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Diritti / Opinioni

La riforma della cittadinanza per riconoscere una società plurale

L’osteggiata proposta del 2015 era imperniata sulle nozioni di ius temperato e ius culturae. Quel percorso è da recuperare oggi. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 242 — Novembre 2021
Manifestazione della rete Italiani senza cittadinanza @ Italiani senza cittadinanza

Il 13 ottobre 2015 la Camera dei Deputati approvò il testo unificato di riforma della vigente legge sulla cittadinanza (la 91 del 1992). Si unificavano così in un unico testo, sul quale si trovò una maggioranza politica, diverse proposte di legge tra cui quella di iniziativa popolare promossa dalla campagna “L’Italia sono anch’io”. 

Sembrò allora di essere vicini alla riforma di una delle norme sulla cittadinanza tra le più chiuse d’Europa ma così non fu perché il testo venne trasmesso al Senato dove si arenò. La norma tuttora in vigore è rimasta dunque incentrata sul diritto di sangue (ius sanguinis), ovvero la trasmissione della cittadinanza per filiazione da cittadini italiani ed è persino sufficiente avere in qualunque Paese estero un discendente italiano per diventare a propria volta cittadini italiani, anche in assenza di un legame sostanziale e culturale con il nostro Paese. 

È prevista la possibilità di acquisizione della cittadinanza anche per naturalizzazione, ma viene richiesta una residenza almeno decennale e il possesso di robusti requisiti di reddito e alloggio. L’acquisizione non avviene prima di un iter amministrativo che usualmente richiede ulteriori quattro anni. 

Infine è possibile ottenere la cittadinanza se si è nati in Italia da genitori stranieri, ma solo alla maggiore età (facendo domanda entro un anno dal compimento del diciottesimo anno, altrimenti tale facoltà decade) e solo se si dimostra di aver risieduto legalmente in Italia senza interruzioni sin dalla nascita. 

Basta non essere nati in Italia, anche se vi si abita fin dalla tenera età, o avere vissuto all’estero per un breve periodo o ancora che i genitori (e di conseguenza il figlio) siano stati irregolari per un periodo anche breve, e il neo maggiorenne non solo non sarà italiano ma, se non ha gli stringenti requisiti per ottenere un permesso di soggiorno per studio o lavoro, può perdere il permesso di soggiorno, divenire “clandestino” ed essere espulso verso ciò che burocraticamente viene definito il Paese di origine, luogo che magari lo sventurato non ha neppure mai visto nella sua vita. 

Che cosa prevedeva dunque di così audace il testo di riforma che sembrò nascere ma venne subito ucciso alla fine del 2015? La proposta, che guardava soprattutto alla condizione dei minori, era imperniata su due nozioni: il cosiddetto ius soli temperato e lo ius culturae. Con la prima nozione diveniva cittadino italiano colui che era nato nella Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno in possesso del permesso di lungo soggiorno Ue.

La seconda nozione riguardava coloro che, pur nascendo in Italia, per varie ragioni non possono utilizzare lo ius soli temperato o per coloro che sono venuti a vivere in Italia prima del compimento del dodicesimo anno di età e hanno frequentato per almeno cinque anni uno o più cicli di studio presso istituti scolastici, o percorsi di formazione professionale almeno triennale con conseguimento della qualifica professionale. Le due nozioni non sono rigide ma si possono declinare in diverse ipotesi, dando luogo a una maggiore o minore apertura nel definire il nuovo diritto. In ogni caso ciò che si opera è un cambio di visione della cittadinanza adeguando l’ordinamento giuridico a una società che è, da tempo, plurale. 

Ma un tanto è bastato per generare il finimondo nell’indomito spirito di alcuni, forse minoranza ma molto aggressiva, che nella riforma hanno visto un inaccettabile annacquamento del sangue della stirpe di Roma, forse ignari che, nel suo mito fondativo, l’Urbe fu edificata da un profugo, Enea che “da terra Troiana venne, fuggiasco” (“Eneide”,  primo libro, versi 1-7). Nella corrente legislatura diverse proposte di legge hanno recuperato il vecchio testo, alcune semplicemente riproponendolo, altre modificandolo, ma comunque conservando l’impianto dato dalla combinazione delle due nozioni di ius soli temperato e di ius culturae. Presto la parte migliore della società italiana dovrà di nuovo dare il meglio di sé per cercare di cambiare il Paese.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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