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Legami di sangue

Il plasma è fondamentale per molti farmaci salvavita. In Italia, la sua lavorazione è -di fatto- un monopolio. Sul mercato si affacciano imprese multinazionali —

Tratto da Altreconomia 147 — Marzo 2013

Un flusso ininterrotto di plasma esce gratuitamente dalle vene dei donatori italiani, imbocca la strada della lavorazione e rientra negli ospedali sotto forma di medicine. A pagare la lavorazione sono le Regioni, garantendo un flusso uguale e contrario di denaro. Pubblico. Oggi su questo business si sta giocando una guerra economica globale.
Sono sei, e tutte multinazionali, le imprese che lavorano il plasma, la componente liquida del sangue, ottima materia prima per la produzione di medicinali cosiddetti plasmaderivati. Alcuni di essi sono veri e propri farmaci salvavita. Nel 2011 sono stati inviati alla lavorazione 748mila chilogrammi di plasma, secondo il rapporto annuale dell’Istituto superiore di sanità. “Il plasma e il sangue -spiega il dottor Giorgio Casati, dirigente amministrativo del Policlinico Gemelli di Roma ed esperto del tema- non possono essere venduti, e la lavorazione del plasma italiano è avvenuta fino ad ora da parte di un’unica impresa, con contratto lavorazione conto terzi. Significa che conferiamo il plasma alla ditta che ci restituisce i derivati prodotti. È un ciclo che in Italia è regolato in modo rigoroso. Con la legge del 1990 (vedi box) venne stabilito che la lavorazione dovesse essere fatta solo sul territorio nazionale. Si creò una sorta di monopolio. Parliamo di un mercato con barriere all’ingresso molto rilevanti, ci sono investimenti ingenti da fare e servono chiare garanzie di mercato”.

A trattare il plasma dei donatori italiani è una sola azienda, la Kedrion spa che ha il suo quartier generale a Castelvecchio Pascoli, nel comune di Barga (Lucca) e due stabilimenti: il più grande poco distante, a Bolognana nel Comune di Gallicano, e il secondo a Sant’Antimo in provincia di Napoli. Impiega 1.400 persone in tutto il mondo, 800 in Italia, e nel 2011 ha fatturato 277,3 milioni di euro. Il 44%, sono il corrispettivo pagato dalle Regioni per la lavorazione del plasma italico. La Kedrion è l’unica azienda italiana che svolge questo lavoro. È di proprietà della famiglia Marcucci. Guelfo, 85 anni, è il fondatore dell’impero del sangue, con interessi anche nell’emittenza televisiva e in altri campi, oggi amministrato dai figli Paolo, Andrea e Marialina. Solo il primo, però, si dedica full time all’azienda, di cui è presidente e amministratore delegato. Da poche settimane, è anche presidente della Plasma Protein Therapeutics Association, www.pptaglobal.org), l’associazione che riunisce le principali aziende produttrici di farmaci plasmaderivati a livello mondiale. I fratelli, invece, non disdegnano l’impegno in politica: Marialina è stata vice-presidente della Regione Toscana ed opera nel campo dell’editoria e della comunicazione. Andrea già sottosegretario nell’ultimo governo Prodi, è senatore del Pd, eletto il 24 e 25 febbraio dopo aver vinto le primarie di fine dicembre grazie ai voti presi nelle zone vicine allo stabilimento di Bolognana.

Questa storia iniziò più di vent’anni fa, quando Marcucci, pagandone i debiti, acquisì l’azienda pubblica leader italiana degli emoderivati, la Sclavo, di proprietà dell’Eni. L’operazione sancì, di fatto, la creazione di un monopolio nel settore, rafforzato nel 2001 con la nascita di Kedrion.
Il monopolio dura tutt’oggi, benché nel 2005 l’Italia abbia approvato una legge che liberalizza il mercato e permetterebbe alle altre multinazionali degli emoderivati di inserirsi nel mercato italiano. Usiamo il condizionale perché il mercato italiano per le altre 5 imprese –CSL Behring, Baxter, Octapharma, Biotest e Grifols– è ancora chiuso. Le sedi italiane delle concorrenti di Kedrion sono prive di stabilimenti di lavorazione: i competitor dell’imprese dei Marcucci non possono concorrere alle gare per la lavorazione del sangue italiano, dal momento che da 8 anni aspettano ancora l’autorizzazione definitiva ad operare.
Sono anni, infatti, che Grifols e le altre multinazionali, stanno tentando di entrare nel sistema della lavorazione del plasma italiano: “La quantità di plasma raccolto in Italia -commenta Riccardo Vanni, amministratore delegato di Grifols Italia- sta saturando il mercato italiano. Un quantitativo talmente importante che se le altre aziende non riusciranno a rientrare in questa attività, lavorando almeno una parte di plasma italiano, presto dovranno andarsene. Non per scelta opportunistica, ma perché il mercato commerciale scomparirà inevitabilmente”. Quello dei prodotti biofarmaceutici, derivanti dalla lavorazione del plasma, è un settore di nicchia e ad alto rischio aziendale, poiché lavora una materia prima incerta e con alte possibilità di contaminazione.

