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Diritti / Opinioni

Le sette intuizioni delle donne curde per una democrazia che sia credibile

Jinwar è un villaggio ecologico di donne nel cuore del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale). Jinwar è un luogo in cui la donna può riscoprire, ristabilire e reclamare collettivamente la propria libertà - Fb: @jinwarwomensvillage

Se impariamo dai migliori esperimenti di umanità, democrazia e nonviolenza in atto nel mondo, siamo spinti a ritrovare la nostra anima e la capacità di agire politicamente. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 250 — Luglio/Agosto 2022

La lezione delle donne curde. L’ho ascoltata direttamente dalle parole di Hazal Koyuncuer, una giovane attivista per i diritti del popolo curdo, che racconta l’esperimento di democrazia avanzata in atto nel Rojava, nel Nord della Siria.

Le città e i villaggi di quella regione sono governati secondo un sistema di autogoverno locale e di federalismo democratico. L’amministrazione autonoma del Rojava accoglie persone di molte etnie, incarnando il modello di una società corale, capace di collaborazione interculturale e interreligiosa, dove convivono curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni. In questo processo di rinascita è emersa la centralità delle donne, che sono l’anima e il motore di questo esperimento, ispirato da sette intuizioni.

La prima è relativa alla svolta fondamentale: liberare le donne per liberare la società. Naturalmente si tratta di un percorso di liberazione da parte delle donne stesse, non di una concessione. L’etica della dignità nella differenza e l’etica del bene comune, assunte come atteggiamento quotidiano, hanno generato una trasformazione culturale profonda, che ha aperto lo spazio di credibilità della vita democratica. La seconda intuizione è l’esigenza di liberarsi dell’individualismo per scegliere di vivere in maniera collettiva. La vita della società dev’essere condivisa con spirito di riconciliazione, come recita la Costituzione della comunità, denominata Carta sociale del Rojava. Perciò la comunità è stata concepita in alternativa alla logica della guerra, secondo la sapienza dell’accoglienza, della giustizia e della solidarietà che non fa discriminazioni tra esseri umani. Così persino agli ex combattenti dell’Isis sono garantite sussistenza e diritti. La terza intuizione è di natura operativa e politica: applicare la Costituzione rafforza i popoli e permette di rispecchiare la loro identità evitando di deformarla a causa delle patologie del nazionalismo, dell’imperialismo e del razzismo.

La quarta intuizione riguarda la corresponsabilità tra i generi: in ogni ruolo di riferimento e di governo della comunità vige il principio della co-presidenza: una donna e un uomo presiedono alle dinamiche della vita pubblica. La quinta intuizione va in profondità nel cammino di autenticazione della democrazia, riconoscendo che essa è mediazione e non imposizione. La democrazia, infatti, non può svilupparsi basandosi sul principio di una maggioranza che prevale sulla minoranza, poiché il modello culturale sarebbe ancora quello della guerra, benché vissuta in modo non cruento. La vera democrazia deve basarsi sul modello del dialogo: nessuno si impone sugli altri con il potere dei numeri, dei soldi o delle armi, ma insieme si partecipa a processi decisionali di mediazione, dove alla fine si arriva a un compromesso accettabile per tutte e per tutti.

La sesta fondamentale intuizione dice che la società dev’essere del popolo, non dei padroni del mercato. Perciò tutti i servizi sono pubblici, i beni comuni sono prioritari e l’economia è orientata in modo ecologico integrale, al servizio dei bisogni delle persone e della tutela della natura. La settima intuizione riguarda lo spirito con cui si può agire per dare forma a una convivenza sociale e civile di questo tipo. Essa dice che non si può vivere sottomessi e nella paura. Occorre una profonda fiducia nella vita e nella felicità condivisa, il cui desiderio è tenuto desto affrontando insieme ogni problema.

Un’esperienza simile incontra mille difficoltà e non va idealizzata. Ma da ognuna di queste intuizioni abbiamo molto da imparare. Ascoltando Hazal ho percepito, per contrasto, quanto l’Italia e l’Europa siano asfittiche. Se impariamo dai migliori esperimenti di umanità, democrazia e nonviolenza in atto nel mondo, siamo spinti a ritrovare la nostra anima e la capacità di agire politicamente. Così, al tempo stesso, chi ha veramente contatto con la propria anima non può non mettersi in cammino per trasformare il mondo a partire dal luogo in cui vive.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Gandhi. Al di là del principio di potere” (Feltrinelli, 2021)

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