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Cultura e scienza / Intervista

L’eredità di Margherita Hack per le giovani donne di scienza

Un ritratto di Margherita Hack scattato nel 2011 al festival della Scienza © Cirone-Musi

L’astrofisica e divulgatrice scomparsa il 29 giugno di dieci anni fa ha rappresentato un punto di riferimento importante per le studentesse e le ricercatrici che si avvicinano alle discipline scientifiche. Ne abbiamo parlato con Francesca Matteucci, che ha raccolto il suo testimone sulla cattedra di Fisica stellare all’Università di Trieste

Nel 1997, in occasione della cerimonia per il suo pensionamento, era stata la stessa Margherita Hack, astrofisica scomparsa il 29 giugno 2013 all’età di 91 anni, a indicare in Francesca Matteucci la persona che avrebbe preso il suo posto sulla cattedra di Fisica stellare all’Università di Trieste: “La Francesca sarà la mia successora”, aveva detto con il suo inconfondibile accento toscano. “Lo intendeva sia in termini accademici, sia come ‘testimonial’ al femminile. Perché per emanciparsi, le ragazze hanno anche bisogno di esempi: la professoressa Hack è stata un punto di riferimento importante per tutte le donne che da giovani si sono avvicinate alle scienze e all’astrofisica. Io non sono nota come lei e non ho la sua stessa capacità per la divulgazione, ma molte mie studentesse mi hanno detto di aver continuato nel loro percorso di studi spinte anche dalla mia presenza -racconta oggi ad Altreconomia la professoressa Francesca Matteucci-. Margherita Hack è stata un grande esempio per noi donne, ha fatto un mestiere che ai tempi era considerato ‘da uomo’. Al tempo stesso è stata una persona impegnata nel sociale, nella difesa delle minoranze e che si è sempre battuta contro le ingiustizie. Con un grande cuore e un grande amore per gli animali”.

Matteucci è anche accademica dei Lincei e nel corso della sua carriera ha ricoperto ruoli prestigiosi come la direzione del Dipartimento di Astronomia presso l’ateneo friulano creato dalla stessa Hack, è stata presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto nazionale di astrofisica e ha fatto parte del comitato tecnico-scientifico dell’Agenzia spaziale italiana (Asi).

Professoressa Matteucci, quale è stato il contributo della professoressa Hack all’astrofisica e alla ricerca in questo campo?
FM
Era una spettroscopista stellare, disciplina a cui ha dato un grandissimo contributo con i suoi studi e le sue ricerche. Ha curato lavori importanti in particolare sulle stelle binarie e negli ultimi anni della sua vita ha studiato soprattutto quelle nella banda dell’ultravioletto. Alla fine degli anni Cinquanta aveva ipotizzato che un sistema binario potesse avere una ‘compagna’ massiccia che non era possibile osservare nell’ottica. Un’intuizione che è stata confermata successivamente grazie al satellite “International ultraviolet explorer”.

Margherita Hack è nota al grande pubblico soprattutto per la sua opera di divulgazione scientifica.
FM Ha dedicato quasi interamente gli ultimi trent’anni della sua vita a questa attività. Le persone comuni difficilmente avrebbero letto i suoi saggi e le pubblicazioni scientifiche sulle stelle ma tutti la conoscono grazie al suo impegno per la divulgazione scientifica e questo è stato uno dei suoi grandi meriti. Ha viaggiato in tutta Italia partecipando a incontri e conferenze, oltre a diffondere la sua conoscenza attraverso la televisione. Aveva senza dubbio una personalità che bucava lo schermo.

Una delle sue espressioni più celebri è “Siamo tutti figli delle stelle”. Può spiegarla meglio?
FM Durante il Big bang, l’evento che ha dato origine all’universo, si sono formati solo gli elementi leggeri: l’idrogeno e l’elio. Mentre tutti gli altri elementi chimici che formano il nostro corpo -il ferro nel sangue, il calcio delle ossa, l’ossigeno che respiriamo- li hanno “fatti” le stelle. Che hanno sintetizzato e sintetizzano tutt’ora ogni elemento chimico della tavola periodica di Mendeleev. Contraendosi, le stelle riescono ad arrivare a temperature di miliardi di gradi kelvin e lì avvengono queste reazioni di fusione in cui i nuclei più leggeri si fondono per crearne uno più pesante. Inoltre, in questo processo c’è la liberazione di un’enorme quantità di energia, quella che fa brillare il sole.

