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Diritti / Attualità

L’impatto del Covid-19 sui diritti delle bambine. Una “epidemia nascosta”

Aumentano i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali, milioni di bambine non torneranno sui banchi di scuola dopo il lockdown. Dopo quasi due anni di pandemia c’è un drammatico peggioramento della condizione delle bambine e delle ragazze, che rischiano di essere escluse dai settori più remunerativi del mercato del lavoro del futuro. L’allarme del dossier “InDifesa” di Terre des Hommes

© European Union, 2021 (photographer: Olympia de Maismont)

L’epidemia da Covid-19 ha scatenato quella che le Nazioni Unite hanno definito una “epidemia nascosta” caratterizzata da un aumento delle violenze di genere che -in diverse forme- hanno colpito in maniera sproporzionata bambine, ragazze e donne. E le conseguenze di questa “epidemia nascosta” continueranno a farsi sentire ancora per molti anni.  Si stima, ad esempio, che nei prossimi dieci anni il numero di spose bambine aumenterà di 10 milioni, invertendo un trend in calo da qualche anno. E con i matrimoni precoci aumenteranno anche il numero di baby-mamme, che corrono maggiori rischi rispetto alle donne adulte di morire per complicanze legate alla gravidanza e al parto. Nello stesso periodo di tempo, due milioni di bambine e ragazze che avrebbero potuto evitare la pratica delle mutilazioni genitali -anche grazie ai programmi di prevenzione, interrotti a causa della pandemia- dovranno invece subire la crudele pratica del “taglio”.

I lunghi periodi di lockdown imposti nei diversi Paesi per contenere la diffusione del virus, inoltre, hanno portato a prolungate chiusure delle scuole e costretto 1,5 miliardi di studenti (di cui 742 milioni di bambine e ragazze) a restare a casa. Durante una crisi come quella scatenata dal Covid-19 le bambine, le ragazze e le giovani donne sono le prime a essere costrette a lasciare la scuola e le ultime a farvi ritorno”, aveva commentato ad aprile 2020 il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, lanciando un appello ai governi di tutto il mondo affinché agissero al più presto per garantire che tutte le ragazze siano in grado di tornare a scuola quando la crisi sarà passata” perché “avere giovani donne istruite è fondamentale per la salute pubblica e la ripartenza dell’economia”. Purtroppo l’appello di Yousafzai è caduto nel vuoto: si stima infatti che milioni di bambine e ragazze  (tra gli 11 e i 20 milioni) non torneranno più sui banchi di scuola. Perché costrette a lavorare per sostenere le famiglie, perché forzate in un matrimonio precoce, perché vittima di violenze o perché diventate madri troppo presto.

Sono alcuni dati che emergono dalla decima edizione del dossier “InDifesa” di Terre des Hommes, pubblicato in occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze istituita dalle Nazioni Unite e che si celebra l’11 ottobre.  I dati e le storie contenute nel report evidenziano in maniera chiara come la crisi sanitaria ed economica scatenate dalla pandemia da Covid-19 abbiano aumentato ulteriormente le diseguaglianze ai danni della componente femminile anche tra le più giovani. A partire proprio dai banchi di scuola.

Le conseguenze della pandemia si sono sommate a quelle condizioni che anche in precedenza impedivano a bambine e ragazze di poter studiare con profitto e acquisire una buona istruzione. Oltre a matrimoni e gravidanze precoci, a ostacolare la frequenza scolastica -e quindi a condannare le ragazze alla povertà- sono anche il lavoro minorile (che coinvolge 63 milioni di bambine e ragazze) oltre alla così detta period poverty che impedisce a 500 milioni di donne e ragazze di accedere a servizi adeguati per la propria igiene personale durante le mestruazioni. In diversi Paesi la percentuale delle adolescenti che rinunciano ad andare a scuola a causa del ciclo mestruale varia dal 35 al 54%.

