Esteri / Intervista
Lo scolasticidio dopo il 7 ottobre. “Distruggono il futuro e la speranza dei giovani palestinesi”
Quasi 8.700 studenti, dalle elementari all’università, sono stati uccisi dall’inizio dell’offensiva nella Striscia di Gaza. Poco meno di 500 gli insegnanti e amministratori ammazzati, mentre le sei università di Gaza sono state distrutte. In Cisgiordania la situazione è devastante. Intervista a Sameer Hanna Khader, docente del Politecnico di Hebron che collabora con università italiane ed europee
L’offensiva nella Striscia di Gaza continua a produrre distruzioni e termini quasi mai visti. Domicidio, ovvero la distruzione massiva delle costruzioni: per le Nazioni Unite il 60% di quelle residenziali e l’80% di quelle commerciali; ecocidio, cioè danni gravissimi alla biodiversità e agli ecosistemi; genocidio, la peggiore delle accuse, sotto la lente dei più importanti tribunali internazionali.
E ora scolasticidio, qualcosa che va oltre il danneggiamento pressoché totale delle scuole e delle università della Striscia: “è la distruzione del futuro e della speranza dei giovani di Gaza”, dice Sameer Hanna Khader, docente del Politecnico di Hebron, con una lunga carriera amministrativa e accademica alle spalle, che l’ha portato a collaborare con università italiane ed europee.
Il professor Khader è originario del governatorato di Jenin, una delle aree più critiche della Cisgiordania. Quando lo raggiungiamo a inizio luglio si trova lì, da poco si è consumato un attacco israeliano.
Professor Khader, che cosa è successo?
SHK Questa mattina quattro persone, quattro giovani (alla fine saranno sette, ndr) sono stati uccisi dalle forze armate israeliane. Abbiamo sentito le esplosioni fin qui, nella valle. Distiamo circa 15 chilometri da Jenin.
Hanno attaccato il campo profughi di Jenin?
SHK Sì, con dei droni.
Qual è la situazione a Jenin dopo il 7 ottobre, quando Hamas ha attaccato Israele, uccidendo 1.200 persone?
SHK Due giorni fa sono andato in città, per sbrigare una questione burocratica. Erano sei mesi che non ci andavo e ho visto distruzione ovunque: Jenin è davvero in condizioni terribili. Le strade sono danneggiate, anche gli attraversamenti pedonali e le rotonde sono state distrutte. E la gente è triste: hanno perso più di trecento-quattrocento giovani, tanti ne sono stati uccisi nell’ultimo anno. Vedi la tristezza e la depressione nei loro volti. L’economia è distrutta, un tempo gli israeliani venivano a fare acquisti a Jenin, perché si trova sul confine, ma ora è quasi tutto chiuso. Jenin ha perso tantissimo, da un punto di vista economico e umano. Non ci sono nemmeno più studenti: a Jenin c’è l’università arabo-americana, che ospita soprattutto studenti interni, ora è praticamente solo online. Forse uno o due programmi restano in presenza, quelli di Medicina, ma il resto dei corsi è online.
E nelle altre città in Cisgiordania qual è la situazione?
SHK Anche nelle altre città è critica e decisamente peggiorata dal 7 ottobre. In generale, il Nord della Cisgiordania vive la condizione più grave. Nel centro, quindi in città come Ramallah e Betlemme, va un pochino meglio e a Hebron, dove insegno e lavoro, la situazione non è buona, ma non costantemente come a Jenin. Diciamo che va a ondate.
Gli israeliani dicono di attaccare Jenin, in particolare il campo profughi, perché è lì che da sempre si annida la resistenza più strenua. È ancora così?
SHK Non so dopo aver ucciso più di 300-400 persone come puoi avere ancora una forte resistenza. Hanno bonificato tutto, ma non si risolve la situazione con gli omicidi. Così si produce solo altra violenza, altri omicidi. Dal 2002, dalla seconda Intifada, hanno ucciso centinaia di persone a Jenin, ma dopo vent’anni siamo ancora allo stesso punto, perché siamo dentro un circolo vizioso di violenza e questo vale per tutta la Cisgiordania. Io sono cristiano, ma ho perso mio fratello a causa di questa violenza: aveva 16 anni e gli hanno sparato nel 1968, un anno dopo, il giorno di Pasqua, è morto. Avevo sette anni e ho visto quando gli hanno sparato. Non dimenticherò mai quella scena.
Un altro problema in Cisgiordania sembra essere la presenza di coloni sempre più violenti.
