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Interni

L’intelligence contro le mafie

Il Comune di Milano, primo in Italia, apre un ufficio antiriciclaggio, e si propone di utilizzare strumenti moderni e valorizzare dati “già pubblici” per ridurre il peso dell’infiltrazione nell’economia locale _ _ _
 

Tratto da Altreconomia 151 — Luglio/Agosto 2013

Milano ha scelto un nuovo approccio nella lotta alle mafie. Il 10 giugno scorso, il Comune di Milano ha adottato la delibera che dà il via libera all’apertura del primo ufficio antiriciclaggio promosso da un’amministrazione locale in Italia.
È un nuovo paradigma nella lotta al crimine organizzato: che parla di combattere le mafie, non semplicemente difendersi, e di attaccare le cosche sul fronte economico e del riciclaggio del denaro sporco. Che parte dalla capacità di incrociare la notevole mole di dati di cui un’amministrazione comunale dispone, di utilizzare le nuove tecnologie, di introdurre un modello di controllo preventivo basato sul grado di rischio (risk assessment), ossia sulla probabilità che un determinato evento -in questo caso l’inserimento del crimine organizzato nell’economia e nell’amministrazione di un territorio- si verifichi.
Tutto questo accade in Lombardia, regione colonizzata dalla ‘ndrangheta, come è stato scritto nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, e dove l’appetito delle mafie è stuzzicato dai cantieri per l’Expo 2015.
L’impulso che ha mosso palazzo Marino è arrivato dalla Commissione comunale antimafia, in particolare dal suo Presidente, il consigliere del Pd David Gentili, che ha raccolto la proposta di Mario Turla, consulente antiriciclaggio per le banche, ascoltato nel luglio dello scorso anno.

Verrà utilizzata la tecnica dello scoring, che attraverso l’utilizzo di uno specifico software permette di correlare e di soppesare opportunamente dal punto di vista statistico una serie di dati: quelli relativi a dichiarazioni Isee, licenze edilizie e commerciali, multe, quelli ottenuti dal Pubblico registro automobilistico (Pra), consumi elettrici e di gas, quelli dell’anagrafe, dichiarazioni dei redditi, passaggi repentini di licenze commerciali, numero e tipologia di immobili acquistati in contanti e altri ancora. Attribuendo a ogni dato un certo punteggio, il Comune può evidenziare un rischio alto, medio o basso che una certa persona, come prestanome, oppure un’azienda o un esercizio commerciale siano (possibili) strumenti di riciclaggio del denaro sporco.
La persona o la situazione oggetto di sospetto, ovviamente, vengono segnalate all’autorità giudiziaria, alla Banca d’Italia e alle altre autorità competenti per lo svolgimento delle necessarie indagini e verifiche.
In pratica, il Comune di Milano ha adottato la normativa sulla segnalazione delle operazioni finanziarie sospette che obbliga intermediari finanziari, banche, notai, avvocati, commercialisti ed altri operatori del settore finanziario ed immobiliare a segnalare all’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia (www.bancaditalia.it/UIF), i movimenti di denaro poco trasparenti.
Una normativa il cui riferimento principale è il decreto legislativo numero 231 del 2007, e che si rivolge anche alla pubblica amministrazione. Sinora, nessun Comune del nostro Paese si è attivato in tal senso, né il ministero dell’Interno ha diffuso i cosiddetti “indici di anomalia”. Quello di Milano è il primo caso in Italia.

In tema di operazioni finanziarie sospette, dando un’occhiata ai dati contenuti nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) si scopre che in Italia, nel primo semestre 2012, ne sono state registrate 10.773, di cui il 42% nel Settentrione, dove il primo posto è occupato proprio dalla Lombardia. Regione quest’ultima dove si trova anche il maggior numero di immobili e di aziende sottratte definitivamente al crimine organizzato nel Nord Italia: rispettivamente 963 e 223, secondo le statistiche fornite dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati (vedi Ae 150).
Se per molti ancora pecunia non olet, questo non vale più per il Comune di Milano. —
 

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