Economia / Approfondimento
L’annunciata riforma fiscale di Trump acuisce le disuguaglianze e favorisce i più ricchi
Il quinto meno ricco dei cittadini statunitensi è destinato a pagare un conto salato per via dell’intervento promesso dal presidente rieletto. Dai tagli delle aliquote alle alte tariffe per le importazioni: chi ha un reddito annuo al di sopra dei 915mila dollari ci guadagna. Lo studio dell’Institute on taxation and economic policy e il precedente devastante del 2017
L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca porterà a un ulteriore peggioramento dell’equità fiscale negli Stati Uniti, con un’annunciata riduzione delle tasse per il 5% più ricco della popolazione e un aumento delle imposte per il restante 95%.
Lo mostra uno studio effettuato dall’Institute on taxation and economic policy (Itep), think tank che analizza la politica fiscale statunitense e che ha preso in esame il programma di riforme presentato dal successore di Joe Biden durante la sua campagna elettorale nel 2024. Una strategia che si rifà soprattutto alla riforma fiscale approvata dalla “sua” precedente amministrazione, ma che prevede anche un aumento delle tariffe sui prodotti importati, soprattutto quelli cinesi.
“Alcune delle proposte riducono drasticamente le tasse, in particolare per quanto riguarda l’estensione delle disposizioni fiscali temporanee del 2017 -si legge nell’analisi di Itep-. Ma le tariffe preconizzate, che verrebbero in gran parte trasferite ai consumatori sotto forma di aumento dei prezzi, più che compenserebbero questi tagli fiscali per tutte le fasce di reddito, al di fuori del 5% più agiato”.
La proposta di Trump per la revisione del sistema fiscale ha più di una faccia. A partire dall’estensione del modello applicato con la riforma del 2017 che include anche la riduzione dell’aliquota d’imposta sulle società dal 21% al 20% e l’ulteriore riduzione al 15% per le “aziende che producono in America”. Ma anche l’abrogazione dei crediti d’imposta previsti dall’Inflation reduction act (Ira), il piano di investimenti per la transizione ecologica lanciato dall’amministrazione Biden. Infine, sono previste nuove tariffe del 20% sui beni importati, con un’aliquota più alta del 60% per quelli provenienti dalla Cina.
Di base la riforma prevede una diminuzione della pressione fiscale su tutte le fasce della popolazione, ma a trarne i maggiori benefici saranno quelle più benestanti. Infatti, l’1% più ricco dei cittadini, che registra un reddito superiore ai 915mila dollari l’anno, registrerà una riduzione del 2,7% (pari a una media di 80mila dollari). In modo simile, il successivo 4%, con un reddito compreso tra i 360mila e i 915mila dollari, otterrà uno sconto del 3,1% (una media di 16.500 dollari l’anno). Mentre per il restante 95% dei cittadini gli sconti fiscali saranno compresi tra l’1,6% e lo 0,7%, quest’ultimo destinato al 20% meno benestante.
“La legge fiscale di Trump, approvata dal Congresso nel 2017, ha ridotto drasticamente le tasse per i ricchi e ha permesso alle grandi aziende di pagare aliquote fiscali più basse -scrivono i ricercatori di Itep-. La maggior parte dei benefici è andata al quinto più ricco dei cittadini statunitensi e una parte significativa agli investitori stranieri che possiedono azioni di società del Paese”.
Un’altra parte considerevole della riforma fiscale prevista da Trump riguarda la diminuzione della pressione fiscale sulle aziende. Le corporation statunitensi più grandi e redditizie hanno visto le loro aliquote fiscali effettive scendere da una media del 22,0% a una del 12,8% dopo l’entrata in vigore della “legge Trump” nel 2018. Secondo Itep, le prime 296 aziende statunitensi hanno pagato 240 miliardi di dollari in meno di tasse dal 2018 al 2021 rispetto a quanto avrebbero dovuto versare con il precedente sistema fiscale.
Se secondo Trump e suoi collaboratori questi sconti hanno giovato a tutti i dipendenti, per Itep a trarne il maggio beneficio sono stati in realtà i proprietari e gli azionisti delle società, investitori esteri e soggetti facoltosi.
Ben il 40% dei vantaggi di questo sconto fiscale, secondo Itep, saranno destinati a investitori stranieri mentre solo il 60% rimarrà negli Stati Uniti. Ma anche la quota che verrà distribuita tra il “popolo americano” non sarà fatto divisa in modo equo bensì andrà a vantaggio soprattutto di persone e famiglie ricche, aumentando così la disparità fiscale del Paese.
“Quando le società possono pagare meno tasse, i beneficiari finali sono principalmente i proprietari delle azioni. Poiché le famiglie bianche possiedono una quota sproporzionata di azioni, ne beneficiano in modo sproporzionato -scrive Itep-. I cittadini statunitensi bianchi ricevono l’88% dei benefici che rimangono nel Paese, anche se rappresentano solo il 67% della popolazione. Al contrario, le famiglie nere e ispaniche ottengono appena l’1% dei benefici, nonostante rappresentino rispettivamente il 12% e il 9% delle famiglie”.
Non solo le parti più povere della popolazione ricevono meno benefici dalla riduzione del carico fiscale ma sono anche le più colpite dalle nuove imposte sui prodotti importati. “Le alte tariffe proposte da Trump, che sono di gran lunga superiori a quelle attualmente in vigore, aumenterebbero i prezzi per i consumatori statunitensi in tutta la scala di reddito -commentano gli autori dell’analisi-. Poiché le famiglie a reddito medio-basso devono spendere una quota maggiore dei loro guadagni per arrivare a fine mese, questo avrebbe un impatto evidente sui loro bilanci familiari”.
Sommando gli aumenti dovuti alle tariffe sui prodotti di importazione si ottiene così il risultato che la “riforma” promessa dal neopresidente porta vantaggi solo al 5% più ricco. In particolare, per l’1% più facoltoso della popolazione, con un reddito annuo al di sopra dei 915mila dollari, che vedrebbe un taglio dell’1,2% pari a poco più di 36mila dollari di media. Anche il successivo 4% (con un reddito annuo tra i 360mila e i 915mila dollari) vedrebbe uno sconto dell’1,3%, pari a poco più di settemila dollari in media.
A farne le spese, come già visto in precedenza, sarà ancora il restante 95% della popolazione, a partire dalle fasce meno benestanti. Il quinto meno ricco degli statunitensi, con un reddito inferiore ai 26.800 dollari l’anno, sarà sottoposto a un aumento della pressione fiscale del 4,8% per circa 800 dollari di media l’anno. Una situazione simile anche per il successivo 20% (tra i 26.800 e i 55.100 dollari) su cui dovrebbe gravare un aumento del 3,5%, pari a 14mila dollari di media.
Infine, la riforma avrà un impatto negativo sulle casse dello Stato. Rendere permanenti queste inique sforbiciate fiscali determinerebbe infatti un calo delle entrate fiscali per 466 miliardi di dollari solamente durante il primo anno. Chi copre il buco?
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