SHK Sì, i coloni sono ormai mezzo milione e qualche mese fa il ministro israeliano della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha dato loro il permesso di girare armati: ora possono uccidere liberamente, possono attaccare senza che gli venga attribuita alcuna responsabilità, come i soldati. Ad aprile, una studentessa della nostra università al secondo anno di Infermieristica, si chiamava Maimouna Hamarsheh, è stata uccisa senza motivo. Stava attraversando la strada di fretta, perché aveva l’esame finale, i soldati avevano chiuso una strada e hanno pensato stesse per condurre qualche operazione contro di loro: le hanno sparato in testa, senza nemmeno chiederle che cosa stesse facendo. Le hanno sparato e basta, e questo può succedere frequentemente, perché nessuno chiede conto delle loro azioni. È come vivere nella foresta.
Qual è la situazione delle università palestinesi e in particolare a Gaza?
SHK In Cisgiordania e a Gaza ci sono 17 università e 34 college comunitari e universitari, piccole realtà per programmi e abilità speciali. Undici università si trovano in Cisgiordania, le altre sei a Gaza: queste ultime sono state tutte completamente distrutte. Gli studenti della Striscia sono circa 85mila, mentre in Cisgiordania sono 225mila. Ma a Gaza ora sono senza educazione: i giovani hanno perso il futuro e la speranza.
Riuscite in qualche modo ad aiutare gli studenti di Gaza?
SHK Sì, le università della Cisgiordania stanno cercando di aiutarli a continuare i loro studi, attraverso l’accesso alle loro risorse: gli studenti di Gaza possono seguire online alcuni corsi e lezioni. Nel primo semestre, a partire da aprile, sono stati coinvolti circa 28mila studenti, ora inizia il secondo semestre, ma il problema è che a Gaza non c’è una buona connessione internet. Tutto è stato distrutto, la rete non è stabile e alcuni studenti devono fare chilometri per raggiungere dei punti con una buona connessione. Molti, poi, non hanno soldi per pagare il servizio. Noi continueremo ad aiutarli, ma speriamo che la guerra finisca o ci sia un cessate il fuoco a breve, in modo che le cose si possano un minimo stabilizzare e magari il prossimo semestre andrà meglio.
E qual è invece la situazione delle università in Cisgiordania?
SHK A causa delle restrizioni nei movimenti e della tensione dopo il 7 ottobre, è molto difficile per gli studenti frequentare. Alcuni sono stati arrestati o fermati ai checkpoint e per questo le università hanno deciso di mantenere sia un approccio educativo online che in presenza. Gli studenti che sono in grado di frequentare possono andare in università, i professori sono nelle classi, ma allo stesso tempo viene garantita la possibilità di fare lezione da remoto, così come gli esami.
C’è qualche forma di collegamento e cooperazione tra le università palestinesi?
SHK Sì. C’è un Consiglio delle università, gestito dal ministero dell’Educazione e anche i college hanno un Consiglio comune. I presidi si incontrano, ci sono delle buone connessioni e anche dei programmi condivisi tra le università.
Quanti docenti e studenti le risulta siano stati uccisi a Gaza?
SHK Secondo il ministero dell’Educazione, i docenti universitari uccisi sono 97, tra dottori e professori; tre i presidenti delle università e sei o sette i presidi che hanno perso la vita. Per quel che riguarda gli studenti, solo nei primi 44 giorni di guerra, ne sono stati uccisi più di 400 a Gaza e dodici in Cisgiordania. Secondo i dati aggiornati al 30 giugno 2024, il totale degli studenti uccisi, dalle elementari all’università, è di 8.672, mentre sono 497 gli insegnanti e gli amministratori ammazzati.
I dodici studenti uccisi in Cisgiordania sono stati colpiti nelle università?
SHK No, non sono stati uccisi dentro le università, ma spesso ai checkpoint. Solo in un caso, quello che ho citato, una nostra studentessa è stata colpita molto vicino all’università. Stava cercando di entrare per fare un esame, ma è stata uccisa a sangue freddo.
La situazione sembra essere più pesante del solito. Anche a Gerusalemme e Ramallah le persone non vogliono parlare, a volte anche i giornalisti…
SHK Certo, perché hanno paura, abbiamo paura. Se parliamo ci possono arrestare, anche se esponiamo solo i fatti.
Avete ricevuto qualche forma di solidarietà dalle università straniere?
SHK Sì, abbiamo ricevuto lettere e personalmente messaggi da colleghi stranieri. Sono preoccupati per noi e ci chiedono in continuazione come stiamo, se siamo al sicuro. Noi domandiamo agli accademici di tutto il mondo di alzare la voce e di stare dalla nostra parte.
Avete qualche contatto con dei docenti o università israeliane? C’è qualche forma di collaborazione?
SHK No. È stato deciso dal sistema educativo palestinese di boicottare i docenti e il sistema israeliano, almeno fino a quando i nostri problemi non saranno risolti. Quando l’occupazione sarà finita, loro saranno i nostri vicini. Siamo vicini. Ma prima di allora, no.
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