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Interni

Le tasche vuote dei tribunali

In Italia si processa troppo, anche se manca personale e si tagliano le risorse. Da Nord a Sud, viaggio in un sistema che ha bisogno di essere riformato

Tratto da Altreconomia 132 — Novembre 2011

Sulla scrivania del Procuratore Generale di Milano Edmondo Bruti Liberati (nella foto a destra) c’è il “Primo rendiconto delle attività 2010/2011della Procura”. È il termometro di una delle Procure più importati d’Italia, una sessantina di pagine, presentate durante l’estate, rivolte agli stakeholder della Giustizia. È carta che scotta. La febbre è alta. La maggiore preoccupazione di Bruti Liberati è per l’organico: “Dovrebbero essere in servizio 10.151 magistrati, ma ve ne sono 8.862. Ne mancano 1.289. Una ‘scopertura’ fuori misura. Stiamo pagando le conseguenze di una scelta irrazionale dell’allora ministro Roberto Castelli, che in attesa della sua epocale riforma della Giustizia, dal 2002 al 2005 non ha bandito concorsi. A Milano sono previsti in pianta organica 90 magistrati, ma ne abbiamo 77”.
La situazione è aggravata dal fatto che la Procura di Milano è costantemente chiamata a garantire con i propri magistrati la funzionalità essenziale di altre Procure del Distretto, sottodimensionate. Nel corso del 2010 tali provvedimenti hanno riguardato 16 sostituti della Procura di Milano, per un totale di 330 giorni. “Il punto più drammatico -continua Bruti Liberati- negli uffici giudiziari del Nord è la mancanza di personale amministrativo. Da più di 13 anni vi è un blocco delle assunzioni, unito a quello dei concorsi interni che permettono avanzamenti di carriera. A Milano, sono previste 378 unità, ma in servizio sono solo 284”.
L’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati fotografa, non si lamenta. In un anno da Procuratore capo ha messo in atto tutte le soluzioni possibili per giungere all’efficienza, a partire dal tema delle intercettazioni: “Lo scorso anno, nonostante le inchieste relative alla ‘ndrangheta abbiano richiesto un numero enorme di intercettazioni, abbiamo ridotto il numero complessivo, tagliando le intercettazione per il piccolo-medio traffico di stupefacenti, che resta la spesa maggiore. Grazie a un accordo con le diverse società attive nel settore, abbiamo ridimensionato (nella misura di quasi la metà) le spese per le attività di intercettazione su utenze fisse e mobili. Queste iniziative hanno condotto negli ultimi due semestri a una riduzione del numero delle utenze intercettate (da  13.654 a 9.209)”.
Bruti Liberati ha la sua “ricetta” per provare a mettere una pezza a questo sistema che fa acqua: “Stiamo migliorando tutte le procedure organizzative interne, stiamo cercando di utilizzare al massimo gli strumenti informatici. A Milano abbiamo posto in essere, in via sperimentale, una prassi di trasmissione delle notizie di reato per via informatica con l’Agenzia delle entrate. E, allo stesso scopo, diventerà operativa una collaborazione con l’Inps. Ma i sistemi informatici dei diversi uffici hanno difficoltà a dialogare tra loro. C’è un ritardo sensibilissimo, servirebbe un investimento prioritario anche da parte del ministero. Penso al registro delle notizie di reato, che è ancora tenuto con programmi diversi nelle diverse sedi italiane. Nel 2011 non abbiamo un sistema unificato. L’impegno sul versante informatizzazione è essenziale, perché il ritardo è grave”. L’ex presidente dell’Anm non risparmia i piccoli tribunali: “Il tema della revisione della mappa giudiziaria si è posto da tempo. In Francia il Governo ha deciso ed è stato fatto un primo passo. Gli uffici giudiziari che hanno meno di 20 giudici hanno difficoltà a funzionare, sotto i 15 sono nella impossibilità di lavorare. Si tratta di razionalizzare con decisione, ma anche con gradualità. Non è detto che si debbano sopprimere 60 tribunali di colpo”.

