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Le “porte girevoli” dell’industria fossile: affari d’oro e interessi pubblici dimenticati

© Hunters Race via unslpash

Politici che lasciano ruoli dirigenziali per ricoprire ruoli di primo piano in aziende come Shell, BP e Total. O viceversa e persino in contemporanea. Corporate europe observatory denuncia 71 episodi di “revolving door” tra il 2015 e il 2021. Emblematica la vicenda di Eni con ben dieci casi

Maria van der Hoeven nel 2016 è entrata a far parte del consiglio di amministrazione di Total e nello stesso periodo (2016-2019) è stata membro del Gruppo di esperti per la decarbonizzazione alla Commissione europea. Gerrit Zalm nel 2013 è stato nominato da Shell amministratore indipendente non-esecutivo (carica che ricopre tuttora) e al contempo ha presieduto nel 2017 le negoziazioni per formare il nuovo governo olandese, riuscendo ad ottenere l’inclusione di alcune misure volute dal colosso petrolifero nell’accordo di coalizione del governo. Sono due esempi presi dai 71 casi di “porte girevoli” segnalati nella ricerca “Stop the revolving door: fossil fuel policy influencers”, condotta da Corporate europe observatory (Ceo), Friends of the Earth Europe e Food and water action Europe.

“Tra il 2015 e il 2021, abbiamo riscontrato in sei colossi europei del fossile (Shell, BP, Total, Equinor, Eni e Galp) 71 casi di porte girevoli, una media di 1,5 incontri a settimana dei lobbisti con funzionari della Commissione europea e una spesa per lobby nell’Unione europea di 170 milioni di euro”, spiega Belén Balanya, ricercatrice di Corporate europe observatory e coordinatrice dello studio. Nella ricerca si parla di una “normalizzazione degli interessi e delle priorità del fossile in tutte le istituzioni politiche”.

In inglese si usa il termine revolving doors (in italiano, porte girevoli) per indicare la facilità con cui si entra da un’istituzione per entrare in un’azienda e viceversa, con l’inevitabile conflitto di interessi che questo comporta. Nel rapporto tra Stati e colossi del fossile, non sono poi rari i casi in cui le persone ricoprono contemporaneamente i due ruoli in conflitto tra loro.

Belén Balanya è rimasta impressionata dal caso italiano di Eni, dove è comune il trasferimento di funzionari pubblici dal governo a Eni e viceversa: “In molti Stati sarebbe considerato uno scandalo, mentre in Italia sembra essere la prassi”. Balanya menziona, ad esempio, il caso di Pasquale Salzano, che nel 2011 è stato trasferito dal ministero degli Affari esteri a Eni, diventando il responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali dell’azienda negli Stati Uniti. E dopo essere stato nominato da Eni per ruoli di alto livello dal 2014 al 2017, è stato ambasciatore italiano in Qatar fino al 2019.

La ricerca segnala dal 2015 ad oggi dieci casi di revolving door che riguardano Eni e che coinvolgono: Pasquale Salzano, Luca Giansanti (già ambasciatore presso il comitato politico e di sicurezza dell’Ue a Bruxelles e a Teheran, oggi in Eni), Lapo Pistelli (già viceministro agli Affari esteri e oggi director public affairs per il cane a sei zampe), Alfredo Tombolini, Matilde Mattei, Nathalie Tocci, Alfredo Giovannantonio, Andrea Albino, Duccio Maria Tenti e Gianfranco Cariola. Tutti personaggi con ruoli di spicco in Eni, entrati e usciti più volte dalle istituzioni italiane o europee.

Un caso ancora irrisolto è quello di Nathalie Tocci, che l’anno scorso è entrata a far parte del consiglio di amministrazione del cane a sei zampe, e contemporaneamente è stata nominata Consigliera speciale dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Josep Borrell. Re:Common, insieme a Ceo e Friends of the Earth Europe, l’anno scorso ha denunciato questo conflitto di interessi alla Commissione europea. Come racconta Balanya, “il Servizio europeo per l’azione esterna ha risposto al reclamo affermando che a Tocci non era ancora stata affidata alcuna missione nel suo ruolo di Consigliera speciale di Borrell. Ma il conflitto di interessi non è mai stato sciolto in quanto Tocci ricopre ancora quel ruolo, dal quale nessuno si è peritato di sollevarla”.

Un altro caso emblematico menzionato da Balanya è quello di Amber Rudd, Segretaria di Stato per l’energia e i cambiamenti climatici nel governo britannico (2015-2016), un ruolo, dice la ricercatrice, “analogo a quello di ministro dell’Ambiente in altri Paesi”, e alla guida della delegazione britannica durante la Cop21 di Parigi. Quando è entrata in Equinor (compagnia energetica controllata dal governo norvegese) nel 2020 Rudd era ancora membro del parlamento britannico. “Amber Rudd è stata una delle maggiori promotrici della tecnologia di cattura e stoccaggio (Ccs) della CO2 quando il Regno Unito era ancora parte dell’Ue -racconta Balanya-. Oggi Equinor sta progettando un contestato impianto di idrogeno fossile nel Regno Unito, con l’utilizzo della Ccs”.

L’idrogeno fossile, la Ccs e i meccanismi di compensazione di CO2 sono alcune delle tecnologie sulle quali sono incentrati i piani dei sei colossi fossili per raggiungere emissioni nette zero al 2050. La loro attività di lobby si concentra su queste tecnologie ancora in fase di sperimentazione e le porte girevoli sono ottimi strumenti politici per legittimarle agli occhi delle istituzioni europee. “La cosa tragica -afferma Balanya- è che i soldi dell’Unione europea e dei governi andranno a sussidiare tecnologie molto costose e non sappiamo se funzioneranno: l’unica certezza è che ciò permetterà alle aziende di andare avanti a bruciare combustibili fossili”.

Attualmente non esiste un regolamento nell’Unione europea per evitare i casi di porte girevoli e i conflitti di interesse. Fossil Free Politics, la coalizione che ha commissionato la ricerca e che si batte per proteggere la legislazione dalle influenze delle aziende fossili, ritiene che gli interessi collettivi per contrastare il cambiamento climatico siano inconciliabili con quelli di Big Oil, allo stesso modo in cui gli interessi della salute pubblica sono inconciliabili con quelli delle aziende di tabacco, come affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Per contrastare il fenomeno delle porte girevoli, Fossil Free Politics propone un regolamento che richieda un periodo di distacco di cinque anni tra una mansione e l’altra per lo staff comune e di 10 anni per cariche di alto livello.

“Purtroppo anche nelle organizzazioni internazionali, e quindi alle Cop sul clima, i conflitti di interesse sono all’ordine del giorno”, conclude Balanya. Sebbene la presidenza britannica della Cop26 abbia rifiutato le sponsorizzazioni di Shell e BP, ha infine accettato quello di Scottish Power e SSE, due attori minori del fossile. Un’analisi di Ceo ha mostrato che se la lobby del fossile fosse una delegazione di paese alla Cop, sarebbe la più numerosa: con 503 delegati e oltre cento aziende fossili rappresentate.

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