Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

La privatizzazione dei sistemi sanitari fa male alla salute. Il caso del Regno Unito

© Martha Dominguez de Gouveia - Unsplash

Secondo una recente ricerca pubblicata sulla rivista Lancet l’esternalizzazione dei servizi sanitari in Inghilterra avrebbe provocato un incremento della mortalità evitabile. Anche in Italia si è assistito a un processo simile, indebolendo il sistema sanitario contro il Covid-19, osserva l’epidemiologo Marco Geddes

La privatizzazione dei servizi sanitari potrebbe peggiorare la qualità del sistema di cura e in alcuni casi portare a un incremento della mortalità tra i pazienti. Nel Regno Unito, come conseguenza della riforma sanitaria “Health and social care act” del 2012, il numero di morti evitabili nel Paese, cioè prevenibili tramite adeguati interventi di prevenzione, diagnosi precoce, terapia o assistenza sanitaria, sarebbe aumentato. Se la mortalità evitabile era in costante calo dal 2012, anno di entrata in vigore della riforma, fino al 2018 si è assistito a un’inversione della curva. Lo evidenzia la ricerca “Outsourcing health-care services to the private sector and treatable mortality rates in England, 2013–20: an observational study of NHS privatization” pubblicata nel luglio 2022 dalla rivista scientifica britannica The Lancet e condotta dai ricercatori del dipartimento di Politica sociale e Intervento dell’Università di Oxford .

“Il nostro studio suggerisce che l’aumento dell’esternalizzazione a scopo di lucro in Inghilterra potrebbe aver influito negativamente sulla qualità dell’assistenza fornita ai pazienti e aver provocato un aumento dei tassi di mortalità -si legge nella ricerca-. Le riforme del 2012 hanno modificato la regolamentazione della concorrenza con l’obiettivo di aprire il mercato in modo che un maggior numero di servizi del sistema sanitario potesse essere erogato da fornitori non appartenenti alla sfera pubblica. Questa politica ha reso quasi obbligatoria l’esternalizzazione di alcuni servizi, o almeno impossibile garantire che i contratti rimanessero nel sistema sanitario”. Lo studio ha inizialmente analizzato la spesa sanitaria del Paese per stimare la “grandezza” delle privatizzazioni e i settori nei quali si è concentrato maggiormente il fenomeno. È emerso come in Inghilterra la percentuale di spesa sanitaria verso fornitori a scopo di lucro sia aumentata dal 4% del 2014 al 6% del 2020 e che la parte più consistente della spesa sia stata indirizzata verso aziende sanitarie o con reparti attivi nella cura della persona. Infine si è cercata una correlazione (che non corrisponde necessariamente a un rapporto di causa effetto) tra la spesa indirizzata verso enti privati e l’incremento della mortalità evitabile. La ricerca ha trovato che ad ogni punto percentuale di incremento della privatizzazione corrispondeva un aumento della mortalità evitabile di una quantità compresa tra lo 0,29% e il 0,38%. “Abbiamo riscontrato che l’unico tipo di esternalizzazione che ha portato ad un aumento della mortalità è stato quello nei confronti delle aziende sanitarie a scopo di lucro, suggerendo che i nostri risultati potrebbero essere spiegati dalla qualità dei servizi forniti da queste aziende”, affermano i ricercatori.

“Negli ultimi 10-12 anni si è assistito a un aumento delle esternalizzazioni anche in Italia -spiega il dottor Marco Geddes, medico epidemiologo ed esperto di sanità pubblica, che ha commentato lo studio inglese su Saluteinternazionale, progetto senza scopo di lucro, sostenuto dall’associazione Salute Internazionale di Firenze, la cui finalità è la promozione del diritto alla salute a livello globale-. Da quando è stato istituito il servizio sanitario nazionale nel 1978 la percentuale di posti letto privati è aumentata dal 14% al 22% del 2022. Si tratta di un processo inevitabile, se tagli i finanziamenti al settore pubblico il privato troverà sempre più spazio”. Esistono due tipi di esternalizzazioni: la prima riguarda i cosiddetti “servizi accessori” come la gestione dei parcheggi, dei trasporti, della mensa o della lavanderia. Nel secondo caso, invece, a venire affidati ai privati sono attività legate direttamente alla cura della persona, come servizi di diagnosi o di laboratorio. Se lo spostamento dei servizi accessori al privato è un processo in atto da diversi decenni, negli ultimi anni si sta assistendo all’esternalizzazione di attività propriamente sanitarie. “Si può esternalizzare un servizio di cura in due modi- spiega Geddes ad Altreconomia- una scelta è quella di portare direttamente il paziente in una struttura privata esterna, l’altra è quella di far entrare il privato all’interno del settore pubblico”.

