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L’onda verde per il diritto all’aborto si allarga in America Latina

Una manifestazione organizzata dalla Campagna per il diritto all’aborto legale e gratuito davanti al Congresso nazionale dell’Argentina il 30 dicembre 2020, giorno in cui è stata legalizzata l’interruzione volontaria di gravidanza © Irupé Tentorio

Nel dicembre 2020 l’Argentina ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza. Oggi le attiviste vigilano sull’attuazione della legge e informano le donne sui loro diritti. Le loro battaglie ispirano quelle in Messico, Cile e Colombia

Tratto da Altreconomia 242 — Novembre 2021

Dall’Argentina è partita una marea verde per difendere il diritto all’aborto sicuro e gratuito. I pañuelos -i fazzoletti utilizzati nella campagna per la tutela dei diritti riproduttivi- si sono diffusi in America Latina, adottati come simbolo condiviso della libertà di scelta. Nel dicembre 2020 il Senato argentino approvava la legge per depenalizzare e legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza: da quel risultato, considerato storico perché ottenuto dopo dieci anni di attività di sensibilizzazione portate avanti in tutto il Paese, i movimenti per tutelare il diritto di abortire nei sistemi sanitari pubblici si sono estesi, rinnovando la loro forza. Nel 2021 in Messico, Cile e Colombia sono state ottenute vittorie significative grazie a campagne di pressione politica e proteste di piazza il cui impatto è stato amplificato dall’uso dei social media. Collettivi e organizzazioni sono riusciti a portare i diritti riproduttivi nell’agenda politica ponendoli al fianco delle questioni legate all’uguaglianza sul posto di lavoro, alla rappresentanza e alla violenza di genere. L’Argentina ha scatenato un effetto a catena.

“Il movimento femminista ha avuto il merito di cambiare il discorso pubblico sull’aborto. Non ci siamo più sentite colpevoli”, dice ad Altreconomia Belen Grosso, attivista de “Le Socorristas en red”, la rete di 54 collettivi che supporta chi decide di avere un’interruzione volontaria di gravidanza. Grosso ha un filo diretto con quanto si muove in Argentina e possiede una conoscenza approfondita dei cambiamenti occorsi da quando, quasi un anno fa, Buenos Aires aveva festeggiato i risultati del voto in Senato. Prima di quel momento era possibile abortire solo nel caso in cui la gravidanza fosse dovuta a uno stupro o mettesse in pericolo la vita della donna. Dopo la depenalizzazione e legalizzazione, è possibile farlo fino alla 14esima settimana di gestazione.

10 anni di battaglie e di sensibilizzazione sono stati necessari per approvare la legge che legalizza l’aborto. Precedentemente era possibile interrompere la gravidanza solo se questa metteva a rischio la salute della madre o in caso di stupro

“La legge per l’aborto sicuro e gratuito è una buona legge che deve essere rafforzata sui territori: siamo ancora in una fase di osservazione e notiamo come sia applicata in modo differente nel Paese”. Secondo Grosso ci sono due mancanze: lo Stato non ha organizzato misure per farla conoscere nel dettaglio né per indicare che cosa comporta. A colmare il vuoto è stata proprio la rete delle socorristas: le attiviste hanno messo in campo iniziative di sensibilizzazione con cui hanno spiegato come comportarsi quando ci si reca in un ospedale e si chiede di abortire. “Inoltre nel sistema sanitario nazionale ci sono ancora ostacoli da superare, legati soprattutto agli obiettori di coscienza”. Circostanza in cui deve essere indicata un’alternativa, un professionista che pratica gli aborti, ma non sempre succede “anche se vediamo un numero maggiore di medici disposti a collaborare”, prosegue Grosso. Il lavoro delle socorristas si è adattato al nuovo contesto: il gruppo nasce nel 2012 per aiutare a interrompere la gravidanza quando non era legale farlo, indicando come assumere medicinali, tra cui la pillola Misoprostol, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. “Adesso spieghiamo come si devono affrontare le barriere delle strutture pubbliche e continuiamo con la nostra idea di accompagnare nell’aborto: ascoltare e aiutare in una pratica di empatia e sostegno emotivo senza pregiudizi e vergogna”, conclude.

“Il movimento femminista ha avuto il merito di cambiare il discorso pubblico sull’aborto. Non ci siamo più sentite colpevoli”- Belen Grosso

Secondo il Guttmacher Institute, centro di ricerca che si occupa di politiche sull’interruzione volontaria di gravidanza, in Sud America e nei Caraibi ogni anno 760mila donne sono ricoverate per le conseguenze dovute a una gravidanza interrotta in modo non sicuro. In Messico ogni anno sono praticati circa un milione di aborti clandestini e un terzo si conclude con complicazioni per la salute delle donne. La situazione cambierà grazie a una sentenza della Corte suprema di giustizia che, nel settembre 2021, ha stabilito che nello Stato di Coahuila (nel Nord del Paese) la pena prevista per chi abortisce, fino a tre anni di carcere, è incostituzionale.

