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Diritti / Reportage

La risposta all’esodo ucraino e il trauma delle frontiere d’Europa

Iryna, 32 anni, Oksana, 26 anni e sua figlia Sofiia, tre anni. Durante il viaggio di 24 ore che le ha portate da Ternivka, nell’Ucraina dell’Est, a Záhony, l’avanzare del treno è stato interrotto molteplici volte dal suono delle sirene antiaeree © Chiara Fabbro

A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, una riflessione visiva dal campo sulla disparità nell’accoglienza riservata a chi fugge da zone di conflitto. Le storie di due coppie di amici che cercano rifugio alle porte dell’Unione

Tratto da Altreconomia 267 — Febbraio 2024

Cade il 24 febbraio il secondo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. All’esodo della popolazione civile, l’Europa ha risposto con l’attivazione straordinaria della protezione temporanea, misura istituita nel 2001, all’indomani delle fughe di massa dai Balcani occidentali, ma poi mai attivata. Una procedura che permette ai beneficiari di ottenere il permesso di residenza e l’accesso al mercato del lavoro, insieme ad altri diritti. Sono quasi 4,3 milioni le persone registrate con questo status, con oltre 185mila domande presentate in Italia (dati ministero dell’Interno al 12 gennaio 2024). La prossima grande sfida per l’Europa sarà a marzo 2025 quando, allo scadere dei tre anni massimi previsti per la procedura e se la guerra non si sarà risolta, dovrà trovare soluzioni a lungo termine per i rifugiati ucraini.

Oksana e Iryna, nomi di fantasia di due amiche che vengono da Ternivka, nell’Ucraina dell’Est, sono fuggite nell’aprile 2022 insieme ai figli (di tredici, dieci e tre anni) e al cane. Dopo un lungo viaggio in treno interrotto molteplici volte dal suono delle sirene antiaeree, sono arrivate a Záhony, un piccolo paese ungherese al confine con l’Ucraina, dove le ho incontrate.

A Ternivka, Oksana era impiegata come commessa mentre Iryna ed entrambi i loro mariti lavoravano alla miniera locale. Il rumore e il fumo dei bombardamenti vicini le hanno convinte a partire. Il marito di Iryna è stato arruolato quasi subito, potendo comunicare con la famiglia solo tramite brevi messaggi, e si è poi trovato direttamente coinvolto nei combattimenti. “Fa molta paura -mi ha raccontato Oksana a gennaio 2023-. È nella zona di Zaporizhzhia da quasi due mesi, ma là il tempo scorre diversamente”.

Sono stati molti i membri della società civile a offrire spontaneamente il loro supporto agli ucraini in fuga. Uno di loro è Chris, che ha deciso di mettere a disposizione la casa delle vacanze sul lago Balaton. Da Regensburg, in Germania, dove vive, ha guidato fino a Záhony, dove Iryna e Oksana sono state felici di accettare la sua offerta. E così la sua auto, colma di passeggeri e borsoni -il cane munito di pannolino-, ha lasciato il confine diretta a Ovest.

La risposta immediata e collettiva che l’esodo dalla vicina Ucraina ha richiesto all’Europa non è stata esente da problemi, come ha documentato l’Agenzia europea dei diritti fondamentali (Fra), a causa soprattutto dell’incertezza nella durata di permanenza delle persone che ha reso difficile la pianificazione a livello locale. L’accoglienza dei rifugiati ucraini ha però avuto il merito di riconoscere le esigenze di chi fugge da un conflitto, a differenza dell’attuale gestione delle frontiere esterne dell’Europa, fatta di filo spinato, respingimenti e violenza.

Il sindaco di Záhony (Ungheria) ha messo a disposizione un’ala della scuola come rifugio di emergenza gestito da volontari locali. Due banchi formano un’area ristoro nel corridoio ingombro di scatoloni con le donazioni per i rifugiati. Regna un’aria stanca dove solo i più piccoli sembrano avere energie e corrono tra le file di letti nelle aule-dormitorio © Chiara Fabbro


È virtualmente impossibile per chi ha un passaporto siriano, afghano o sudanese, insieme a molti altri, ottenere un visto d’ingresso per un Paese europeo. Questo non lascia loro altra scelta che l’attraversamento irregolare dei confini per poter presentare domanda d’asilo. Attraversamento reso ancor più difficile e pericoloso dagli inesorabili respingimenti alle frontiere.

Sono quasi 4,3 milioni le persone titolari della “protezione temporanea” dal 24 febbraio 2022. In Italia, le richieste superano le 185mila unità

Tra le vie d’accesso umanitarie sicure ci sono i programmi di reinsediamento, tramite i quali ogni Paese può impegnarsi ad accogliere una quota di rifugiati già ospitati da un Paese terzo e riconosciuti come vulnerabili dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Finora i programmi europei non hanno dato risposte adeguate: nel 2022 l’insieme dei Paesi dell’Unione ha reinsediato complessivamente meno di 17mila persone, rispondendo solo all’1,1% delle esigenze globali.

