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Interni

L’ultima spiaggia del cemento ligure

Una piattaforma per i container è l’ennesimo caso di scempio ambientale a favore del profitto di poche aziende private

Tratto da Altreconomia 100 — Dicembre 2008

A Vado Ligure oggi rimane una sola spiaggia. È l’unica superstite della cementificazione massiccia del territorio circostante, in pieno stile ligure: oggi in tutta la zona, secondo alcune stime, solo 19 chilometri di spiaggia su 135 sono ancora liberi.
Fra poco anche questa spiaggia potrebbe soccombere.
La piccola Vado è una cittadina di ottomila abitanti alle porte di Savona, con una storia fatta soprattutto di attività industriali.
In questa rada ben presto inizieranno i lavori per la costruzione della cosiddetta “piattaforma Maersk”: la realizzerà la Apm Terminals, divisione indipendente del colosso danese A.P. Moller-Maersk (vedi pagina accanto). Maersk è un nome (e un simbolo) noto a tutti anche in Italia, soprattutto per quei containercon la stella bianca in campo azzurro che si vedono impilati nei porti uno sopra all’altro, in attesa di essere recapitati a destinazione.
Il progetto della piattaforma -nel corso degli anni: se ne parla da almeno otto- è cambiato, è evoluto, è cresciuto, rimanendo nel bene e nel male sempre fedele a se stesso: costruire nel golfo di Vado Ligure una “piattaforma multifunzionale” per la movimentazione dei container, per dirla con le parole dell’Autorità portuale di Savona, con una superficie a mare di 210.700 metri quadri, pari più o meno al centro abitato di Vado, o se volete a 30 campi da calcio.
Un’opera talmente grande che secondo la Valutazione di impatto ambientale nazionale (V.i.a.) diventerà senza ombra di dubbio “l’elemento dominante del paesaggio da qualsiasi punto di vista del territorio circostante”, riempiendo per circa due terzi la rada di Vado. Irreversibilità, sovradimensionamento, impatto sul paesaggio e inquinamento (atmosferico, acustico e marino) sono le principali critiche mosse al progetto dalle associazioni ambientaliste locali e nazionali (Italia Nostra, Wwf, Greenpeace e Legambiente):
“Si vuole costruire qui un’opera paragonabile alla piattaforma di Marsiglia, senza ricordarsi che a Vado abitano appena 8mila anime. Fatti due calcoli si tratta di circa cento metri quadri di piattaforma a famiglia”, commenta Sergio Uras, presidente del circolo di Legambiente di Finale Ligure.
Una previsione davvero grigia per un’area già massacrata dal cemento che tuttavia rimane all’interno del Santuario dei mammiferi marini ed è a soli tre chilometri dall’Area marina protetta Isola di Bergeggi (istituita dal ministero dell’Ambiente nel 2007). Il progetto include anche la cosiddetta riqualificazione del fronte mare, per  la “mitigazione” e la “compensazione” della piattaforma. Due concetti che già attestano la presenza di un danno. In altre parole si tratta di altro cemento che andrà ad “attutire” il brutto spettacolo creato dalla piattaforma container: un porticciolo turistico, un centro polivalente, una piscina e una piazza spettacoli. Un progetto da 40 milioni di euro, vinto da un teamguidato dall’architetto Paolo Cevini. Docente presso la Facoltà di Architettura di Genova, Cevini nello stesso periodo si è aggiudicato anche il concorso per la “riqualificazione” del waterfrontdi Rapallo.

