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Interni

L’efficacia del sostegno

Un welfare più equo nella proposta dell’Irs, che ne individua i beneficiari a partire dal nuovo sistema di calcolo dell’Isee —

Tratto da Altreconomia 154 — Novembre 2013

L’Italia è un Paese diseguale, e il welfare non riesce ad incidere sulla povertà. Lo spiega una ricerca dell’Istituto di ricerca sociale (Irs), realizzata insieme all’Associazione per la ricerca sociale e al Centro di analisi delle politiche pubbliche analizzando il profilo economico delle famiglie che percepiscono contributi dall’Inps, l’ente preposto a gestire le risorse del welfare destinate alle voci socio-assistenziali. Per queste voci si sono spesi nel 2011 67 miliardi di euro, cioè il 14% delle risorse totali del welfare, che comprende anche previdenza, sanità e ammortizzatori sociali.

I beneficiari, circa 16 milioni di famiglie (pari a 37 milioni di individui) sono stati suddivisi dai ricercatori in dieci parti, o “decili”, prendendo a modello la nuova Isee, cioè dividendoli in base alla situazione reddituale e patrimoniale (la ricerca è stata condotta su un campione tramite interviste). Il nuovo Indicatore della situazione economica equivalente -che attende ancora il via libera ufficiale del ministero dell’Economia-, infatti, rispetto al metodo di calcolo usato oggi, datato 1998, darà più peso agli immobili (pur tenendo conto dei costi per chi ha un mutuo) e ai risparmi delle famiglie, dai Bot alle azioni. In questo modo, fotograferà meglio la situazione economica dei nuclei familiari, cosa che oggi non avviene e riduce l’efficacia delle prestazioni (in Italia, la spesa sociale nel suo insieme “abbatte” la povertà del 19,7%, mentre nell’Europa dei 27 Paesi l’efficacia media è del 35,2).

Prendendo in considerazione i 51 miliardi di euro destinati alle 11 tipologie di prestazioni socio-assistenziali (detrazioni fiscali, assegni familiari, integrazioni al minimo, quattordicesima, maggiorazione sociale, pensione sociale, assegno al 3° figlio, social card, invalidità civile, indennità di accompagnamento e pensioni di guerra), ed escludendo le risorse gestite dagli enti locali, la ricerca nota come 5,6 miliardi, pari al 11% del totale, siano destinati a beneficiari che vivono in nuclei familiari che appartengono ai due decili più elevati, mentre ai quattro decili più elevati affluiscono 13,8 miliardi, pari al 27% dei trasferimenti complessivi. “Se prendiamo ad esempio le integrazioni al minimo -spiega Emanuele Ranci Ortigosa, direttore scientifico dell’Irs-, si spendono 2,5 miliardi per la classe più in basso della scala e 2,6 per quella più in alto. Chi sta nel decile più benestante ha una disponibilità media di 71mila euro, mentre chi sta in quella più in basso arriva appena a 3mila”.

L’Irs ha proposto una riforma. Sul sostegno alla famiglia, prevede che gli aiuti vengano erogati sotto forma di detrazioni Irpef o assegni familiari. “Un aiuto più consistente lo avrebbero le famiglie con figli minori a carico (circa 6,5 milioni di famiglie): in questo modo si incentiverebbero pure le giovani coppie a mettere su famiglia” spiega Ranci. Oggi, invece, la spesa in questa “categoria” finisce in larga parte (16 miliardi su 18) agli anziani.
La proposta Irs introduce il “reddito minimo d’inserimento” (Rmi), un mix di erogazione monetaria e servizi rivolto a tutte le famiglie residenti in Italia -italiane e straniere- che promuoverebbe l’inclusione sociale e lavorativa dei componenti, secondo la logica del “welfare attivante”. Avrà accesso al Rmi chi presenterà un’Isee pari a 12mila euro e un reddito disponibile inferiore alla soglia della povertà assoluta. L’ammontare del contributo è pari alla differenza fra il reddito disponibile della famiglia e la soglia di povertà assoluta. L’Irs prevede che potranno accedervi 3,1 milioni di individui. “Toccherebbe ai Comuni analizzare i bisogni delle famiglie del territorio e stipulare con loro un contratto, in modo da seguire un percorso per uscire dalla povertà. Ad esempio: se hai un figlio ti impegni a iscriverlo a scuola; se puoi lavorare ti iscrivi agli uffici dei collocamenti; se sei tossicodipendente ti impegni a seguire un percorso in comunità. L’Inps servirà da cassa da cui attingere le risorse”.

Infine il sostegno all’autosufficienza: gli ultra65enni in Italia sono 12,3 milioni. Di questi, l’1,4 milioni ricevono l’indennità di accompagnamento: per il decile più basso si spendono 906 milioni di euro l’anno; per chi sta più in alto 863. Per rivedere il servizio è stata pensata una “dote di cura”, sia come erogazione monetaria sia in termini di servizi. Se viene richiesta sotto forma di servizi, l’erogazione del contributo è maggiore: “Se garantiamo assistenza domiciliare sappiamo chi andiamo a curare. Inoltre questa misura è universalistica: possono accedere tutti, senza categorie o requisiti. E chi ha anche gravi problemi economici riceverà un po’ di più, perché non ha sostegno di altro tipo”. —

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