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Le Socorristas en Red e la battaglia per il diritto all’aborto in Argentina

Una rete di attiviste aiuta le donne ad avere un aborto sicuro quando nel Paese l’interruzione volontaria di gravidanza è legale solo in caso di stupro o pericolo per la salute. La situazione però può cambiare grazie a un disegno di legge in discussione al Senato. Voto previsto il 29 dicembre

Una manifestazione a Buenos Aires per il diritto all'aborto, dicembre 2020 © Irupé Tentorio

“In Argentina la legge per legalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza sarà realtà entro la fine del 2020. Deve esserlo. La discussione sull’aborto nelle istituzioni, cui stiamo assistendo ora, è stata resa possibile grazie al lavoro di sensibilizzazione sui territori portato avanti dai movimenti delle donne”. Ruth Zurbbrigen fa parte della Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito, la rete che conta più di 300 organizzazioni e che da 15 anni nel Paese si batte per il riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi intesi come diritti umani fondamentali. Quando parla delle istituzioni, Zurbbrigen fa riferimento alla discussione del disegno di legge per la legalizzazione dell’Ivg presentato dall’esecutivo del presidente Alberto Fernández  che, dopo essere stato approvato alla Camera dei deputati l’11 dicembre 2020, sarà discusso in Senato il 29 dicembre. Oggi in Argentina si può abortire solo nel caso in cui la gravidanza sia dovuta a uno stupro oppure metta in pericolo la vita della donna. Tuttavia in molte province la legge non è applicata ed è ostacolata. Le donne che ricorrono a un aborto clandestino rischiano una condanna e il carcere. Secondo un rapporto realizzato dalla Campagna nazionale insieme all’istituto di ricerca Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS), nel 2019 solo nella capitale Buenos Aires ci sono state almeno 825 denunce contro le donne che hanno abortito e le ostetriche che hanno praticato un’interruzione volontaria di gravidanza.

Zurbbrigen sa che cosa significa per una donna la clandestinità. Una situazione comune in Argentina: sempre secondo la Campagna nazionale, nel Paese ogni anno ci sono tra i 370 e i 520mila aborti clandestini. In un rapporto pubblicato nel 2020, l’organizzazione Human Rights Watch ha denunciato come le complicazioni che questi comportano siano la principale causa di morte per le donne incinte. Zurbbrigen è una delle fondatrici delle Socorristas en Red (SenRed), la rete di 54 collettivi femministi e più di 500 volontarie, diffusa su tutto il territorio nazionale, che accompagna le donne nell’interruzione volontaria di gravidanza. Fondato a Neuquén in Patagonia nel 2012, il gruppo offre informazioni sull’aborto attraverso l’uso di medicinali e su come utilizzarli in modo sicuro secondo i protocolli stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nel Paese uno dei metodi utilizzati per ottenere un aborto è l’assunzione per via orale o vaginale del misoprostol ma è molto difficile ottenere la ricetta da un medico e la pillola ha un costo che la maggior parte delle ragazze non potrebbe sostenere. Tra il 2015 e il 2019 durante il governo dell’ex presidente Mauricio Macri, secondo i dati dell’Observatorio Nacional de Acceso al Misoprostol, il prezzo è passato da 611,48 pesos (sei euro) a 8.441 pesos (83,80 euro). I problemi si presentano dopo l’assunzione del medicinale: se ci sono complicazioni e una donna si rivolge a un ospedale pubblico perché non ha la possibilità di ricorrere a un medico privato, può essere denunciata. È qui che intervengono le socorristas.

Una manifestazione delle Socorristas en Red. Durante gli eventi pubblici, le socorristas indossano parrucche rosa per essere riconoscibili e distribuiscono materiale informativo © Wikipedia

“L’aborto è un problema di salute pubblica e riflette le disuguaglianze della nostra società”, dichiara Zurbbrigen ad Altreconomia. “Noi ci preoccupiamo della sicurezza delle donne che vogliono interrompere la gravidanza. Ci prendiamo cura di loro, le ascoltiamo e le supportiamo in un modo che è una pratica di empatia, amore, sostegno emotivo. Il nostro è anche un gesto politico”, prosegue. Chi vuole entrare in contatto con le socorristas può chiamare uno dei numeri di telefono dei gruppi territoriali della rete. “Iniziamo ponendo delle domande sulla loro salute, sul momento che stanno attraversando, sulla situazione economica, familiare ed eventualmente di coppia”, spiega. Stabilito il contatto, si organizza un primo incontro in un luogo sicuro. “Da qui cerchiamo di comprendere meglio il caso: se la donna ha subito violenze, se ha figli, se ha un lavoro. Proviamo anche a ridere, a rendere la situazione meno drammatica. Molte donne si sentono sole, pensano di non avere una via d’uscita”, spiega Zurbbrigen. “Invece la via di uscita c’è ed è legalizzare l’interruzione di gravidanza”.

La manifestazione dell’8 marzo a Buenos Aires. Il fazzoletto verde è il simbolo della Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito © Irupé Tentorio

Insieme all’Università di Neuquén, la rete ha iniziato a sistematizzare i dati raccolti ogni anno sui territori. Dal 2014 al 2019 sono state 38.116 le donne intervistate. Tra queste l’83,8%, circa 31.936, sono state accompagnate nel processo di aborto attraverso l’uso di medicinali. Almeno 1.508 donne sono state seguite nei momenti critici successivi nel caso in cui abbiamo dovuto rivolgersi a un ospedale pubblico. Tra loro c’è Paula (nome di fantasia) che racconta ad Altreconomia di avere abortito alla fine del 2019. Aveva 26 anni e viveva nella provincia di Misiones, nel Nord dell’Argentina. Quando ha deciso di interrompere la gravidanza, aiutata dalla sorella ha cercato di trovare il denaro per comprare il misoprostol. Le complicazioni sono arrivate dopo l’assunzione della pasticca: ha dovuto rivolgersi al pronto soccorso della sua città dove è rimasta in attesa per 12 ore perché, spiega, i medici della struttura erano obiettori di coscienza e avevano capito che il suo stato di salute era conseguente a un aborto.

“Le province del Nord sono le più conservatrici e questo si riflette di solito nelle votazioni in Senato. Quando nel 2018 avevamo presentato un progetto di legge per l’Ivg, non abbiamo ottenuto la maggioranza proprio tra i senatori”, dichiara ad Altreconomia Luci Cavallero, docente di Scienze sociali presso l’Università di Buenos Aires e attivista del movimento contro la violenza sulle donne Ni Una Menos. “Ma adesso siamo sicure che l’esito sarà positivo. L’esecutivo e il sistema politico stanno guardando quello che succede in strada e devono tenerne conto. Portare l’aborto nel dibattito pubblico, de-criminalizzarlo è uno dei risultati più importanti ottenuti dai movimenti delle donne”, aggiunge.

La proposta di legge ora in discussione in Senato prevede la legalizzazione e la depenalizzazione dell’aborto e il diritto ad abortire in modo sicuro e gratuito fino alla quattordicesima settimana di gestazione, limite che è possibile superare in caso di stupro, rischio per la vita o per la salute della donna. Il progetto permette l’obiezione di coscienza da parte del medico che dovrà lo stesso farsi garante della realizzazione della pratica. Il provvedimento è inoltre accompagnato dal progetto “Programma dei mille giorni” che rafforza la tutela delle donne che scelgono invece di portare avanti la gravidanza. “Dopo l’approvazione della legge la Campagna nazionale continuerà a lavorare per monitorare la sua applicazione”, afferma Cavallero. “Impedirà che sia lettera morta”.

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