I soci, i soldi. Facciamo un passo indietro e diamo un occhio a chi partecipa all’affare. Alla gara per la realizzazione e gestione dell’opera, promossa dall’Autorità portuale di Savona e bandita nel 2006 col sistema del “project financing”, partecipa un solo concorrente: Maersk. Lo fa in qualità di capocordata di un’associazione temporanea di imprese (Ati) che comprende anche Grandi Lavori Fincosit e Technital. Sono nomi tutt’altro che sconosciuti. Gl Fincosit, con sede a Genova e a Roma, è oggi è tra le prime imprese di costruzione in Italia. Fa parte del Consorzio Venezia Nuova, che opera per la cosiddetta “salvaguardia di Venezia” (progetto noto al grande pubblico per il “Mose”).
In curriculum ci sono anche sei delle maggiori centrali termoelettriche italiane e la partecipazione alla costruzione della centrale nucleare di Caorso, nel 1973. In passato Fincosit ha partecipato anche alla realizzazione delle “autostrade gravitanti intorno a Genova”, come si legge sul sito web, e degli “impalcati dell’autostrada Messina-Catania”. Oggi Gl Fincosit partecipa ai lavori dell’Alta velocità Milano-Bologna “nella zona di Piacenza”. Anche Technital vanta in curriculum i lavori nell’ambito del “progetto per la salvaguardia di Venezia”. Inoltre altri grandi opere, tra cui il progetto preliminare per i lavori di idraulica a Pont Ventoux, in Val Susa, e i lavori nell’ambito della progettazione della rete autostradale in Sicilia.
Insomma, anche se una successiva fase della gara vede una seconda proposta proveniente dal gruppo Itinera (gruppo Gavio), Coopsette e Codelfa,  respinta dall’Autorità portuale perché “ inaccoglibile”,
il bando viene vinto dall’Ati Maersk/Technital/Gl Fincosit.
Ottenuta la gara, si tratta di trovare i soldi per la costruzione della piattaforma. A guardare il piano economico, lo squilibrio tra finanziamenti pubblici e privati è più che evidente. Il costo totale dell’opera è infatti di 450 milioni di euro, ma solo 150 milioni sono a carico di Maersk:  i restanti 300 sono a carico del soggetto pubblico e dovrebbero provenire da un mutuo che si poggia su una serie di garanzie. Eccole: da una parte si parla di “125 milioni di finanziamento statale, in trancheannuali di 15 milioni per 15 anni” (sulla base del comma 991, art.1, Finanziaria 2007); dall’altra “il 25% del valore di incremento di Iva e accise derivante dall’attivazione della nuova infrastruttura per un periodo non superiore ad anni 15 nel limite del costo complessivo dell’intervento” (sulla base del comma 990). In altre parole una scommessa sulle previsioni di un traffico massiccio che sarà generato dalla piattaforma. Garanzie solide? Forse, ma a oggi (metà novembre) i nomi delle banche che dovrebbero concedere il mutuo sono ancora sconosciuti, anche se l’inizio dei lavori per la costruzione della piattaforma è previsto per la primavera 2009.
Lo scorso agosto otto associazioni, tra cui Vivere Vado e Wwf Liguria, hanno presentato un esposto alla Commissione europea, chiedendo di verificare se il finanziamento pubblico previsto possa configurarsi come un aiuto di Stato a imprese private.
In particolare è stato chiesto di “verificare se il lungo periodo di concessione della piattaforma al raggruppamento di imprese, pari ad anni 50, e il relativo canone corrisposto all’Autorità portuale (circa 750.000 euro l’anno), siano congrui con il capitale pubblico (300 milioni di euro) impiegato per la costruzione dell’opera”. “L’Ue ha richiesto alcuni documenti all’Autorità portuale: stiamo aspettando delle risposte”, dice Franca Guelfi, portavoce della lista civica Vivere Vado (vedi sotto). Ma all’Autorità Portuale tutto tace.