Commentando i dati del GenderGap Report 2021, l’economista Cristiana Compagno -già rettore dell’Università di Udine- ha affermato che “il Covid-19 si è mangiato la parità di genere”. Prima dello scoppio della pandemia, si stimava che sarebbero stati “sufficienti” 99 anni per raggiungere la parità di genere: oggi il gap è cresciuto a 135 anni. E se ci si concentra sulla distanza tra uomini e donne nel mondo del lavoro si arriva all’incredibile cifra di 267,6 anni. E questa forbice rischia di allargarsi ulteriormente se le giovani donne resteranno ai margini del mercato del lavoro e dei suoi cambiamenti.

Cambiamenti che possono (anche) essere molto banali: in Inghilterra, ad esempio, l’installazione di casse automatiche nei negozi ha portato al taglio di un cassiere su quattro tra il 2011 e il 2017. Molte erano donne e ragazze. Unesco, inoltre, avverte che mentre molti lavori poco qualificati vengono progressivamente automatizzati, i lavoratori con un alto livello di istruzione e competenze saranno sempre più ricercati. Sempre nel Regno Unito, uno studio dell’Ufficio nazionale di statistica condotto tra il 2011 e il 2017 ha evidenziato che le donne rappresentano il 70% della forza lavoro nei settori considerati ad alto rischio automazione, ma solo il 43% in quelli meno a rischio.

“Puntare sulla formazione delle ragazze nelle discipline STEM (acronimo che sta per Science, Technology, Engineering, Mathematics) e sul loro successivo impiego lavorativo in questi settori è fondamentale per chiudere o quantomeno ridurre questa distanza”, sottolinea il report. Ma la strada da fare è ancora tanta e -avverte Unicef- gli sforzi per preparare le ragazze e le giovani donne a partecipare al mondo del lavoro in condizioni di uguaglianza (anche nell’ambito STEM) devono avere un’accelerazione nei Paesi del Nord come nel Sud del mondo: “Perché il sistema di istruzione globale ha permesso che le differenze di genere venissero perpetuate, colpendo in particolare le ragazze più povere e marginalizzate”.

Nei Paesi dell’Africa sub-sahariana e del Sud-est asiatico, ad esempio, le bambine della scuola primaria hanno risultati peggiori in matematica rispetto ai compagni maschi. Inoltre, nei Paesi a basso reddito le ragazze sono particolarmente svantaggiate nell’acquisire le competenze digitali di base: in Ghana, ad esempio, il 16% degli adolescenti maschi ha questo tipo di competenze, contro il 7% delle coetanee di sesso femminile. Passando all’università il gap si conferma: a livello globale solo il 18% delle ragazze frequenta facoltà universitarie in ambito STEM, contro il 35% dei coetanei maschi.

Dalla scuola e dall’università, questa disparità di genere si trasferisce nel mondo del lavoro. Tra il 2019 e il 2020 LinkedIn e il World economic forum hanno analizzato le professioni emergenti nel mercato del lavoro di venti Paesi (esperti di intelligenza artificiale, esperti di gestione dei dati, ingegneri informatici specializzati,…): “I dati indicano una sfida importante per il futuro della parità di genere: solo in due degli otto cluster individuati si registra una parità di genere e molti mostrano una grave sotto- rappresentazione della componente femminile”. Il gender gap è particolarmente profondo nei settori che richiedono abilità tecniche innovative come il Cloud Computing (dove le donne rappresentano solo il 14% della forza lavoro), ingegneria (20%), analisi dei dati e intelligenza artificiale (32%). Ma sebbene questi settori siano molto attrattivi per i giovani lavoratori “al livello attuale questi flussi in ingresso non permettono di chiudere il gap tra maschi e femmine”, si legge nel report che evidenzia come la crescita della componente femminile in questi settori tra febbraio 2018 e febbraio 2021 sia stata estremamente ridotta, se non assente.

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