Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Crisi climatica / Approfondimento

Le tensioni geopolitiche dietro il progetto del gasdotto EastMed

Una protesta organizzata da diversi gruppo di attivisti in occasione della Cop26 di Glasgow © Christian-Alexandru Popa

La pipeline, lunga più di duemila chilometri, permetterebbe di portare in Europa il gas dai giacimenti del Mediterraneo orientale. Per varie ragioni, vi si oppongono Turchia, Israele e Stati Uniti. Ma Edison insiste per realizzarlo

Tratto da Altreconomia 258 — Aprile 2023

Nella turbolenta area del Mediterraneo orientale c’è un convitato di pietra il cui destino è sempre più incerto e controverso. Si tratta del progetto di gasdotto denominato EastMed-Poseidon. Nelle intenzioni dei suoi promotori, tra cui l’italiana Edison, dovrebbe trasportare almeno dieci miliardi di metri cubi di gas all’anno dai ricchi giacimenti offshore di Cipro e Israele. Da quest’ultimo Paese dovrebbero partire i quasi duemila chilometri della pipeline che attraverserebbe la parte orientale del Mediterraneo fino alle coste italiane, nei pressi di Otranto (LE).

Facciamo un passo indietro per inquadrare meglio la questione. La scoperta dei giacimenti Leviathan e Tamar, al largo delle coste di Israele, e di Aphrodite, nelle acque cipriote, risale al 2013.Per entrambi i Paesi apriva la possibilità di diventare esportatori, sia nella regione sia verso il mercato europeo e globale. Ma né Cipro né Israele avevano infrastrutture necessarie.

La firma di un accordo per la vendita del gas israeliano a una società egiziana ha aperto uno scenario nuovo: il pre-esistente gasdotto Arish-Ashkelon è stato adattato per permettere a Israele di iniziare a esportare gas verso l’Egitto. Il cosiddetto “Gasdotto della pace” è diventato un’opera di fondamentale importanza per tutta la regione, elevando Il Cairo al ruolo di “hub del gas” nonché entrambi i Paesi a quello di partner strategici dell’Unione europea. Ma sul tavolo rimane il progetto EastMed-Poseidon, che garantirebbe a Tel Aviv un accesso diretto al mercato europeo, bypassando così l’Egitto.

Il conflitto in Ucraina ha complicato ancora di più la vicenda. Gli Stati Uniti sono contrari alla realizzazione di un’opera così strategica in un’area di mondo particolarmente turbolenta. Per di più in un momento storico in cui la vendita del gas “naturale” liquefatto (Gnl) trasportato via nave ha raggiunto livelli record: una situazione di cui Washington beneficia ampiamente.

E poi c’è la Turchia, che da sempre si è opposta a EastMed a causa della frattura apparentemente insanabile con Cipro, plasticamente rappresentata dalla divisione dell’isola in due entità distinte dal 1974; l’anno cioè in cui gli estremisti ciprioti di destra filo-ellenici misero in atto un colpo di stato con il supporto del governo di Atene, retto dai Colonnelli. Il governo turco rispose con l’invasione militare del Nord del Paese. Da allora Cipro e la sua capitale Nicosia sono divise: la parte greca è entrata nell’Unione europea a maggio 2004, ma nel frattempo è diventata il paradiso fiscale d’elezione degli oligarchi russi; mentre quella turca non è riconosciuta da nessun Paese, fatta eccezione per Ankara. A separare le due parti dell’isola c’è una buffer zone dove ancor oggi sono acquartierati alcune centinaia di caschi blu delle Nazioni Unite.

Le relazioni tra il governo cipriota e quello turco si sono ulteriormente deteriorate tra il 2018 e il 2020 a seguito di una serie di prove di forza esercitate dal governo di Recep Tayyip Erdoğan che, a più riprese, ha spedito nelle acque dei giacimenti ciprioti imbarcazioni per l’esplorazione dei fondali accompagnate da navi della marina militare. Queste operazioni vengono viste dall’Unione europea come una vera e propria provocazione (tanto da portare all’imposizione di sanzioni alla Turchia nel 2019) e hanno interessato i blocchi d’esplorazione dove è presente anche l’italiana Eni. Sì, perché sul gas cipriota si sono avventate tutte le più importanti multinazionali del settore estrattivo.

Il tracciato previsto per il gasdotto EastMed-Poseidon elaborata dall’Ong ambientalista tedesca Urgewald. Una volta costruita la pipeline sarà lunga circa duemila chilometri e andrà a collegare Israele con le coste italiane. Se verrà realizzata trasporterà ogni anno in Europa circa dieci miliardi di metri cubi di gas

Lo scenario è complesso e di non facile risoluzione. Tuttavia, c’è chi non si arrende e spinge per la costruzione di EastMed-Poseidon. Ad esempio Nicola Monti, amministratore delegato di Edison, società energetica italiana controllata dal colosso francese Edf. “Alla luce di quanto successo nell’ultimo anno, della necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento in Europa e del nuovo corso politico in Italia, chiediamo di riconsiderare l’adesione al progetto -ha dichiarato durante un’audizione in Senato lo scorso febbraio-. Per concedere a soggetti privati, oltre a Edison e alla greca Depa (unite all’interno della joint-venture IGI Poseidon SA, che propone l’opera, ndr), a tutti coloro che hanno interesse a comprare volume di gas, a realizzare investimenti, a produttori della zona di parteciparvi”.

Secondo Monti, dal momento che EastMed rientra tra i progetti comunitari, potrebbe quindi essere finanziato anche con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che in questi mesi il governo italiano sta rivedendo alla luce del piano RePower Eu. Serve insomma un “ombrello politico”, ha detto l’amministratore delegato di Edison. Che punta a inserire questo progetto all’interno della trasformazione dell’Italia in hub del gas annunciata a più riprese dalla premier Giorgia Meloni.

Ombrello politico che però non è sicuro l’Unione europea voglia offrire, mentre gli Stati Uniti appaiono a dir poco recalcitranti. Ma Monti sembra aver fatto i conti senza Israele. Secondo la rivista di settore Upstream, le società che controllano il giacimento Leviathan, il più grande in acque israeliane, “non hanno intenzione di esportare il loro gas tramite EastMed”. Yossi Abu, amministratore delegato della compagnia energetica NewMed Energy, ha inoltre dichiarato che “tutti i partner (di Leviathan, ndr) sono pienamente allineati nella scelta di costruire un terminal per il Gnl galleggiante”. Opera “più fattibile, dal punto di vista commerciale” rispetto alla costruzione di un mega gasdotto. Il dato di fatto ulteriore è che EastMed-Poseidon sarebbe l’ennesima bomba climatica e ambientale, destinata a restare in funzione per almeno due decenni, in un contesto a rischio geopolitico e corredata da incertezze di natura tecnica. Forse sarebbe ora che anche l’Unione europea e l’Italia ripongano per sempre nel cassetto questo progetto.

Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it– per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati