Crisi climatica / Opinioni
L’emergenza climatica vista (in bicicletta) dall’Antartide
La calotta perde 148 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, il tempo dei combustibili fossili è finito. Dobbiamo fermarci. La rubrica di Stefano Caserini
Alla fine Omar Di Felice, ciclista professionista abituato a sfide estreme, non ce l’ha fatta ad arrivare al Polo Sud in sella alla sua bicicletta. Ha percorso 717 chilometri, trainando per 48 giorni una slitta contenente tenda, cibo e attrezzature dal peso di 80 chilogrammi con temperature costantemente tra -15 e -25 gradi centigradi, pedalando sul ghiaccio contro venti impetuosi. Oltre a quello sportivo, la spedizione aveva lo scopo di sensibilizzare sulla minaccia della crisi climatica. Era stata preparata con cura e seguita da molti mezzi di informazione. La bici e il casco hanno i colori delle climate stripes, l’efficace rappresentazione grafica che mostra quanto le temperature attuali siano insolite rispetto agli ultimi 150 anni.
L’Antartide è un luogo eloquente, perché anche il continente di ghiaccio ha cominciato a reagire al surriscaldamento globale (anche se con una grande inerzia, più lentamente rispetto al Polo Nord) e ha iniziato a perdere ghiaccio in modo consistente. Quello galleggiante che circonda la terraferma, la banchisa, nel 2023 ha stabilito il record della minima estensione. Mentre quello della calotta sta diminuendo, con qualche decennio di ritardo rispetto ai più sensibili ghiacci delle nostre Alpi e anche a quelli della Groenlandia.
Facciamo fatica a immaginare quanto sia grande la quantità di ghiaccio che si perde ogni anno dalla fusione della calotta antartica: l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) calcola 148 miliardi di tonnellate all’anno nell’ultimo decennio. Per dare un’idea, equivale a perdere ogni anno uno strato di circa sette metri di ghiaccio su una superficie grande come l’intera Lombardia.
Un periodo di temperature più elevate della media ha portato tanta neve fresca in Antartide (un luogo in cui di solito nevica poco perché fa troppo freddo) e questo ha rallentato eccessivamente la marcia di Omar. Una mattina, mentre in bicicletta mi recavo al lavoro, ho pensato al tweet che avevo letto poco prima, in cui raccontava di aver dovuto spingere la bicicletta (e il traino) per nove chilometri nella neve fresca profonda 40 centimetri, avanzando metro dopo metro.
La mia bicicletta mi sembrava più leggera, neppure ci pensavo a lamentarmi per la pioggerella che mi bagnava il viso. In fondo, le nostre piccole fatiche sono ben poca cosa se pensiamo a quello che sanno fare gli esseri umani quando si mettono d’impegno. Stiamo diventando una società di pigri e lavativi: se proponi di camminare per un chilometro per posteggiare l’auto senza dare fastidio sembrerà che tu stia chiedendo di compiere un’impresa sportiva.
48 giorni in bicicletta in Antartide per sensibilizzare sul cambiamento climatico. Avremmo bisogno del coraggio e della determinazione di Omar Di Felice nella lotta alla crisi climatica.
Avevo incontrato Omar lo scorso luglio e gli avevo chiesto se questa avventura non fosse troppo rischiosa. Mi aveva spiegato che la spedizione era stata accuratamente studiata, sarebbe stato costantemente sotto controllo di tecnici che valutavano i rischi a cui andava incontro. È da loro che infatti è arrivato l’ordine di fermarsi e tornare al punto più vicino per essere prelevato da un aereo di passaggio. “Omar, your time is over” (“Omar, il tuo tempo è finito”) è il messaggio che gli ha mandato il team per avvisare che il tempo per una spedizione in sicurezza si era esaurito. Un messaggio simile ci vorrebbe per tutti noi umani, per avvisarci che dobbiamo fermarci nel superare i limiti del nostro Pianeta bruciando combustibili fossili, perché il rischio si è fatto troppo grave. “Fossil fuel, your time is over”. In fondo è quello che ha affermato la Cop28. Ma molti faranno finta di non capire.
Stefano Caserini è docente all’Università di Parma. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (People, 2022)
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