Ambiente / Intervista
L’impatto simbolico ed ecologico del taglio del bosco di larici a Cortina per la pista di bob
Le Olimpiadi invernali 2026 erano state presentate come emblema di sostenibilità e di un rinnovato rapporto con la montagna di fronte alla crisi climatica. A Cortina accade l’esatto contrario. “Il segnale che stiamo dando al mondo intero è pessimo”, osserva Giorgio Vacchiano, docente e ricercatore di Gestione e pianificazione forestale
La pista di bob prevista a Cortina d’Ampezzo per le Olimpiadi invernali 2026 sta suscitando numerose perplessità ed evidenziando una lunga serie di fragilità progettuali e gestionali, oltre all’evidente insostenibilità economica. Tuttavia, una riflessione va fatta anche sul piano simbolico e ambientale. Infatti nel sito previsto per la costruzione dello sliding centre è in corso l’abbattimento di varie centinaia di larici risalenti a ben due secoli fa, piante sopravvissute a due conflitti mondiali e alla tempesta Vaia. Anche per questo, molti cittadini e associazioni della società civile stanno manifestando la loro contrarietà all’opera, segnalando l’importanza culturale ed ecologica del bosco. Ne abbiamo parlato con Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente in Gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano.
Vacchiano, come valuta il taglio del lariceto per la costruzione del Cortina sliding centre?
GV Vanno fatte diverse considerazioni. Ovviamente si parla di deforestazione vera e propria, poiché gli alberi in questione verranno tagliati senza seguire i protocolli previsti da un’ordinaria pianificazione forestale e poiché al loro posto non ne nasceranno di nuovi. Quindi il bosco sparisce e per un’opera di dubbia utilità, dal momento che è noto a tutti il numero esiguo di sportivi che praticano il bob a livello nazionale, come noti sono gli elevati costi di realizzazione dell’impianto. Mi pare che la forzatura, anche sul piano organizzativo, fatta per consentire la realizzazione della pista sia stata giustificata a livello governativo in nome di un’italianità che per me non ha nessun senso di esistere, soprattutto se diventa l’italianità dei peggiori impatti ambientali. Anche se stiamo parlando di soli due ettari di bosco e duemila metri cubi di larice, come è anche vero che di boschi nella zona ce ne sono molti, un impatto esiste, sicuramente sul piano simbolico. Per un evento come le Olimpiadi invernali, che dovevano rappresentare un simbolo per l’Italia, di sostenibilità e di un rapporto con la montagna che va modificato se vogliamo fronteggiare la crisi climatica, il segnale che stiamo dando al mondo intero è pessimo. Se, quanto in corso a Cortina dovesse fare da esempio, in Italia o altrove, potrebbe generare molte altre situazioni simili, con la conseguenza che piccoli, ma negativi, impatti rischierebbero di moltiplicarsi per la trasmissione di un messaggio profondamente sbagliato. Inoltre è vero che il territorio bellunese gode di una ricca biodiversità, ma a maggior ragione tale patrimonio naturale va tutelato, anche per mostrare come sia possibile favorire un buon rapporto tra ecosistemi e sviluppo del territorio.
Nel testo Il Larice (ed. La Cooperativa di Cortina, 1999), l’autore ampezzano Dino Dibona scriveva che la presenza dei lariceti è preziosa e insostituibile per la conservazione del suolo su gran parte dell’arco alpino e che una maggiore cultura forestale rimane l’unica alternativa allo sfruttamento selvaggio delle risorse ambientali e allo spopolamento della montagna. Sul piano culturale che cosa si perdere con l’abbattimento di questo bosco?
GV Un forestale, abituato a lavorare con alberi che vivono a lungo, può anche dire che di larici secolari ce ne sono tanti, ma a Cortina d’Ampezzo stiamo parlando di un bosco che si trova vicino a un centro urbano, in una zona turistica e amata dai locali (il lariceto è anche chiamato Bandión, parola dalle probabili origini germaniche, che significa multa, ovvero “protetto dal taglio”, da Pallidi nomi di monti, di Lorenza Russo, editore Regole d’Ampezzo, La cooperativa di Cortina, Cassa rurale e artigiana di Cortina d’Ampezzo, 1994, ndr). Va quindi considerato tutto l’insieme dei valori intangibili che un bosco rappresenta. Pensiamo ai valori paesaggistici, storici, culturali, affettivi. In generale, la dimensione culturale è molto trascurata nel rapporto che le persone hanno con gli ecosistemi, che non offrono solamente un valore commerciale, ma anche di esistenza, perciò difficilmente quantificabile in termini economici. Stimare quanto può valere il lariceto di Cortina è un’operazione complessa che va fatta anche esaminando il motivo per cui l’opera in questione si realizza. Non sono per nulla contrario al taglio di alberi di per sé o alla trasformazione di un paesaggio, ma solo se l’impatto antropico è motivato da un fine utile e porta vantaggi al più alto numero di persone possibili. Nel caso della pista di bob si parla di benefici per pochi.
Dal punto di vista ecologico la perdita del lariceto ci deve far riflettere?
GV Credo che la nuova pista di bob possa consentire un ritorno d’immagine a Cortina d’Ampezzo, ma solo sul momento. Purtroppo è molto probabile che fra dieci anni farà la stessa la fine del trampolino di salto con gli sci situato all’ingresso della città e a quel ci saranno due, non più una, cattedrali nel deserto. Un biglietto da visita non certo simpatico. In Italia abbiamo un territorio vasto da gestire e per questo servono un’idea di sviluppo ad ampia scala e una pianificazione partecipata. Fare interventi singoli e senza una logica di base non corrisponde a questa idea di gestione territoriale, inoltre scredita il duro lavoro svolto da chi la pianificazione la fa bene.
Proprio in questi giorni è passata la Nature restoration law (legge adottata dal Parlamento europeo il 27 febbraio 2024 per il ripristino degli ecosistemi, il contrasto alla perdita di biodiversità e l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico, ndr), che mostra come ogni euro investito nella conservazione della natura frutti ben otto euro alla comunità. Significa che alla mera tutela del patrimonio naturale spesso si affianca anche un ritorno economico; un bosco diversificato consente una maggiore produzione di legno, un fiume ripristinato nel suo libero corso attenua i rischi di inondazione. Se si segue una corretta pianificazione la natura può essere utile alla comunità e anche solo restando all’interno di un’ottica antropocentrica, o economica, è nel nostro interesse mantenere e tutelare gli ecosistemi. Di fronte a nuovo cemento, a nuova deforestazione, ci si deve chiedere: lo facciamo per un bene comune, e a lungo termine, o no? Il bene comune, la partecipazione e la durata dei benefici sono dei punti chiave sui quali riflettere, non solo per la nuova pista di bob.
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