E le multinazionali sono pronte a fare le valigie dal nostro Paese se il fabbisogno terapeutico degli emoderivati in Italia dovesse essere soddisfatto totalmente dal plasma italiano a cui una sola azienda, la Kedrion appunto, ha accesso. “Significa -aggiunge Vanni- che non si farà più ricerca clinica, non ci saranno sviluppi volti a migliorare i prodotti salvavita o a rifornire il Sistema sanitario nazionale con prodotti per le malattie rare, si perderanno un numero elevato di posti di lavoro”. Per questo le aziende che in Italia operano nel settore stanno spingendo il Parlamento e il Governo perché il monopolio, che dura da 22 anni, venga superato attraverso un’apertura del mercato alle altre società presenti in Italia e che producono nell’Unione europea.
Il regime di libera concorrenza è previsto dalla legge 219 del 2005, che garantisce alle aziende presenti in Italia, con regolare autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti, di poter partecipare alle gare regionali: “È solo teoria -aggiunge Vanni-: in pratica, attraverso una serie di cavilli ed emendamenti più o meno strumentali, il monopolio è stato protetto e vige ancora, da 22 anni”.
Intanto, Kedrion è considerata un fiore all’occhiello del capitalismo di casa nostra. Per questo il Fondo strategico italiano, la holding di partecipazioni proprietà per il 90% della Cassa depositi e prestiti, è intervenuta a suo favore con un investimento di 150 milioni di euro. Metà per aumentare il capitale dell’azienda e l’altra metà per aprire una linea di credito convertibile o rimborsabile. Fsi detiene adesso il 18,6% dell’azienda. Un investimento sicuramente redditizio per la Cassa depositi e prestiti visto che il monopolista italiano si sta allargando in tutto il mondo, registra fatturati in crescita iperbolica (277,3 milioni di euro nel 2011, contro i 154,3 milioni del 2006) ed è considerata “strategica” in un mercato che potrebbe anche vedere periodi di carenza.
Lo scorso anno Kedrion ha rafforzato la sua presenza negli Stati Uniti d’America, concludendo a maggio l’acquisto di alcuni asset di proprietà di una delle aziende concorrenti, la multinazionale spagnola Grifols. La quale è stata costretta a cedere a Kedrion lo stabilimento di Melville per il frazionamento del plasma e due centri di raccolta, in Alabama e nel North Carolina. Nei comunicati della Kedrion che rendevano nota l’operazione non venivano utilizzate le parole “antitrust” o “concorrenza”, ma  tutto era stato deciso dalla potente Federal Trade Commission (FTC), l’agenzia antitrust indipendente americana. “Siamo stati obbligati a cedere questi asset dall’autorità americana -commenta Riccardo Vanni di Grifols Italia-, perché rischiavamo di ricoprire una posizione di mercato dominante. E non l’abbiamo fatto certamente a prezzi di mercato”.

