Interni
L’affare è l’emergenza in Nord Africa
Un nuovo stanziamento di mezzo miliardo, fino a dicembre 2012, per gestire le strutture che ospitano i richiedenti asilo
La cosiddetta “emergenza Nord Africa” costerà ancora mezzo miliardo, fino al 31 dicembre 2012. La conferma è arrivata dalla Gazzetta Ufficiale, il 6 luglio scorso. A pagare sarà il ministero dell’Economia che distribuirà i soldi al ministero dell’Interno e alla Protezione Civile, che ha attualmente in carico circa 21.000 migranti sbarcati lo scorso anno a Lampedusa. Ognuno di loro “costa” 46 euro al giorno -in totale circa un milione di euro ogni 24 ore-, e questi i 500 milioni di euro si aggiungono ai 200 già stanziati lo scorso anno per i costi delle strutture, la copertura dell’accordo di cooperazione con la Tunisia -40 milioni di euro- e lo stanziamento delle forze di polizia e dei vigili del fuoco impegnati. Oltre a coprire i costi delle strutture che li ospitano, l’assistenza legale e progetti di integrazione, in piccola parte sostengono le spese quotidiane dei migranti con la formula del “pocket money”. Nel Nord Italia sono soprattutto gestiti da onlus e case di accoglienza, mentre al Sud quasi tutti in alberghi. Come a Napoli, dove “da un anno -racconta Simona Talamo dell’associazione Less- circa 850 persone sono chiuse negli alberghi intorno a piazza Garibaldi -quella della stazione-, senza che nessuno provveda alle azioni di integrazione, come i corsi di italiano, che invece erano richiesti dal progetto”.
Una soluzione che non ha visto il coinvolgimento iniziale né del Comune né delle associazioni che da anni si occupano dei richiedenti asilo. Per “l’emergenza” bisognava agire subito. Alla situazione napoletana, l’associazione Less ha dedicato un documentario che si intitola “Accoglienza a 5 stelle”, un piccolo manuale di come non dovrebbe essere gestita l’accoglienza dei migranti richiedenti asilo. Un effetto collaterale della supposta “emergenza”. Il governo, complice anche il frastuono mediatico, affidò alla Protezione Civile la gestione dell’emergenza. Nella fretta, si optò anche per chiudere i richiedenti asilo in un albergo, in attesa del loro destino. “Adesso -ci spiega Valentina Brinis dell’associazione “A buon diritto”- la fase emergenziale è ancora in corso e quando si parla di emergenze può accadere di tutto”. Alla gestione dell’immigrazione in Italia come emergenza, A buon diritto ha dedicato il rapporto “Lampedusa non è un’isola” (www.abuondiritto.it). Oltre a denunciare i costi della gestione dei Cie (Centri di indentificazione ed espulsione, i vecchi Cpt) “fabbriche di clandestinità” costate quasi un miliardo di euro dal 1999, il rapporto traccia un bilancio dell’emergenza Nord Africa. “I numeri in realtà non sono da emergenza -spiega Brinis-. Molte delle strutture costituitesi hanno fallito perché tutto è stato fatto senza una reale prospettiva”. Il picco degli sbarchi a Lampedusa si è avuto tra metà febbraio e marzo, e ha riguardato soprattutto migranti provenienti dalla Tunisia: 23mila persone che indussero il ministero degli Interni a emanare il decreto in cui si riconosceva una forma di protezione, temporanea, che non permette l’espatrio, alle persone arrivate. “Si era posto subito il problema dell’accoglienza -spiega ancora Brinis-, ma 23.000 è in realtà un numero esiguo. Inizialmente uno dei primi provvedimenti fu quello di liberare i Cie del Nord Italia, trasferendo le persone che erano lì rinchiuse verso il Sud. In totale gli sbarchi del 2011, secondo le stime, hanno riguardato 62.000 persone, di cui 28.000 provenienti dalla Libia, ma originarie di diversi Paesi africani e non solo. Il ministero decise che a gestire questa ‘emergenza’ dovesse essere la Protezione Civile: un fenomeno trattato alla stregua di un terremoto”. È “l’affare”, e passa per la creazione di un meccanismo anomalo, che affida l’accoglienza anche a strutture turistiche, che data la crisi ci si sono buttate sopra. “46 euro al giorno -spiega Brinis- è una cifra ragguardevole, ma oltre al vitto e all’alloggio si doveva provvedere anche all’integrazione e all’assistenza legale nelle richieste di asilo”. In moltissime strutture questo non è accaduto. “A Napoli l’esasperazione dei richiedenti asilo è alle stelle -racconta ancora Simona Talamo-. Non c’è mediazione, né assistenza sanitaria; ci sono molti casi di disagio che sfociano in trattamenti sanitari obbligatori e autolesionismo fra i ragazzi. Che in questa situazione finiscono nelle mani della criminalità organizzata”.
