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Lampedusa, un anno dopo

Furono 368 i morti del naufragio del 3 ottobre 2013. L’isola si prepara alle commemorazioni di queste ore, tra la dismissione di Mare Nostrum e un’Europa miope di fronte a quelle che Amnesty International ha definito "vite alla deriva". Prevista anche la visita di Alfano, sostenitore del "sistema Cie". Nonostante diritti violati e dati di fatto. Alla periferia d’Europa abbiamo dedicato la nostra "Lampedusa. Guida per un turismo umano e responsabile"

Il naufragio del 3 ottobre 2013 al largo dell’isola di Lampedusa causò la morte di 368 persone. Alla vista dei corpi messi in fila la frase più impiegata fu “Mai più”.
30 giorni e due affondamenti dopo portarono il bilancio a 500 feretri. 
A un anno di distanza, tra iniziative pubbliche, mediatiche e politiche, c’è un numero, freddo, che tratteggia il fallimento di quelle che furono solenni dichiarazioni d’impegno. Sono ancora 2.500 le persone morte attraversando il Mediterraneo nel solo 2014. E sono solo quelle accertate.
 
A poche ore dalle celebrazioni, Amnesty International ha pubblicato un rapporto in inglese intitolato “Lives Adrift” (Vite alla deriva), che dà conto della “dura prova di sopravvivenza” che l’Europa -e i suoi Stati- sta infliggendo a centinaia di migliaia di persone. E che stride con i toni rassicuranti dell’operazione civile-militare “Mare Nostrum”, che pure ha consentito ad esempio alla Marina di portare a terra 100mila persone dal 18 ottobre 2013. Vive.
 
Secondo Amnesty, “in seguito alle attività operate nel contesto di Mare Nostrum, la percentuale dei morti rispetto a quella di quanti riescono ad attraversare, che si attestava oltre il 3%, è diminuita all’1,9%, pari a una persona morta ogni 53 che attraversano”. Mare Nostrum “sta indubbiamente facendo diminuire il numero delle vittime, eppure la traversata del Mediterraneo continua a essere una via estremamente rischiosa per rifugiati e migranti”.
 
Un argine, non una soluzione, che il governo Renzi ha dichiarato di voler interrompere entro il dicembre di quest’anno. Angelino Alfano, il ministro dell’Interno che in più di un’occasione ha paventato una “invasione” di “clandestini” (e pensare che tra il 1998 e il 2013 i rifugiati e migranti che hanno raggiunto in maniera “irregolare” le coste dell’Ue sono stati 623.118), parteciperà alla commemorazione recandosi direttamente a Lampedusa. E questo nonostante abbia manifestato a più riprese la sua insofferenza nei confronti del modello Mare Nostrum o difeso il “sistema Cie” (Centri di identificazione ed espulsione). I Cie rappresentano l’architrave su cui ha poggiato la politica migratoria dei governi nei quali il ministro Alfano ha svolto funzioni chiave. A guardare i dati si tratta tuttavia di un’architrave pericolante in materia di diritti e persino inefficace.
 
Infatti, secondo lo stesso ministero dell’Interno gli stranieri trattenuti nei Cie nel corso del 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne), dei quali 2.749 sono stati effettivamente rimpatriati. E nel 2014, al 9 luglio, i trattenuti risultano essere 2.124, di cui 1.036 rimpatriati.
 
L’isola, intanto, si prepara alle manifestazioni. La condizione eccezionale di periferia d’Europa ne ha solcato tratti normali, discreti, come ben racconta Ivanna Rossi in “Lampedusa. Guida per un turismo umano e responsabile”. Il municipio, un campetto di pallone, il cimitero di imbarcazioni giunte dal mare e un ristorante sul porto sono concentrati in duecento metri. Le riserve naturali abbracciano caserme semi deserte raggiunte dalle strade che tagliano l’Isola al centro, mentre i lavori di ristrutturazione al “centro di primo soccorso e accoglienza” -che verrà gestito dal primo ottobre dalla Confraternita delle Misericordie di Firenze- procedono spediti.
 
Ricomincia il grand tour delle “vite alla deriva”.

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