Per un pugno di bar. I 300 milioni di finanziamento pubblico dovrebbero essere impiegati “per sostenere un differente modello di sviluppo, che tenga conto di tutte le variabili ambientali, sociali ed economiche presenti sul territorio e che non sia a vantaggio di un unico soggetto commerciale, che ha già una posizione dominante sul mercato mondiale del trasporto container”, dicono le associazioni firmatarie del reclamo all’Ue. Quali sono invece i vantaggi concreti per gli abitanti di Vado Ligure? “Nell’ambito dell’accordo di programma fatto con la Regione e con il Comune abbiamo stabilito che una quota dell’investimento, almeno del 20-25%, vada a imprese locali”, spiega Rino Canavese, presidente dell’Autorità portuale di Savona-Vado, già deputato durante il primo governo Berlusconi. “Già in fase di realizzazione le ricadute saranno abbastanza, basti pensare alle forniture. E poi il fatto di avere un’opera di quelle dimensioni costruita lì è importante in termini di ricadute per i bar, per i ristoranti, per gli alberghi, per chi ha le cave e per chi produce le materie prime”. In termini occupazionali le previsioni ufficiali parlano di 300 posti di lavoro nel 2012, che dovrebbero arrivare a 400 nel 2020. A questi si andrebbero ad aggiungere i  250 posti generati dall’occupazione indotta direttamente sulla piattaforma dalla Compagnia portuale.
Se tutto andrà secondo le previsioni, si badi bene. Infatti, “le scelte di una multinazionale sono sempre poco prevedibili”. Lo sanno bene quelli dell’Rsu di Maerks Italia, la divisione containerdi A.P. Moller Maersk, che in Italia ha sede a Genova: “Nel capoluogo ligure, lo scorso gennaio, Maersk ha tagliato 129 posti di lavoro. Tagli che si inseriscono in strategie di pianificazione globale, non locale. Su scala mondiale, infatti, gli esuberi sono stati circa 3mila”.
Per quel che riguarda il traffico containergenerato dalla nuova struttura invece, Maersk nel suo piano di impresa parla di circa 450.000 Teu/anno (Teu è la misura standard pari a un containerlungo 6,1 metri) all’avvio del terminal, che salirebbe a 720.000 Teu/anno a regime. Rino Canavese, che in passato ha fatto parte della Commissione trasporti e Commissione lavori pubblici e ambiente, è più ottimista: “Io penso che supereremo il milione”.
Quel che è certo è che la piattaforma di Vado Ligure si andrà a inserire in un tratto di costa compreso tra Livorno e Savona, lungo appena 250 chilometri, in cui oggi si concentrano ben quattro fra i maggiori porti nazionali (Genova, Savona, Livorno e La Spezia). “Di fatto più che a fare sistema questi porti tendono a competere tra loro”, spiega Francesco Parola, ricercatore presso la Facoltà di Economia dell’Università Parthenope di Napoli. “In un certo senso Vado è la prova dello scarso coordinamento presente. Per anni Maersk  ha chiesto un terminala Genova, che non gli è mai stato dato in concessione”. A Genova, il terminal containerdi Voltri nel 2007 ha movimentato un milione di Teu, tanti quanti si pensa potrebbe movimentarne la piattaforma Maersk con una superficie circa cinque volte più piccola.  Qualcosa non torna.
“Il coordinamento sulla realizzazione di progetti portuali e sull’assegnazione di concessioni non è consentito dall’attuale contesto normativo, in quanto ciò darebbe luogo a comportamenti di tipo collusivo lesivi della libera concorrenza”, riprende Francesco Parola. “Oggi si costruisce un terminala Vado, ma non in un ottica di sistema dei porti liguri. Sarebbe meglio sfruttare o potenziare le strutture esistenti, in cui gli spazi, spesso, non vengono utilizzati al massimo delle loro potenzialità. Tanto più che per una nave proveniente dall’Asia scaricare a Vado o scaricare a Voltri o a La Spezia è piuttosto indifferente”.