Diversi sono gli esposti alla Procura di Napoli partiti contro gli albergatori. “È mancato qualsiasi sistema di controllo -spiega Brinis-. Sulla carta queste situazioni non dovevano crearsi, ma ce ne sono state molte, anche nel Lazio. Abbiamo rilevato appartamenti con 20 persone dentro, e i proprietari che legavano le caldaie coi lucchetti in inverno perché non venissero usate”.
Quest’“emergenza” non è finita, ma è stata prorogata fino al 31 dicembre. E se ne occupa ancora la Protezione Civile. Del futuro dei richiedenti asilo -le Commissioni territoriali che decidono stanno lavorando lentamente- non si sa che cosa potrà essere. Le ipotesi al vaglio sono molte: si parla di un permesso umanitario che potrebbe coinvolgere tutti coloro che hanno fatto richiesta. Ma la copertura per le strutture di accoglienza è sicura fino alla fine dell’emergenza, e poi gli enti locali che hanno messo a disposizione le strutture dovranno fare i conti con la copertura delle spese. Pochi migranti, però, sono inseriti in un vero percorso di integrazione. Per coloro che sono nelle strutture ricettive il futuro è completamente incerto. “Il sistema di accoglienza -conclude Brinis- è precario, e molti territori, Roma ad esempio, non saranno in grado di dare risposte”. Intanto la Conferenza delle Regioni ha chiesto al governo di ripensare l’intero sistema di accoglienza, incentrandolo sulla assegnazione di quote regionali e sull’integrazione fra i vari sistemi nei Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo), nella rete Sprar (vedi box a p. 22), e nelle strutture per la cosiddetta “emergenza Nord Africa”, con l’obiettivo di favorire progetti di integrazione e un utilizzo sano delle risorse. Chiedendo al governo di fare la sua parte creando un Fondo per la copertura dei costi sostenuti dagli enti locali. —
In Italia 64mila rifiugiati dal 2005 al 2011
Nel 2011 in Italia ci sono state 37mila richieste di asilo politico: nonostante l’emergenza Nord Africa del 2011, appena 6.000 in più rispetto al 2008. Nel 2009 e 2010 erano state molto ridotte -17 e 14mila- a causa degli accordi tra l’Italia e il regime di Gheddafi, che prevedeva forti impedimenti per coloro che si volevano imbarcare. La maggioranza dei richiedenti asilo non sono originari del Nord Africa, ma afghani, russi, pakistani, iracheni e serbi. I rifugiati, cioè coloro che dopo la richiesta di asilo ottengono lo status che gli permette di risiedere nel suolo italiano, sono attualmente circa 56mila. Dal 2005 al 2011 sono stati, secondo le statistiche del ministero degli Interni, più di 138.379 le richieste d’asilo avanzate nelle apposite commissioni territoriali -situate a Bari, Caserta, Crotone, Foggia, Gorizia, Milano, Roma, Siracusa, Torino e Trapani e in alcune speciali-: 64.759 hanno ricevuto lo status sottoforma di protezione umanitaria (la maggioranza, 35.723), protezione sussidiaria o status di rifugiato; 73.620 sono stati i richiedenti asilo che non hanno visto accogliere la richiesta. Per gestire la trafila che porta dalla richiesta d’asilo all’ottenimento dello status di rifugiati in Italia è stato creato il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). È costituito dalla rete degli enti locali che accedono per i progetti di accoglienza al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo ed operano con il supporto delle realtà del terzo settore per cercare di dare una prospettiva a chi fugge dalla propria terra in cerca di asilo politico.