Sono due le giustificazioni per il processo di esternalizzazione. La prima sarebbe di natura “efficientista” ossia l’idea secondo la quale un servizio privato otterrebbe gli stessi risultati ma a un costo inferiore. “Tale affermazione ha trovato molte obiezioni di natura empirica: l’aumento della spesa e il confronto tra i costi dei servizi esternalizzati e quelli effettuati direttamente. Viene inoltre evidenziato come il contenimento delle spese nel privato sia spesso realizzato non con una più efficiente organizzazione delle attività, ma tramite il ricorso a personale precario e sottopagato”, evidenzia Geddes. Una seconda motivazione sarebbe di natura “ideologica” per cui i servizi privati dovrebbero avere le stesse possibilità di competere e di porsi sullo stesso piano del pubblico. Anche in questo caso esistono delle obiezioni di natura sia pratica sia etica. La prima sostiene che con la privatizzazione diminuirebbero le competenze del settore pubblico e di conseguenza anche la propria capacità di controllare le attività che assegnate al privato. “Dal punto di vista etico inoltre si obietta che, in una società democratica, i ‘bisogni sociali’ non sono semplicemente bisogni, bensì diritti, che si collocano in una relazione di obblighi e doveri reciproci che solo un ente pubblico, ossia capace di agire a nome di tutti simultaneamente e collettivamente può soddisfare”, aggiunge Geddes

“Se appaltare servizi accessori è una scelta logica -afferma Geddes- quando questo viene fatto per attività diagnostiche, sanitarie o assistenziali si vengono a creare delle conseguenze negative che stiamo incominciando a vedere nel nostro Paese anche se l’esternalizzazione non ha raggiunto una fase così avanzata come in Inghilterra e Stati Uniti”. Ad esempio la ricerca “The effect of healthcare delivery privatization on avoidable mortality: longitudinal cross-regional results from Italy, 1993-2003”, pubblicata nel 2003 sul Journal of epidemiology and community health, aveva mostrato risultati simili a quanto evidenziato dallo studio sul Regno Unito. L’analisi della relazione tra spesa sanitaria pro capite e mortalità evitabile effettuata tra il 1993 e il 2003 ha evidenziato come ogni incremento di 100 euro della spesa sanitaria pubblica per abitante era associato a una riduzione della mortalità dell’1,47%. Al contrario gli investimenti nel settore privato non sono stati correlati ad alcun calo della mortalità.

Nonostante non si possa attribuire una causa diretta tra privatizzazione della sanità e aumento della mortalità è possibile identificare tre conseguenze negative delle privatizzazioni. La prima riguarda il fatto che i fornitori a scopo di lucro possono abbassare il prezzo riducendo il numero del personale, la loro qualifica e l’adesione a linee guida sanitarie. La seconda potrebbe essere la tendenza del privato a concentrarsi su settori più redditizi, lasciando “scoperti” alcuni campi. Infine la concorrenza potrebbe avere un effetto dannoso anche sul settore pubblico che è costretto, proprio a causa della competizione, a dare priorità a risultati più facilmente quantificabili diminuendo la qualità del servizio. “Un esempio di questo fenomeno è stato osservato in Lombardia durante la pandemia da Covid-19: a causa della diffusione di esternalizzazioni al settore privato nel 2019 il numero di posti letto in terapia intensiva, servizio considerato poco redditizio, era al di sotto dei dieci posti ogni 100mila abitanti. Nonostante gli sforzi migliorare il servizio, il 30 aprile 2022 la Lombardia risultava quinta per posti letto in terapia intensiva per il trattamento del Covid-19 per una quantità inferiori ai 20 letti ogni 100mila abitanti. Un altro esempio riguarda i vaccini: se la loro ricerca e produzione è completamente in mano privata abbiamo anche meno capacità di valutare e contrattare in modo efficace la fornitura e i costi correlati”, conclude Geddes.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati