Economia / Opinioni
L’ipocrisia europea su terre rare e materie prime critiche. Tra colonialismo e scarsa trasparenza

L’approvvigionamento europeo delle materie prime critiche ha un gigantesco problema di “processo” e mina i diritti umani, come dimostra il modus operandi del Comitato per le materie prime critiche in seno alla Commissione. Dal Ruanda alla Turchia, fino a Portogallo, Serbia e Svezia. La denuncia delle organizzazioni della società civile. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini
Il colonialismo statunitense su terre rare e materie prime critiche indigna. E giustamente. Pensiamo all’Ucraina, alla Groenlandia, al Canada, alla Palestina. Non che prima la sostanza neoliberale fosse molto diversa ma questa maniera disumana di Donald Trump e garzoni di esibire la supremazia “immobiliare” dell’economia sulla vita di miliardi di persone lascia sgomenti. Va riconosciuto, però, che l’ipocrisia europea tocca vette altissime.
Prendiamo ad esempio il caso dell’implementazione del Regolamento Ue che esattamente un anno fa ha istituito, con enorme ritardo, “un quadro atto a garantire un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime critiche” (2024/1252). Ai fini di questo Regolamento ne è disceso un Comitato per le materie prime critiche in seno alla Commissione europea chiamato a stabilire l’elenco dei cosiddetti “progetti strategici”. Ne fa parte anche l’Italia, con una rappresentanza dei ministeri dell’Ambiente e delle Imprese. La citata lista è di grande importanza perché stabilisce quali progetti minerari ricevono lo status di “alta priorità”, seguendo così un iter autorizzativo accelerato e preferenziale per poter estrarre i minerali strategici per la transizione energetica e digitale.
La dipendenza europea è cosa nota: il 100% dell’approvvigionamento Ue di elementi delle terre rare pesanti è coperto dalla Cina, il 98% del boro arriva dalla Turchia, il 71% del fabbisogno di platino è in capo al Sudafrica. Tuttavia, come ha denunciato la Coalizione europea per le materie prime, composta da diverse Ong e coordinata dallo European environmental bureau, questo processo di selezione sarebbe stato condotto a porte chiuse, “senza alcuna sostanziale trasparenza o coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, sollevando serie preoccupazioni sulla legittimità democratica del processo decisionale”. Robin Roels, coordinatore della Coalizione, ha dichiarato a fine febbraio di quest’anno che le “Ong, le comunità locali e i difensori dell’ambiente sono stati lasciati all’oscuro, incapaci di valutare o contestare le implicazioni ambientali, sociali e dei diritti umani di questi progetti”. I precedenti non fanno affatto ben sperare. “La situazione è aggravata dal continuo disinteresse della Commissione europea per processi di consultazione nelle regioni chiave interessate dall’espansione mineraria. Le comunità in Portogallo, Serbia e Svezia, dove i progetti estrattivi hanno incontrato una notevole resistenza da parte dell’opinione pubblica, sono state completamente messe da parte. Le loro preoccupazioni in merito al degrado ambientale, alle violazioni dei diritti fondiari e agli impatti sociali rimangono irrisolte”.
Va ancora peggio nel continente africano, dove la Commissione europea non sarebbe riuscita a intraprendere azioni adeguate in merito a questioni serie legate ai suoi accordi strategici. “Il partenariato con il Ruanda, che solleva gravi preoccupazioni circa la violazione della sovranità e le operazioni minerarie sostenute dai militari nella Repubblica Democratica del Congo, non è stato adeguatamente esaminato. Le segnalazioni di violazioni dei diritti umani e l’uso di forze militari e paramilitari per proteggere i siti minerari non hanno portato a una rivalutazione dell’impegno strategico dell’Unione europea nella regione”, continua la Coalizione. Le organizzazioni della società civile ci stanno mettendo in guardia da un “pericoloso precedente”, che è quello di dare la priorità agli interessi aziendali e geopolitici rispetto alla responsabilità democratica, ai diritti umani e alla giustizia ambientale. Quel modus operandi di Trump e accoliti che ci indigna. E senza cambiare di una virgola il nostro modo insostenibile di estrarre, produrre, consumare, buttare. “L’Ue non può pretendere di essere all’avanguardia nell’approvvigionamento responsabile di materie prime minando al contempo gli stessi principi di trasparenza e consenso che dice di sostenere”.
Al di là dell’elenco, il tema di fondo rimane. Abbiamo un gigantesco problema di “processo”, che è opaco e che invece di garantire i valori democratici aggrava le ingiustizie. La cultura dei diritti umani, oggi, è una terra rara.
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