Finanza / Opinioni
Le banche italiane macinano utili mentre i mutui costano sempre di più
Le rate di quelli a tasso variabile sono aumentate del 65% ma la reazione del governo è stata insufficiente. La rubrica di Alessandro Volpi
Nel 2008 l’Italia non ha conosciuto la crisi dei mutui subprime ed è stata angustiata invece dalle difficoltà del debito pubblico. Ora, di fronte alla condotta della Banca centrale europea (Bce), il nostro Paese rischia una crisi di insolvenza non troppo dissimile da quella vissuta quindici anni fa dagli Stati Uniti.
Il rialzo dei tassi d’interesse e l’atteggiamento di molte banche italiane stanno creando le premesse per una serie di difficoltà ai titolari di mutui (in parte già in atto) per oltre una ventina di miliardi di euro: le rate di quelli a tasso variabile sono salite del 65% e questo rappresenta un pesantissimo problema per una parte significativa dei 3,5 milioni di italiani titolari di prestiti.
Le reazioni del governo e del sistema bancario sono state estremamente tiepide. Si propongono rinvii delle scadenze di pagamento, surroghe o conversioni a tasso fisso. Misure molto timide se si pensa che nei primi sei mesi del 2023 le principali banche italiane hanno registrato utili per quasi nove miliardi di euro, soprattutto per effetto dell’impennata dei tassi della Bce. La criticità del quadro è ben espressa da un dato: i mutui in pancia alle banche per l’acquisto di immobili sono pari a 430 miliardi di euro e i segnali di insolvenza sono già partiti. A marzo 2023 il totale delle rate non pagate sfiorava i 15 miliardi.
Nel frattempo l’inflazione del carrello della spesa resta sopra il 10% e le bollette si ridurranno solo dell’1,1%. In questo senso, abbiamo bisogno di una politica di controllo dei prezzi, compresi quelli bancari. Per fronteggiare una simile situazione non basta certo la fantomatica imposta sugli extra-profitti di agosto, scritta male, stavolta e, di fatto, inapplicabile. Non bisogna poi dimenticare che gli istituti di credito italiani continuano a godere di una normativa di grande favore. Molti dei fondi comuni sono gestiti da società riconducibili alle banche e in Italia circa il 90% di tali società è legato agli istituti di credito.
Il valore, in euro, delle rate dei mutui che non sono state pagate da quando gli interventi della Banca centrale europea hanno portato a un aumento dei tassi d’interesse ammonta a 15 miliardi di euro
Spesso acquistano fondi di diritto estero, prodotti cioè da realtà domiciliate in “paradisi fiscali” (a cominciare da Irlanda e Lussemburgo, dove il regime fiscale è persino più favorevole rispetto a quello italiano) dove, di fatto, non esiste regime di vigilanza. In questo senso gli istituti bancari italiani traggono indubbi benefici dalla finanziarizzazione e dallo spostamento dei servizi dal settore pubblico a quello privato perché è con tale spostamento che vedono crescere la quantità di risparmio gestito nelle loro mani: in Italia nel 2022 oltre 200 miliardi di euro. Non di rado le stesse banche trattano Etf (prodotti finanziari che replicano indici o il prezzo di beni che non possiedono) che pagano il 26% sulle plusvalenze, ma che, se si tratta di Etf destinati a “replicare” l’indice dei titoli del debito pubblico italiano, pagano solo il 12,5%.
In nome della necessità di agevolare la previdenza e la sanità private, come condizione per supplire al superamento dello Stato sociale, divenuto troppo costoso per la riduzione fiscale, si è proceduto quindi alla detassazione pressoché completa della finanza “gestita” che non contribuisce all’imponibile sul reddito e paga sulla plusvalenza (quando si realizza) il 26% o persino il 12,5%: una situazione di vantaggio di cui beneficiano, come ricordato, soprattutto le banche che, non a caso, macinano utili. Mentre i mutui costano sempre di più.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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