A dirla tutta, l’ex ministro della Salute Renato Balduzzi, incalzato anche da alcuni parlamentari del Partito democratico come Ignazio Marino e Margherita Miotto, che non vedono di buon occhio il monopolio dell’azienda di famiglia del collega di partito Andrea Marcucci, qualcosa ha fatto. Nell’aprile del 2012 Balduzzi ha pubblicato dei decreti che dettavano normative per rendere possibile l’ingresso nel settore delle altre aziende presentando i documenti per ottenere le autorizzazioni necessarie. “Abbiamo fatto ciò che i decreti chiedevano -aggiunge Vanni-, avanzando  la richiesta entro luglio 2012. L’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco, ndr) le ha valutate e ha mandato al Dipartimento della prevenzione il parere, ma ad oggi non ne conosciamo il contenuto. Restiamo ancora in attesa del famoso decreto richiesto dall’articolo 15 comma 5 della legge 219 del 2005 per identificare le imprese farmaceutiche che hanno le carte in regola per partecipare alle gare, ed eventualmente sottoscrivere la convenzione con le Regioni per la lavorazione del plasma italiano. Siamo qui ‘fra coloro che son sospesi’, profondamente interessati ad entrare in questo settore. Ne va della sopravvivenza della nostra attività in Italia”. La Kedrion dal canto suo sostiene che “se il settore dei plasmaderivati, in Italia, al momento attuale ci vede come un unico protagonista è solo perché nessun’altra impresa, italiana o straniera, ha ritenuto interessante investire per entrare nel conto lavoro in Italia, cioè produrre secondo le norme esistenti. Regole molto severe, che impongono a Kedrion oneri importanti e procedure di totale sicurezza”. L’azienda condivide il fatto che dalla crescita della concorrenza beneficerà l’intero sistema, ma anche che “sia indispensabile, per le aziende italiane, avere certezza delle regole e dei tempi e parità di trattamento rispetto ai concorrenti stranieri”. Il mercato italiano rappresenta per Kedrion il 56% dei ricavi complessivi:  “Per molti anni -commenta Marialina Marcucci- è stata portata avanti una guerra per cancellare l’impianto italiano di autosufficienza, cercando di smantellarlo. Non ce l’hanno fatta perché l’Italia è convinta di questo sistema. Adesso si sta liberalizzando rispetto all’accesso al plasma italiano, ma nei Paesi di origine delle multinazionali concorrenti come la Spagna il mercato è più che protetto nei fatti. Se si liberalizza in Italia, lo si dovrebbe fare anche negli altri Paesi”. Sotto bersaglio della Kedrion anche la burocrazia italiana e i tempi lunghi di rilascio delle autorizzazioni da parte dell’Aifa: “Devono essere riviste le procedure, in Svizzera le richieste di autorizzazione si fanno online ed entro  24 ore si ha la risposta, in Italia servono almeno sei mesi”. —
 

 

Un grazie ai donatori
La legge 107 del 1990 “Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati” fissa i principi del sistema italiano, fondandolo sul principio che sul sangue umano non è possibile fare profitto e che i costi dei derivati sono a carico del Fondo sanitario nazionale e dà mandato ai Centri regionali di coordinamento e compensazione di assicurare l’autosufficienza italiana di plasma, sangue ed emoderivati. Gli ultimi dati disponibili, quelli della Relazione sullo stato sanitario del Paese 2011 del ministero della Salute, parlano di quasi 3,2 milioni di donazioni del 2010, con un incremento del 3,8% rispetto al 2009. Il 15,7% di esse sono fatte in aferesi, tecnica che consente la sottrazione solo di una specifica componente del sangue, in genere piastrine e plasma. Le regioni dove si dona di più sono Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia-Romagna, quelle in cui si dona di meno Lazio e Campania. “Nel sistema italiano il ruolo del volontariato è centrale -commenta Luciano Franchi, consigliere nazionale dell’Avis, la più grande associazione di donatori-.
È delegata a noi la funzione della promozione e della chiamata, funzioni per le quali viene assicurato un rimborso spese all’associazione”.
Le statistiche del sangue italiano dimostrano un trend crescente delle donazioni, ma un altrettanto crescente necessità di donazioni: ogni anno si alza l’asticella a causa di fattori come l’invecchiamento della popolazione e il supporto trasfusionale alla chemioterapia per le cure oncologiche”. 

 

Un affare conto terzi
Le Regioni inviano il plasma raccolto gratuitamente all’azienda autorizzata alla trasformazione industriale. Il contratto è considerato “lavorazione per conto terzi” e si configura come convenzione per la produzione dei derivati. Gli attuali contratti tra le Regioni e la ditta di trasformazione aggiudicataria, ovunque Kedrion spa, prevedono la produzione di Albumina, IVIG, FVIII, FIX, CCP e AT.
È vietato al fornitore del servizio di trasformazione industriale qualsiasi utilizzo per finalità diverse da quelle previste dalla convenzione senza un preventivo accordo con il committente. Le Regioni restano proprietarie a pieno titolo del plasma inviato alla lavorazione industriale, di tutte le specialità farmaceutiche da esso derivate, nonché della materia prima residuale, compresi gli scarti.
Nel 2011 la spesa per i medicinali emoderivati da parte del Sistema sanitario nazionale è stata di circa 535 milioni di euro, il 3,1% della spesa sanitaria totale (17,7 miliardi di euro) e pari a 8,8 euro per abitante. A questi vanno aggiunti gli oltre 123 milioni di euro del conto lavorazione del plasma italiano.
 

 

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