari, con la Cina. Dunque, sembrerebbe un’azione mirata contro il “concorrente” del Pacifico. In realtà, la situazione delle due società è molto diversa.
Catl è in effetti una società cinese di cui lo Stato ha una partecipazione rilevantissima e rappresenta un player globale di grande peso perché da sola detiene circa il 38% del settore delle batterie. Metterla nella blacklist significa, così, chiuderle il mercato Usa e indurre i produttori americani, a cominciare dall’automotive, a rifornirsi presso la sudcoreana Lg Energy Solution o presso la giapponese Panasonic, due realtà i cui dipendenti hanno fondi pensione legati, guarda caso, a BlackRock, State Street -che è anche azionista di Lg Energy- e Vanguard. In questo senso, l’inserimento nella blacklist di Catl risulta un favore non banale alle Big Three, storicamente molto vicine a Biden e ai Democratici.
Il caso di Tencent, in tale ottica, è ancora più interessante. La società, infatti, pur avendo sede a Shenzen e pur essendo quotata a Hong Kong, non è di proprietà cinese, ma ha come azionista principale, con una quota del 24%, la società olandese Prosus, a sua volta partecipata al 41% dalla società sudafricana Naspers, in cui ha un posto di rilievo lo Stato sudafricano con il 16%. Tencent è stata negli ultimi anni una spina nel fianco delle Big Three perché ne ha contrastato il dominio nel campo dei servizi di comunicazione, cloud computing, intelligenza artificiale, multimedialità, pagamenti, e-commerce e intrattenimento, raggiungendo una capitalizzazione di quasi 500 miliardi di dollari e sostituendosi a Vivendi con il 10% in Universal Music Group, la più grande società mondiale del settore.
Chiudere a Tencent il mercato americano è davvero poco comprensibile sul piano della sicurezza nazionale mentre appare un altro enorme favore ai tre grandi fondi, che potranno così approfittare del suo indebolimento. L’amministrazione Biden prosegue nell’opera di rafforzamento del monopolio dei “padroni del mondo”, ammantando una simile strategia, condotta fino all’ultimo giorno, con la narrazione di un anticipo del trumpismo, ma forse Trump, proprio per evitare tensioni premature con la Cina e per scongiurare una ripresa inflazionistica, potrebbe non essere d’accordo. Il tutto mentre minaccia una nuova “dottrina Monroe” e lancia strali verso il Vecchio continente. Ma esistono altre prove dei “regali” di Biden alle Big Three.
C’è un titolo azionario che ha guadagnato in un anno il 552%. Si tratta di Intuitive Machines, una società di Houston, specializzata in esplorazioni spaziali, che ha ricevuto un fiume di contratti dalla Nasa. Ma di chi è questa impresa, il cui titolo ha fatto meraviglie? Vanguard e BlackRock hanno circa il 10% e insieme ad altri quattro fondi, partecipati, arrivano a sfiorare il 20%. L’anomalia di un simile attivismo dopo la fine del mandato presidenziale ha forse a che vedere anche con un’altra “stranezza”. La Federal reserve (Fed) ha abbassato, molto lentamente, nel corso del 2024 i tassi di interesse dal 5,5 al 4,5. Nonostante questo ribasso, tuttavia, i rendimenti dei titoli di Stato americani sono saliti dal 3,5 al 4,6. In condizioni normali, questo non avviene perchè l’abbassamento dei tassi genera una riduzione dei rendimenti e un aumento dei prezzi dei titoli.
Perchè si sta determinando una simile anomalia? Non è semplice comprenderlo, ma forse una motivazione plausibile è di natura politica e ha a che fare con l’evidente conflittualità tra il presidente della Fed, Jerome Powell, divenuto nel tempo molto vicino all’uscente Biden, e il presidente eletto Trump. Powell teme le dichiarazioni di Trump in merito a dazi e debito e quindi fa capire che non ha alcuna intenzione di avviare politiche monetarie accomodanti. I ribassi dei tassi non producono effetti sui rendimenti, anzi la percezione diffusa è che il rigore monetario continuerà con conseguenze immediate sul costo degli interessi per il governo federale e dunque per l’amministrazione Trump.
L’avvento di Trump spaventa il “sistema” istituzionale del capitalismo finanziario e il mercato, che ha smarrito la propria capacità di valutazione, “scommette” sullo scontro, chiedendo rendimenti più alti. Ma allora davvero che cosa resta del mercato, tra il trionfo dei monopoli delle Big Three, l’apoteosi dei conflitti di interesse e dell’insider trading dell’amministrazione trumpiana e il predominio dello scontro politico, ingenerato dalla ricomparsa dell’ex magnate?
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
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