Millecinquecento chilometri a sud, a Caltanisetta, Franca Imbergamo, Sostituto procuratore generale in Corte d’Appello, ci accoglie nel suo ufficio con un foglio ricco di numeri: “I dati dell’ufficio contabilità della Procura generale di Caltanisetta riguardano tutte le Procure del distretto (anche Gela, Enna, Nicosia), compresa quella distrettuale antimafia. Fotografa un aumento del debito per le attività che svolgiamo, mentre diminuisce il budget. La somma assegnata per le spese d’ufficio (carta, toner, cancelleria) è stata ridotta del 30% in un triennio, da 27mila euro nel 2009 a 18mila. Per le autovetture di Stato: da 39mila euro del 2009 a 13mila. Nel 2010 il debito residuo da pagare per il lavoro straordinario del personale (cancellieri, autisti etc) ammontava a 90mila euro. Nel 2011 è ancora tutto da pagare. La pianta organica è stata ridotta del 5%”.
Alla Imbergamo resta solo l’indignazione: “In Corte d’Appello c’è stato un blocco delle udienze perché non riusciamo più a pagare i trascrittori, ovvero le cooperative che lavorano per trascrivere le udienze. A ottobre, per tre giorni abbiamo avuto l’astensione delle camere penali per questa ragione: gli avvocati hanno manifestato l’impossibilità di fare processi penali con l’amanuense. Questa situazione prosegue a fasi alterne da un anno e mezzo. Tempo fa abbiamo avuto il problema di far arrivare in udienza i collaboratori di giustizia perché la scorta comunicava che non c’erano i soldi per pagare il viaggio. Stiamo parlando di tagli lineari, senza capacità di discernimento dei servizi tra quelli essenziali. Qui si sono fatte le indagini antimafia più scottanti degli ultimi anni, che hanno scardinato interi gruppi mafiosi a Gela e nel Nisseno: centinaia di arresti, grazie a processi in corso basati sulle intercettazioni più che sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Non si può congratularsi delle operazioni che si fanno e poi dire non dobbiamo spendere per le intercettazioni. Le attività tecniche richiedono un investimento”.

Francesco Del Bene, napoletano d’origine, Sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, negli ultimi anni è riuscito ad arrestare boss come Mimmo Raccuglia, braccio destro di Matteo Messina Denaro. Lavora a pochi passi dalla stanza di Paolo Borsellino, all’ultimo piano del Palazzo di Giustizia: “Sono entrato in magistratura nel ‘97. Quando sono arrivato in Sicilia ho avuto l’impressione che la Procura di Palermo beneficiasse di tutto ciò di cui aveva bisogno. Oggi, invece, la situazione per i magistrati sta diventando grave: mancano fondi per l’aggiornamento, ma quello che colpisce di più è che, a tutt’oggi, parte dei fondi di rimborso spese per le trasferte dell’anno 2010 non ci sono state date. Alla Procura di Palermo siamo costretti a fare molte attività d’indagine fuori sede: interrogatori ai collaboratori di giustizia, processi in procura generale in caso di applicazione. A tutt’oggi gran parte dei magistrati della Dda di Palermo non ha ottenuti i rimborsi dell’anno 2010. Temiamo che anche per il bilancio 2011 i fondi possano esaurirsi nel mese di ottobre. Che facciamo? I processi li dobbiamo fare, anche fuori Palermo. E devo anticiparmi tutte le spese: l’aereo, l’hotel, i pasti. Il Governo è tanto bravo a dire che ha arrestato i latitanti, ma si deve prendere anche la responsabilità dei fondi che non eroga”.

Mancano i magistrati, non ci sono gli assistenti necessari al lavoro dei pubblici ministeri, chi va in pensione non viene sostituito, non ci sono soldi per pagare gli straordinari ai cancellieri, il sistema informatico giudiziario non è unificato, e ciò provoca gravi rallentamenti. Al Sud in molte Procure non c’è neanche la carta per fotocopiare gli atti, non ci sono risorse per comprare Codici penali e civili aggiornati.
Un dato interessante per cercare di capire come mai la “macchina giudiziaria” italiana è una lumaca è riportato in un dossier della Commissione europea per l’efficacia della Giustizia (Cepej): i magistrati italiani ricevono la più alta “domanda di giustizia penale” tra i 46 Stati del Consiglio d’Europa. Una domanda pari, nel 2008, a 1.280.282 nuovi processi davanti ai tribunali di primo grado. Un dato ben superiore ai 796.920 della Turchia (2° posto), addirittura doppia rispetto ai 610.674 procedimenti penali della Francia (3° posto). I giudici italiani risultano al 1° posto in Europa anche per la capacità di smaltimento di procedimenti penali, con 1.204.982 procedimenti definiti.
Secondo il Rapporto 2010 del Cepej, l’Italia è un Paese che deve confrontarsi con un contenzioso civile che non ha pari in Europa. I giudici italiani devono rispondere a una domanda di giustizia civile pari a 2.842.668 nuovi procedimenti annui (nel 2008). Il Bel Paese è secondo in Europa dopo la Russia (dove vengono avviati 10.164.000 procedimenti), ma stacca la Francia, al 3° posto con 1.774.350, la Spagna (1.620.000), la Turchia (1.117.212).
I giudici italiani hanno un’altissima capacità di smaltimento anche degli affari civili. Sono (dopo la Russia) i secondi in Europa, con ben 2.693.564 procedimenti civili a fronte dei 1.645.161 della Francia (3° posto) e dei 1.324.577 della Spagna (4° posto). “Il divario quantitativo -spiega il Rapporto- con la Francia e con la Spagna (Paesi a noi molto vicini dal punto di vista socio-economico-geografico, nonché per struttura giudiziaria) dà la misura delle ragioni per cui si è accumulato, in Italia, l’attuale arretrato civile (3.932.259 contenziosi pendenti, nel 2008). […] non si vuole sostenere che il contenzioso che sopravviene ogni anno sia l’unica causa dell’accrescersi dell’arretrato civile in Italia, ma certamente lo ‘strabiliante’ numero di nuovi affari iscritti annualmente nei tribunali in tale settore (ben 1,1 milioni di contenziosi in più rispetto alla Francia, che ha un sistema esattamente sovrapponibile al nostro) costituisce una cospicua parte del problema, da cui nessuno può prescindere se vuole fare un’analisi onesta del fenomeno e delle possibili risposte allo stesso”. —