Nel 2022 l’insieme dei Paesi dell’Unione ha reinsediato complessivamente meno di 17mila rifugiati, rispondendo solo all’1,1% delle esigenze globali

Durante il Global refugee forum di dicembre 2023 è stato annunciato l’impegno di 14 Paesi europei ad accogliere un totale di oltre 30mila persone nel biennio 2024-25. Per quanto gli ulteriori impegni per il reinsediamento di un milione di rifugiati entro il 2030 siano promettenti, i numeri attuali sono ancora del tutto inadeguati e non esiste garanzia che gli impegni presi vengano mantenuti. I programmi di reinsediamento vanno sicuramente rinforzati per il loro potenziale di offrire supporto ai più vulnerabili, limitare il ricorso alle reti di smuggler e ridurre la pressione sui Paesi a basso e medio reddito che ospitano il maggior numero di rifugiati a livello globale. Non possono però sostituire del tutto un sano sistema di asilo, a partire dalla gestione dei confini e di chi arriva alle frontiere “comunitarie”.

Un cestello di lavatrice funge da focolare per cucinare e scaldarsi. Le condizioni del centro di transito statale della zona sono squallide e così preferiscono stare qui © Chiara Fabbro

I Balcani occidentali rappresentano una delle principali vie di ingresso in Europa. Il confine serbo-ungherese, marcato dal 2015 da una doppia recinzione di filo spinato a lame di rasoio, e relativamente calmo dal 2018, ha assunto nuovamente un ruolo centrale su questa rotta a partire dal 2022, come riportano le organizzazioni Border violence monitoring network (Bvmn) e Collective Aid. Ogni settimana sono migliaia i respingimenti da parte delle forze ungheresi, per i quali è stato documentato un graduale aumento nel ricorso a metodi violenti. 

Ogni settimana sono migliaia i respingimenti da parte delle forze ungheresi al confine con la Serbia. Con un graduale aumento nel ricorso a metodi violenti

Ibrahim e Husam, nomi di fantasia, sono due tra le migliaia di persone che si sono ritrovate bloccate al confine serbo-ungherese e che ho incontrato in un accampamento di fortuna vicino ad una fabbrica abbandonata, a soli 300 chilometri da Záhony. Nel 2011 Ibrahim è stato arrestato nella sua città natale, Homs, in Siria. Dopo la preghiera del venerdì si era fermato a guardare una manifestazione contro il regime di Bashar al-Assad, quando le guardie hanno chiuso la strada e arrestato quasi tutti. Ibrahim aveva 14 anni. Non appena suo padre è riuscito a farlo liberare, dopo un anno di prigionia, ha lasciato il Paese per cercare rifugio in Turchia, insieme a Husam, che ha conosciuto a Idlib durante la fuga. 

Ibrahim e Husam vivono in un piccolo accampamento di fortuna nascosto dall’erba alta nei pressi di una fabbrica abbandonata al confine serbo-ungherese. Nella fabbrica vivono molti altri uomini, anche se al momento è semi deserta perché c’è appena stato uno sgombero della polizia, che ha trasferito tutti nei campi del Sud del Paese © Chiara Fabbro

I due amici hanno vissuto a Izmir per nove anni, facendo ogni sorta di lavoro, dalla sartoria all’agricoltura. La situazione non è facile per i siriani in Turchia, dove l’accesso allo status di protezione temporanea è sempre più ridotto e molti vengono rimpatriati. Dopo aver tentato invano di accedere a un programma di reinsediamento per il Regno Unito, i due amici hanno deciso di provare a raggiungere l’Europa con le loro forze.

Husam e altri due giovani uomini siriani si godono un momento di relax per fumare il narghilè alla fabbrica abbandonata. Sono le organizzazioni di aiuto umanitario a portare cibo, vestiti e tende, oltre a una doccia da campeggio una volta a settimana e assistenza medica di base © Chiara Fabbro

La parte più dura del viaggio è stata l’ingresso in Grecia, a causa della violenza dei respingimenti della polizia di frontiera.L’ultimo tentativo attraverso il fiume Evros, finalmente riuscito, è stato anche il più tragico. Era una notte gelida di novembre e il piccolo gommone reggeva a malapena il peso dei suoi tre passeggeri, Ibrahim, Husam e il loro amico Ali. Quando l’imbarcazione ha iniziato ad affondare i tre hanno dovuto raggiungere l’altra sponda a nuoto. Ma Ali non sapeva nuotare. “Era buio e non ho potuto fare nulla per salvarlo” ha ricordato Ibrahim, quasi a volersi giustificare. Ibrahim e Husam sono arrivati in Europa. Le difficoltà nel mettere insieme la cifra per pagare gli smuggler hanno separato le loro strade e si trovano ora in due Paesi diversi, ma si sentono ogni giorno.

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