L’impero danese dei terminal
La società Apm Terminals, che realizzerà la piattaforma di Vado Ligure, dal 2001 è una divisione indipendente del gruppo A.P. Moller-Maersk. Possiede 50 terminal container in 31 Paesi in cinque continenti e altri 14 sono in arrivo. La società ha chiuso i primi sei mesi del 2008 con un fatturato di 1,5 miliardi di dollari, in crescita del 27% rispetto allo stesso periodo del 2007. Gli utili salgono a 185 milioni di dollari rispetto ai 49 dei primi sei mesi dell’anno scorso. Apm Terminals non opera esclusivamente con Maersk Line, la divisione container di Ap Moller-Maersk: la quota-fatturato generata da altri clienti nei primi sei mesi del 2008 corrisponde al 38% del totale (era il 34% nell’intero 2007 e il 33% nei primi sei mesi 2007). www.apmterminals.com

Il ruolo dell’Autorità
L’Autorità portuale di Savona amministra un arco di costa che si estende da Albisola a Bergeggi e comprende i bacini portuali di Savona e Vado Ligure. Fino al 1968, il controllo del porto e delle sue attività, era gestito dall’Ente portuale di Savona Piemonte, in sinergia con altre aziende del settore.
Quell’anno venne istituito e riconosciuto l’Ente autonomo del Porto di Savona, trasformato nel 1994 nell’attuale Autorità portuale, istituita dalle legge 84/94. Con questa legge le Autorità portuali sono state dotate di personalità giuridica pubblica e sottoposte alla vigilanza del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Tra le entrate dell’Autorità portuale ci sono i canoni di concessione delle aree demaniali e delle banchine comprese nell’ambito portuale e dai proventi di autorizzazioni per operazioni portuali; gli eventuali proventi derivanti da cessioni di impianti; il gettito delle tasse sulle merci sbarcate e imbarcate; i contributi delle Regioni, enti locali e altri enti e organismi pubblici. La sede dell’Autorità portuale di Savona nel 2012 sarà trasferita all’interno delle aree demaniali del porto di sua proprietà. Un investimento pari a 5 milioni di euro, di cui 3,5 già finanziati dal governo, per realizzare una struttura alta 30 metri che occuperà un’area di 3mila metri quadri. A Vado l’Autorità portuale ha concluso l’acquisto di 32mila metri quadri di aree comunali, costate invece sei milioni e mezzo di euro, un investimento fondamentale per “per ottimizzare i varchi doganali di accesso e la viabilità”.
In Italia, l’Autorità portuale è presente nei porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste e Venezia.

Al servizio delle industrie
La piccola Vado  nel corso della storia ha subito un’industrializzazione pesantissima. Oggi la Exxon Mobil produce qui lubrificanti finiti per oltre 100.000 tonnellate l’anno, utilizzando le materie prime del vicino impianto della Infineum Srl (ex Esso Chimica). A farle compagnia ci sono Petrolig (porto petroli), Zinox (ossido di zinco), Vetrotex (filati di vetro), Nuova Isotermica srl (mattoni refrattari) e Sanac (materiale refrattario).  E ancora: due cave di calcare attive (la cava Trevo e la cava Mei-Colombino) e due discariche (una per rifiuti solidi urbani e una per rifiuti speciali). La centrale termoelettrica a carbone Tirreno Power (ex-Enel) svetta nel mezzo al paese. Bombardier Trasportation Italy lavora qui per la progettazione e la costruzione di treni “davvero speciali”: in particolare il “V300 Zefiro”, “la punta più avanzata in materia di Alta velocità”, secondo il presidente di Bombardier Italia Luca Navarri. “Una vera e propria servitù industriale”, sottolinea Stefano Sarti, presidente di Legambiente Liguria, l’associazione che lo scorso giugno ha assegnato la sua bandiera nera al Comune di Vado Ligure (Savona), alla A. P. Moller-Maersk (Copenhagen) e alla Maersk Italia Spa (Genova). “Il futuro si costruisce su basi durature e distruggendo il territorio non ci sono prospettive”, aveva dichiarato in quell’occasione Rina Guadagnini, portavoce di Goletta Verde. “Non si possono barattare posti di lavoro incerti con un sicuro scempio ambientale, rifiutato dai cittadini”.