Il parere di Piercamillo Davigo
Un eccesso di domanda
Ridurre i ricorsi in Appello, e il numero degli avvocati. Modificando il regime delle prescrizione e dei processi in contumacia

Sono passati 20 anni da quando Piercamillo Davigo, faceva parte del pool di Mani Pulite. Oggi, dopo un’esperienza in Corte d’Appello a Milano, siede alla Corte di Cassazione. Davigo conosce alla perfezione la macchina della Giustizia, i problemi del sistema giudiziario.  “La crisi della giustizia in Italia è in gran parte una crisi da eccesso di domanda -spiega-. Le risorse non mancano, sono spese male. Due esempi: l’Italia spende più o meno come la Gran Bretagna; in Gran Bretagna 20mila giudici di pace che svolgono la loro funzione gratis, mentre in Italia abbiamo 10mila magistrati onorari, che sono pagati a udienza o a cottimo. Abbiamo dato vita, cioè, a un precariato che preme per essere immesso in ruolo. Con gli stessi soldi la Gran Bretagna fa 300mila processi penali l’anno, l’Italia 3 milioni. Con 300mila processi penali l’anno la Gran Bretagna ha 100mila detenuti, l’Italia 67mila detenuti. Il rapporto tra numero di processi e di detenuti è indice della necessità di un processo, e indice della sua efficacia. Fare processi per assolvere o per infliggere sanzioni che non vengono eseguite non serve. Nel settore civile, ogni anno in Italia vengono avviate più cause di quelle che vengono fatte in Francia, Germania e Gran Bretagna messe assieme. È evidente che c’è qualcosa che non va dal punto di vista della domanda”.
Quali sono le ragioni di questo “eccesso di domanda”?
“Nel settore civile ciò dipende dal fatto che il sistema tutela chi viola le leggi e non chi subisce un danno. Perché mai un debitore in Italia dovrebbe pagare il suo creditore? Se il creditore riesce a provare il suo buon diritto in giudizio, e non è detto che ci riesca, otterrà una sentenza che gli attribuisce la cifra che deve avere, maggiorata del tasso d’interesse legale -che di solito è più basso del tasso d’interesse di mercato- più, ma solo se si tratta di transazioni commerciali, un’ulteriore percentuale stabilita dal diritto comunitario. Conviene non pagare. Basterebbe colpire duramente chi resiste in giudizio, sapendo di avere torto, per far finire questo sconcio.
Il problema del penale deriva dal numero esagerato dei reati intesi non come reati commessi ma come previsioni  normative di reato. Alcune fattispecie di reato che potrebbero essere abolite e non cambierebbe nulla. Recentemente, hanno depenalizzato la sfida a duello. Faccio questo mestiere da 32 anni, e un processo per sfida a duello non l’ho mai visto. Se non lo depenalizzavano era lo stesso. Non hanno depenalizzato il reato di falsificazione e alterazione dei biglietti delle imprese di pubblico trasporto. Per un biglietto del valore di un euro facciamo tre gradi di giudizio. Di solito chi fa queste cose non è un lord, ma un disperato, e il suo difensore è un avvocato dello Stato, 3mila euro di onorario. Nel caso sia irreperibile, il difensore d’ufficio è pagato lo stesso. Per un biglietto paghiamo 3mila euro più il funzionamento della macchina giudiziaria. Se poi il difensore chiede una perizia, il giudice deve decidere se buttare altri 1.500 euro per farla oppure scrivere 4 o 5 pagine per spiegare perché non è necessaria. Spesso mi sono trovato a pensare ‘Se do un euro al gestore del servizio e la piantiamo lì?’, ma non si può fare…”.
Come dev’essere modificato il sistema per risparmiare?
“Il numero eccessivo d’impugnazioni sono una specificità italiana. Nel mondo occidentale esistono due sistemi giuridici: il sistema di civil law nell’Europa continentale e il sistema di common law nel mondo anglosassone. Nel sistema di civil law l’imputato ha diritto di appellare, e ha diritto di vedere esaminato il caso. Nel sistema di common law c’è un filtro, e il giudice esamina un’impugnazione se lo ritiene opportuno. La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, con 300 milioni di abitanti, fa 120 processi in un anno, perché per esaminare un ricorso bisogna che almeno 4 dei 9 giudici ne facciano richiesta. L’impugnazione è intesa come tutela del sistema, non del singolo. La Corte Suprema di Cassazione francese fa 100 processi l’anno, quella italiana 100mila. Perché?
