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Terra e cibo / Opinioni

La protesta dei trattori vista da chi fa agricoltura biologica dal 1978

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Maurizio Gritta della cooperativa Iris è tra i pionieri del bio e conosce bene il disprezzo per il lavoro manuale o lo scarso valore riconosciuto a chi produce. Della mobilitazione in atto non scorge però un obiettivo chiaro e condiviso. “La maggior libertà di utilizzare i pesticidi non implementerà certo i nostri redditi”. La sua analisi

Mi occupo di agricoltura biologica dal 1978. Sono nato in un’azienda agricola a conduzione familiare in provincia di Brescia e, sin da piccolo, mio padre mi ha trasmesso la passione e la professionalità necessarie per la coltivazione agroalimentare e l’allevamento degli animali. “La natura va rispettata -diceva- perché lavorandola ci dà la possibilità di prenderci cura dei nostri figli”. Pur essendo analfabeta, aveva compreso istintivamente la necessità di un rapporto paritario ed equidistante.

La cosiddetta “protesta dei trattori”, oggi, mette in luce alcune problematiche reali ma non sembra avere ancora un obiettivo solido, chiaro e condiviso in modo unanime. Nel momento in cui scrivo la Commissione europea ha ceduto alla pressione delle contestazioni e ha deciso di rinunciare alla normativa che prevedeva una riduzione progressiva dell’uso di pesticidi per proteggere la biodiversità e l’impatto sull’ecosistema. Siamo sicuri che questa concessione, insieme a qualche promessa di ridurre burocrazia e spese carburante, sia davvero un’azione che migliora le nostre condizioni di lavoro?

Non sarà certo la maggior libertà di utilizzare pesticidi o fitofarmaci a implementare il nostro reddito o la qualità della nostra vita personale e lavorativa, anzi, secondo il “Farm worker ministry” negli Stati Uniti, uno dei Paesi con i metodi di coltivazione più avanzati e moderni, la vita media di un agricoltore è di circa 49 anni, ben 29 in meno del resto della nazione, e svuotando di senso e contenuto il “Green deal” europeo rischiamo di intraprendere lo stesso percorso. L’agricoltura biologica sta dimostrando da decenni ormai come sia possibile produrre (e guadagnare) senza rinunciare alla tutela dell’ambiente che ci circonda. Coltiviamo alimenti per circa 12 miliardi di persone in un mondo abitato da otto, non abbiamo bisogno di produrre di più ma meglio, in modo più oculato e intelligente.

Una ricerca dell’Università di Goiàs in Brasile, analizzando i dati dal 2011 al 2020 di oltre 20 nazioni tra cui Francia, Stati Uniti, India, Italia e lo stesso Brasile, ha constatato un aumento parallelo, dal 40% al 60%, tra l’uso intensivo di pesticidi e le malattie cancerogene tra gli addetti ai lavori che ne sono a stretto contatto tutto il giorno nei campi. Come già accaduto per l’Ilva di Taranto crediamo di dover scendere a compromessi con la nostra salute pur di mantenere il lavoro ma la lotta comune dovrebbe concentrarsi sulla produzione di cibo sano nel modo meno inquinante possibile e pretendere che la ricerca e le nuove tecnologie studino metodi più adatti alla tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori aiutandoci a fare dei passi avanti verso un futuro migliore invece di tornare ai metodi intensivi e coercitivi del passato.

La mobilitazione in atto, però, ha anche diversi aspetti positivi; per esempio mette in evidenza la mancanza di dignità e correttezza con cui viene trattato il lavoro manuale. Molti intervistati, infatti, hanno sottolineato l’enorme discrepanza tra il prezzo ricevuto dal produttore e quello offerto al consumatore, con aumenti spropositati e spesso ingiustificati lungo i vari passaggi della filiera agricola e commerciale.

Più che un’agricoltura assistita serve un’agricoltura soggetto attivo di mercato, con regole per una concorrenza leale e trasparente, in grado di valorizzare le piccole, medie e grandi imprese in base alle loro dimensioni e reali capacità di produzione. Anche in questo contesto, noi coltivatori biologici siamo stati dei pionieri organizzandoci in spazi autonomi, indipendenti, certificati da enti terzi e riconosciuti anche dall’Unione europea. Questo ruolo di lotta di fianco ai lavoratori una volta veniva ricoperto dalle associazioni sindacali che sembrano essersi dimenticate del loro scopo originale e danno l’impressione di strumentalizzare la situazione solo per fini elettorali.

Infine, non va dimenticato l’apporto fondamentale del consumatore e acquirente finale. Fare la spesa in modo accurato, informandosi sull’impatto ambientale di quello che si mangia, quanto tempo ed energia richieda per essere coltivato e quali e quanti diritti dei lavoratori che se ne sono occupati siano stati rispettati, può essere un atto politico diretto di grande impatto.

Cerchiamo di collaborare tutti insieme affinché queste proteste portino un reale miglioramento per il futuro di tutti noi e non si limitino a soddisfare i miopi interessi politici ed economici di sindacati e multinazionali dell’industria agroalimentare.

Maurizio Gritta, agricoltore, è da sempre impegnato nella divulgazione delle tecniche di produzione biologica. Nel 1978 ha fondato insieme ad altri il progetto della cooperativa Iris

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