Resistenza vadese
“Sono otto anni che siamo sul piede di guerra”, dice Franca Guelfi, portavoce della lista civica Vivere Vado e consigliere comunale. “Abbiamo sempre sostenuto che un’opera del genere sarebbe a dir poco devastante per il paese”. Una resistenza attiva, cominciata nel 2000, l’anno in cui si inizia a parlare per la prima volta di una possibile “piattaforma Maersk” a Vado. “Abbiamo organizzato allora una prima raccolta firme”, spiega Franca, “e poco tempo dopo abbiamo chiesto un referendum”. Nel corso degli anni la contestazione si allarga e, nel 2007, sono oltre 2mila le firme di cittadini contrari al progetto presentate al sindaco di Vado Carlo Giacobbe, perché la progettazione delle opere portuali fosse “radicalmente rivista”. In quel periodo il fronte del no si allarga con l’uscita dalla maggioranza di  tre assessori e due consiglieri. Pochi mesi dopo, una consultazione popolare è indetta dalla stessa amministrazione comunale. Il 20 gennaio 2008 3mila vadesi (49,8%) si recano ai seggi, in un tentativo estremo di opporsi al progetto. La vittoria dei no è schiacciante, ma le istituzioni non battono ciglio: “A Vado il referendum interviene quando esiste già un piano regolatore approvato che prevede il progetto ed è stata già eseguita una gara pubblica, con un iter progettuale già in corso e con atti e impegni stabiliti”, dichiara il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando. A dargli man forte c’è Rino Canavese: “Se la piattaforma non si farà, i tir della Liguria anziché passare da Vado arriveranno da Marsiglia. I francesi non vedono l’ora di accogliere Maersk”. E per finire il Presidente della Provincia di Savona Marco Bertolotto: “È stato un errore fare la consultazione. Non rientra nel mio concetto di democrazia”. A fine luglio, centinaia di manifestanti assediano un Consiglio comunale “blindato”, con tanto di forze dell’ordine che scortano i membri della Giunta. Quel giorno l’Accordo di programma che dà il via alla piattaforma viene approvato.
I cittadini hanno presentato ricorso al Tar.

Cronistoria di una colata
2002
Il Consiglio comunale adotta un Piano regolatore portuale (Prp) che contiene un nuovo progetto di piattaforma.
2004 Elezioni comunali di Vado: la lista civica “Vivere Vado” ottiene un consigliere in Consiglio comunale
2005 Il Prp supera la V.i.a. nazionale, con alcune prescrizioni. Anche il Consiglio regionale approva il Prp con altre prescrizioni tra cui la stipula di un Accordo di programma e il parere della V.i.a. regionale (ancora mancante).
2006 Il Consiglio comunale delibera gli indirizzi per la stesura dell’Accordo di programma. Maersk partecipa al bando dell’Autorità portuale per la realizzazione e la gestione dell’opera e lo vince.
2007 Vengono resi noti i vincitori del bando del masterplan. Il Comitato portuale approva il progetto preliminare di Maersk. 2mila firme di cittadini contrari vengono presentate al sindaco. Viene approvata la delibera sulla bozza dell’Accordo di programma in Consiglio comunale.
2008
Alla consultazione popolare indetta dal Comune partecipa il 49,8% dei cittadini. Luglio: il  nuovo Accordo di programma viene approvato in Consiglio comunale. Settembre: un’ordinanza del comune di Vado vieta l’affissione di manifesti, volantini e scritti “su qualsiasi struttura immobile o mobile che non sia ad essa legittimamente destinata”. Agosto: otto associazioni presentano esposto all’Ue. Ottobre: cinque banche partecipano alla fase preliminare per la concessione del mutuo. Novembre: le associazioni presentano ricorso al Tar. Apm Terminals inaugura i nuovi uffici di Vado Ligure.

Riprendere la costa camminando
Gli abbonati di Ae hanno ricevuto con questo numero il Dvd di Elisa Nicoli “CamminAmare Liguria”, documentario che narra del cammino effettuato lungo tutta la costa ligure lo scorso maggio (vedi Ae 94; per info: elisa.nicoli@poste.it). Dalla stessa esperienza nasce il libro illustrato da Claudio Jaccarino, “Acquarellandando” (info: jaccarino@email.it)

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