Lei si definisce “un’archeologa galattica”, quali ambiti interessano le sue ricerche?
FM Io elaboro dei modelli su come si è formata la nostra galassia che poi confronto con i dati osservativi raccolti da chi, come la professoressa Hack, si occupa di spettroscopia stellare. L’universo, infatti, è formato da centinaia di miliardi di galassie e ogni galassia ha centinaia di miliardi di stelle. In base alle abbondanze chimiche che andiamo a misurare nelle stelle possiamo ricostruire a ritroso la storia di come si sono formate.

E che prospettive ci sono in futuro sulla ricerca in quest’ambito?
FM Enormi possibilità. Con il telescopio spaziale Webb (lanciato in orbita nel dicembre 2021, ndr), tarato su una banda molto particolare ovvero quella dell’infrarosso, andremo a osservare l’universo nei suoi primissimi momenti per cogliere quando si sono formate le prime stelle nelle prime galassie. Inoltre tutte le questioni delle abbondanze chimiche saranno rivoluzionate dall’Extreme large telescope che verrà installato nel deserto di Atacama in Cile e che avrà uno specchio del diametro di 39 metri. È importante sottolineare che più è grande lo specchio più indietro nel tempo riusciremo a guardare: sarà una rivoluzione enorme perché la quantità di dati raccolti e la loro precisione sta aumentando sempre più. Tutto questo ci aiuterà a capire meglio l’evoluzione delle galassie e, di conseguenza, quella dell’universo.

Questo tipo di ricerca ha anche un’applicazione pratica?
FM A un primo sguardo può sembrare che le nostre ricerche non servano a nulla ma basta pensare allo sviluppo del telefono cellulare o a quello del navigatore Gps che capire che in realtà non è così. L’ambito di cui mi occupo si riferisce alla fusione nucleare che avviene nelle stelle: è molto difficile da riprodurre in laboratorio, ma sono convinta che un giorno ci riusciremo e quando saremo in grado di costruire un motore a fusione nucleare -che non produce energia “sporca” come quello a fissione- potremo utilizzare l’idrogeno contenuto nell’acqua come combustibile.

Rispetto al ruolo delle donne nella scienza, che cosa è cambiato tra il suo percorso da studentessa universitaria e quello delle ragazze che oggi seguono le sue lezioni?
FM Ci sono stati cambiamenti enormi. Quando ero una studentessa il maschilismo era ancora molto forte: le facoltà delle cosiddette “scienze dure” erano frequentate quasi esclusivamente da uomini, l’anno in cui mi sono iscritta alla facoltà di fisica de La Sapienza eravamo tre donne su circa duecento matricole. Oggi le ragazze che scelgono di studiare queste discipline sono quasi la metà del totale degli iscritti e questo è un grosso passo avanti; anche tra le dottorande si registrano dei miglioramenti. Le donne sono ancora poche, invece, al vertice della piramide. Penso ad esempio alla mia disciplina: su una sessantina di cattedre di Astronomia in tutta Italia noi donne siamo in sei.

Lei ha evidenziato l’importanza, per le ragazze che si avvicinano alle discipline scientifiche, di avere modelli di riferimento. Che cosa altro serve per sostenere le giovani in questo percorso?
FM Mi è capitato spesso di incontrare studentesse che mettevano in dubbio le proprie capacità, intimorite, ad esempio, dal fatto che in una facoltà come fisica si studia tanta matematica e temevano di non essere all’altezza: le donne sono brave tanto quanto gli uomini in questa disciplina, ma spesso vengono spaventate ancora prima di provarci. Inoltre, spesso vengono scoraggiate dall’idea che questa professione non sia conciliabile con una famiglia o avere figli: anche questo è assolutamente sbagliato. Quello che ripeto frequentemente, citando il famoso slogan dell’ex presidente Obama, è: “Yes, we can”. Possiamo farcela. Le ragazze che vogliono studiare queste discipline possono avere successo perché quello che conta sono la passione e la voglia di fare. Hanno bisogno di genitori che le incoraggino in questo percorso.

Che peso ha una presenza significativa di donne all’interno dei team di ricerca che si occupano del suo ambito di studi?
FM Avere dei gruppi di ricerca misti è molto importante: è provato che quelli formati da soli uomini o da sole donne non funzionano bene. L’apporto femminile si compenetra con quello maschile, le ricercatrici spesso osservano le cose da un punto di vista leggermente diverso da quello dei loro colleghi.

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