Una manifestazione per il diritto all’aborto nelle strade di Buenos Aires l’8 marzo 2019. Dopo la mobilitazione -durata un decennio- per chiedere la riforma della legge, oggi le attiviste sono impegnate in attività di sensibilizzazione e di informazione rivolte alle donne © Irupé Tentorio

“La Corte si è pronunciata con una prospettiva di genere compiendo uno storico passo in avanti in materia di diritti riproduttivi”, spiega ad Altreconomia Alma Beltran y Puga, avvocata messicana e professoressa di Diritto presso l’Università di Rosario in Colombia. “Nel 2002, nella sua prima sentenza sull’aborto, la Corte ha ritenuto costituzionale che in alcuni casi, stupro e malformazione del feto, chi ha abortito non debba essere punito. Dopo quasi vent’anni, sostiene che il diritto di decidere delle donne -e delle persone in grado di avere figli- è un diritto fondamentale che deriva dalla Costituzione. Si tratta di un passaggio decisivo: dal reato di aborto al diritto di decidere”. È un precedente giuridico cui dovranno adeguarsi le future sentenze anche negli Stati messicani dove l’aborto è illegale e punibile fino a 30 anni di carcere. La conseguenza immediata della decisione della Corte è che nessuna donna può essere messa in carcere per avere abortito, al pari dei medici che svolgono la pratica. “Grazie agli effetti retroattivi della sentenza, le donne accusate o perseguite per il reato nello Stato di Coahuila sono già in fase di rilascio. Inoltre la Corte ha dato indicazioni per fare in modo che i difensori d’ufficio sostengano le donne accusate di aborto in altri Stati del Messico e promuovano il rilascio di amparos”, cioè l’istituto con cui i cittadini possono adire direttamente al tribunale costituzionale, denunciando leggi lesive dei diritti fondamentali.

“La marea verde ha posto l’aborto nel dibattito pubblico, promuovendo avanzamenti dal punto di vista legislativo. Sta succedendo anche in Cile” – Alma Beltran y Puga

La decisione della Corte messicana può avere un peso anche in Colombia dove l’aborto è possibile solo in circostanze limitate. Secondo i dati del Center for reproductive rights, nel Paese solo l’1% degli aborti avviene all’interno del sistema sanitario. Negli ultimi 20 anni il 97% delle donne processate per avere interrotto una gravidanza proveniva da aree rurali e il 30% era stata vittima di violenza sessuale o di genere. La Corte costituzionale deve esprimersi entro la fine del 2021 sulle richieste del movimento Causa justa -formato da più di 200 organizzazioni, accademiche, personale sanitario e attiviste- che rivendica l’incostituzionalità del reato di aborto e lotta per il riconoscimento dell’autonomia riproduttiva. “Siamo di fronte a un’occasione preziosa. La Corte del Messico sta fornendo potenti argomenti alla Corte costituzionale, cioè che il diritto di decidere è strettamente legato ad altri diritti umani sanciti dalla Costituzione: uguaglianza e non discriminazione, salute, privacy, dignità e sviluppo della libera personalità”, aggiunge Beltran y Puga. Questo, prosegue, non sarebbe stato possibile senza i risultati ottenuti in Argentina nel 2020. “La marea verde ha posto l’aborto nel dibattito pubblico, promuovendo avanzamenti dal punto di vista legislativo. Sta succedendo anche in Cile”.

Nel settembre 2021 il Parlamento cileno ha approvato un progetto per la depenalizzazione dell’aborto entro la 14esima settimana. La legge deve essere valutata dalla Commissione per le donne e l’equità di genere e poi approvata dal Senato. “Il movimento colombiano Causa justa e la marea verde argentina hanno influenzato quanto successo da noi”, dice ad Altreconomia Anita Pena Saavedra, attivista, specializzata in diritti umani, parte del movimento “Asamblea feminista plurinacional” che sta partecipando alla riscrittura della Costituzione. Dopo la depenalizzazione, si lavorerà per ottenere la legalizzazione. “In Cile non esiste un’educazione sessuale di qualità, l’accesso ai metodi contraccettivi è difficile e nella pandemia i loro prezzi sono aumentati di quasi il 30%”, prosegue. Dalle reti femministe sono state promosse pratiche che mirano al reale esercizio del diritto di decidere attraverso la creazione di spazi sicuri in cui informarsi senza pregiudizi e stigma sociali. “Finora lo Stato non è stato all’altezza del suo compito. Continueremo a monitorare da vicino il processo legislativo: dobbiamo assicurarci che non si torni indietro”.

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