Diritti / Opinioni
L’accesso a un ambiente sano è un diritto umano
La risoluzione dell’Onu di ottobre sollecita gli Stati a garantirlo: una decisione che può fare cambiare indirizzo anche alle istituzioni europee. La rubrica di Nicoletta Dentico
All’inizio di ottobre il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 48/13 che, per la prima volta, riconosce il diritto umano a un ambiente pulito, sano e sostenibile, e sollecita gli Stati membri a cooperare attivamente per garantire questo diritto. Il Consiglio ha adottato contestualmente un’altra risoluzione, la 48/14, che introduce un Relatore speciale per promuovere e proteggere i diritti umani nel nuovo scenario del cambiamento climatico. Una mossa rilevante. Le istituzioni multilaterali e i governi hanno dovuto ammettere una relazione sempre più inestricabile tra cambiamenti climatici e diritto internazionale ma solo con l’Accordo di Parigi questo riferimento è stato reso esplicito.
A corroborare il presupposto che le buone condizioni ambientali impattano sulla vita sana delle persone si è formato negli ultimi decenni un consistente corpus di pratiche legali nazionali e internazionali, mappato e raccolto dal Relatore speciale dell’Onu su diritti umani e ambiente. Nel 2018 l’Onu riconobbe che il diritto a un ambiente sano comporta vantaggi molto concreti: fa risuonare l’importanza della protezione dell’ambiente e produce l’introduzione di norme ambientali più severe, tali da assicurare un più agile accesso alla giustizia.
Finora era stato riconosciuto solo in alcuni trattati sui diritti umani regionali, in Africa e in America Latina, e in alcuni strumenti giuridici molto settoriali. Anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha varato il 21 settembre una risoluzione che punta a un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea sui diritti umani con l’obiettivo di ancorare il diritto a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile all’impianto integrale dei diritti umani in Europa. La palla passa ai ministri del Consiglio d’Europa che hanno la parola finale sul processo normativo. Una prima risoluzione dell’Assemblea parlamentare su questo tema fu varata nel 2009, ma da allora il Consiglio dei ministri non ha fatto assolutamente nulla: ciò non suscita particolari speranze.
In effetti è illusorio immaginare che gli sconquassi sempre più evidenti che sfregiano il Pianeta per via dei cambiamenti climatici e le lunghe concatenazioni decisionali in sede Onu producano un senso di unanimità tra i governi. La recente risoluzione 48/13 è passata con il voto di 43 Paesi a favore e le astensioni di Russia, Cina, India e Giappone. Neppure gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, pur avendo votato a favore, mostrano particolare entusiasmo per i suoi effetti.
150 sono i Paesi dove, con varie fraseologie giuridiche, è presente il diritto a vivere in un ambiente salubre.
Quali saranno le implicazioni pratiche di tale risoluzione? Anche se non vincolante, sarebbe errato sottovalutarne la portata che comporterà in qualche modo la necessità, anche per l’Assemblea delle Nazioni Unite, di sancire il principio secondo cui il diritto a un ambiente sano deve essere universalmente tutelato. Questo potrebbe far cambiare indirizzo al Consiglio d’Europa e favorire l’introduzione del diritto nelle giurisdizioni che ne sono ancora prive a livello nazionale. Soprattutto il nuovo strumento facilita la possibilità di intraprendere azioni adeguate contro gli Stati e gli attori privati che ignorano la triplice crisi combinata alla pandemia da Covid-19, quella dell’inquinamento, del cambiamento climatico e della perdita della biodiversità. Le battaglie nei tribunali del resto non mancano e potrebbero diventare ancora più frequenti, man mano che la cultura di riconoscimento del diritto a un ambiente sano incoraggerà nuove generazioni di giudici a farlo valere con forza sempre maggiore.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici Senza Frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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