L’Argentina paralizzata dallo scontro sull’export
In questi giorni, in piazza del Congresso a Buenos Aires, c’era anche Armstrong. Non Louis, morto e sepolto con la sua tromba da quasi quarant’anni. Nè Neil, l’astronauta, Wapakoneta nell’Ohio è troppo lontana dal Rio de la Plata.
L’Armstrong di cui si parla non è una persona, scomparsa o viva che sia, ma un piccolo paese di poco più di diecimila anime nella Provincia di Santa Fè, a sud di Buenos Aires. Santiago Duncan, cinquant’anni passati, viene di lì, ed è uno dei riferimenti dei produttori autoconvocati che dall’aprile scorso stanno, nei fatti, bloccando un Paese, opponendo migliaia di contadini a schiere di cittadini filogovernativi.
Lo scontro è quasi un derby: “Ruralistas” contro “Peronistas”, ma qui non c’è nessuna coppa America in ballo. C’è molto di piú: il diritto del Governo di occuparsi di economia, il diritto degli agricoltori di tenere per sé i margini delle vendite, il diritto di un Paese a veder redistribuite le ricchezze. E tutto questo con sullo sfondo il grande interrogativo di come possa crescere una democracia giovane in un paese con istituzioni deboli.
L’oggetto del contendere è tanto specifico quanto complesso: le Retenciones moviles. Stiamo parlando di vere e proprie imposte sulla produzione agrícola che dovrebbero colpire in maniera tanto più pesante le produzioni di olio di girasole, di grano, e soprattutto di soya, di cui l’Argentina è tra i principali esportatori. Risorse che verrebbero incamerate dal Governo centrale per poterle redistribuire, così si dice, per politiche sociali. La tassa crescerebbe quanto più è alto il prezzo e che potrebbe arrivare, sopra i 600 dollari alla tonnellata, addirittura al 95% delle entrate. Lo scontro politico e sociale nasce qui, da un tentativo da parte del Governo, da molti giudicato necessario, di intervento attivo in economia.
Santiago Duncan da Armstrong è molto chiaro: “Ho 70 ettari coltivati a soya, grano e mais e per noi queste imposte sono troppo alte. Non siamo contrari per principio alle Retenciones, ma non accettiamo una curva così pesante. Così non si aiuta lo sviluppo agricolo del Paese, ma si avvantaggia i nostri diretti competitori, come il Brasile”. Santiago è un piccolo produttore ed è deciso a contestare Cristina Kirchner “la Presidenta” (nella foto) ed il suo proposito politico. Ma Santiago è in piazza assieme all’Associazione Rurale, da sempre conservatrice e reazionaria, assieme ai trozckisti che vorrebbero abbattere il Governo, all’estrema destra e ai grandi latifondisti. Un miracolo sociale che solamente un Governo poco attento alla concertazione, alla partecipazione popolare poteva raggiungere. I Ruralistas hanno portato in piazza oltre 200mila persone nei giorni scorsi contro i 95mila che sostenevano la Kirchner, sebbene tra questi ultimi ci fossero sindacati (i camioneros), organizzazioni sociali (le Madres de Plaza de Mayo), semplici cittadini.
Un miracolo che ha portato ad una sconfitta pesante. Il 17 luglio, alle 4.30 della mattina dopo 18 ore di dibattito, il Senato della Repubblica ha bocciato 37 a 36 la Direttiva. Uno schiaffo che ha lasciato sul campo un Paese diviso; un problema (quello della necessaria redistribuzione delle risorse) non risolto; un’oligarchia, quella agricola, vittoriosa. Ed un grande interrogativo sullo sfondo: la via argentina allo sviluppo.
Per ora basata su esportazioni, monocoltura, biotecnologie, Governi decisionisti, piccoli produttori in difficoltà. Un’occasione persa, forse, per fare un po’ di ordine.