In Italia tutti appellano e poi fanno ricorso in Cassazione. Forse che le sentenze dei giudici italiani sono di grado inferiore di quelli francesi? Non lo credo. Il problema è che in Italia la Corte d’Appello non può aumentare la pena. In Francia sì: prima di fare un appello infondato, una persona ci pensa. In Italia gli appelli sono finalizzati a prendere tempo. Gli effetti sono devastanti sul sistema. La Corte d’Appello finisce per essere un organo giudiziario sbilanciato, costretto a confermare o ridurre le pene”.
Un altro guaio, conseguente, è la prescrizione.
“L’Italia e la Grecia sono gli unici due Paesi del mondo occidentale dove la prescrizione ricorre anche dopo una sentenza di condanna di primo grado. La prescrizione in sé è un istituto di civiltà, ma dopo che è stato fatto un processo, e un individuo è stato condannato, se non si dà pace e vuole un altro processo perché deve decorrere la prescrizione?
Altra questione è quella del giudizio in contumacia, che in Italia copre l’area degli irreperibili. Processiamo gente che non lo sa, ma anche chi non si presenta pur sapendo di essere imputato. All’estero, se uno citato non si presenta viene arrestato. L’Italia è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudizio in contumacia; la Corte di Strasburgo ci ha intimato di cambiare la legislazione in materia. Anziché abolire i processi agli irreperibili, è stato modificato l’istituto della ‘restituzione del termine’. Uno che è stato processato e condannato in contumacia, se si presenta e afferma di non sapere che c’era il processo, dev’essere processato di nuovo. Il difensore d’ufficio può impugnare anche se non ha il mandato. Accade che i difensori d’ufficio, pagati dallo Stato, impugnano sempre. Difendere gli irreperibili diventa una cassa integrazione per gli avvocati”.
In Italia l’avvocatura è un problema?
“Ci sono più avvocati a Roma che in tutta la Francia. In Italia sono 230mila, in Francia 47mila. Sono 15mila in più ogni anno. Faranno gli avvocati per 40 anni. 15mila per 40 anni, sono 600mila avvocati. Il prodotto nazionale lordo può dar da vivere a 600mila avvocati? Questo ha a che vedere con la tutela di una corporazione. Facciamo tutti gli anni un concorso per i magistrati. All’ultimo: 500 posti messi a concorso, più di 30mila domande, solo 253 idonei. Ciò significa che il livello di preparazione dell’Università è del tutto inadeguato”.
Ha qualche proposta per migliorare questo sistema?
“Bisogna incidere sul lato della domanda: ridurre il numero dei procedimenti. Bisogna smetterla di buttare i soldi nelle sedi inutili che teniamo in piedi. Un tribunale non può funzionare se non ha almeno dieci magistrati, perché chi ha fatto una cosa non può farne un’altra: chi ha fatto il giudice per le indagini preliminari non può fare il giudice dell’udienza preliminare, chi ha processato il corrotto non può processare il corruttore. Esistono 35 tribunali il cui carico di lavoro non ne giustifica l’esistenza. L’unico rimedio possibile è un tribunale per provincia, una Corte d’Appello per Regione”.
La barca è destinata ad affondare?
“La Giustizia anziché essere un fattore di spesa potrebbe garantire entrate: basterebbe far pagare i farabutti. Mi spiego: in Cassazione dichiariamo inammissibili circa il 70% dei ricorsi in materia penale, 50mila all’anno. Per ogni inammissibilità infliggiamo un ammenda da 500 a 1.500 euro. Ma non viene recuperato quasi nulla, perché manca il personale per eseguire i provvedimenti o perché i ‘clienti’ sono incapienti. Basterebbe questo per coprire il funzionamento della Cassazione”. —
 

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