Ambiente / Approfondimento
La pianificazione urbanistica che guida il consumo di suolo in Umbria
Gli ultimi dati dell’Ispra confermano che il “cuore verde d’Italia” è da tempo malato di cemento. Il consumo di suolo medio dei cittadini della Regione è di gran lunga superiore alla media nazionale. Un fenomeno guidato da una pianificazione che amplia le aree produttive senza considerare alternative di riqualificazione
Le scelte urbanistiche di oggi avranno efficacia sull’assetto territoriale dell’Umbria di domani. Il consumo di suolo in Italia, che avanza con notevole velocità con circa 19 ettari al giorno consumato nel 2022, il valore più alto degli ultimi dieci anni, è frutto spesso di previsioni urbanistiche e accordi di programma. Rispetto a questo, l’Umbria non è da meno, come dimostrato dai recenti dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul consumo di suolo che evidenziano un progressivo incremento.
A tal proposito, nel 2022, il suolo consumato pro-capite per ciascun cittadino della Regione Umbria è stato di 517 metri quadrati rispetto a una media nazionale di 364 metri quadrati. Uno scostamento dal valore nazionale confermato anche nel biennio precedente che può essere compreso fino in fondo osservando le modalità di pianificazione del territorio a livello regionale e comunale. Si tratta di un fenomeno critico che è sempre più percepito anche dai cittadini come dimostra la fioritura di comitati e gruppi spontanei di contrasto a queste modalità di trasformazione del territorio.
I dati sul consumo di suolo, come abbiamo già scritto su questa rivista, rivelano infatti una realtà molto diversa rispetto alle narrazioni a fini turistici che descrivono l’Umbria come “cuore verde d’Italia” configurando la comunicazione regionale come operazione di greenwashing. La sostanza è che le scelte di varie amministrazioni pubbliche in Umbria sono completamente in antitesi con l’immagine confezionata allo scopo di attrarre visitatori.
La prima cosa da osservare sono i piani regolatori comunali e la legge urbanistica regionale. A tal proposito, dalle statistiche sviluppate nel 2022 dall’Ispra, nei dati regionali sul consumo di suolo emergono sorprendentemente due Comuni: Bastia Umbra e Gualdo Tadino.
Il Comune di Gualdo Tadino che si sviluppa nella valle tra Nocera Umbra e Fossato di Vico in un territorio al confine con la Regione Marche, risulta primo in classifica con il 26,7% seguito da Corciano (14,82%), Terni (12,62%) e Perugia (11,34%) per quanto concerne il rapporto tra superficie del territorio comunale e la quantità di suolo consumato. Mentre il Comune di Bastia Umbra è secondo solo a Perugia per quantità di suolo annuale netto consumato tra il 2020 e il 2021 con 11,08 ettari. Se proviamo a osservare da vicino queste due realtà partendo da Gualdo Tadino, il piano regolatore in vigore è stato approvato nel 2006 e modificato con successivi adeguamenti nel tempo.
In questo caso, le previsioni più importanti riguardano le zone produttive dislocate alle estremità opposte rispetto al centro della città in prossimità della statale SS3 che collega Foligno con Fossato di Vico dove è presente anche qui un’ulteriore area industriale presso la località di Osteria del Gatto. In questi due poli si concentra il principale carico urbanistico con nuove aree urbanizzate su cui si prevedono circa 200mila metri quadrati di superficie utile lorda in parte già realizzati. Si tratta di una previsione in un contesto connotato dalla presenza di grandi complessi dismessi come la fabbrica abbandonata dell’acqua Rocchetta in prossimità del centro storico di Gualdo Tadino e la ex Merloni a Gaifana al confine con Nocera Umbra.
Una dinamica che conferma una modalità simile a molte amministrazioni comunali in Italia, anche di limitata superficie, in cui ciascuno nel tempo ha previsto le “sue” zone industriali con una moltiplicazione insensata di volumetrie anziché concentrare la trasformazione in aree produttive attrezzate sovralocali nate dalla concertazione tra più enti locali attraverso una pianificazione integrata. Una delle ragioni per spiegare questo fenomeno risiede negli oneri di urbanizzazione da sempre fonte di sostentamento per gli enti locali e nell’assenza di modelli redistributivi dei benefici anche con gli altri Comuni limitrofi. Un meccanismo che privilegia la moltiplicazione competitiva anziché la cooperazione e l’efficienza delle scelte urbanistiche.
Bastia Umbria invece sta rinnovando recentemente la sua strumentazione urbanistica con nuove espansioni edilizie che continuano imperterrite nella progressiva saturazione degli spazi aperti fuori dalle aree urbanizzate. L’aspetto paradossale di tutto questo è la grande quantità di aree dismesse presenti nella cittadina umbra in cui è in corso un’intensa fase di de-industrializzazione con un sistema di poli produttivi da rigenerare con particolare riferimento all’area ex Franchi e Petrini in prossimità del centro storico della città.
A fronte di queste opportunità di recupero, il nuovo piano regolatore prevede un consumo di suolo di 46 ettari corrispondente a un’area grande circa il doppio dell’isola Maggiore nel Lago Trasimeno. Si tratta di una quantità rilevante che è stata già ridotta rispetto alla possibilità di ampliamento data dalla legge regionale e senza considerare le previsioni del precedente strumento urbanistico che verranno riconfermate. Per prima cosa, il caso di Bastia dimostra la palese inadeguatezza della normativa regionale che prevede percentuali astratte di potenziale consumo di suolo senza partire dalla realtà dei luoghi attraverso strumenti di pianificazione sovralocale. A questo si aggiunge una miopia generalizzata a livello locale nell’immaginare un processo di transizione ecologica e ambientale da tradurre nel proprio territorio attraverso il proprio strumento di pianificazione urbanistica. La questione non è esclusivamente quantitativa ma anche qualitativa in merito alla localizzazione delle nuove previsioni insediative che a Bastia Umbra si traduce in un significativo ampliamento della zona produttiva lungo l’asse infrastrutturale presso lo svincolo di Ospedalicchio Sud.
Questa previsione contribuisce potentemente alla saldatura insediativa tra Bastia e Collestrada ampliando un’area industriale con interventi di recente fattura particolarmente impattanti. In questa porzione di territorio, lo strumento urbanistico indica che potranno trovare sede attività produttive “esogene innovative” identificando l’area come “ecologicamente attrezzata di scala sovracomunale”. In realtà, la proposta è fuori il contesto urbanizzato in un’area in stretta connessione visiva con alcuni contesti paesaggistici di notevoli rilevo con il nucleo storico di Brufa e il suo delicato sistema collinare verso Torgiano.
Entrambi i casi osservati di Bastia Umbra e Gualdo Tadino mostrano come l’occupazione di suolo e la sua impermeabilizzazione avvenga principalmente nelle aree produttive lungo le arterie di comunicazione attraverso l’attuazione di strumenti urbanistici locali e una cornice legislativa in cui la difesa del suolo rappresenta semplicemente un principio senza esiti reali. Tutto questo sta avvenendo in una fase di profondo mutamento della struttura economica regionale in cui la moltiplicazione di zone produttive con decisi ampliamenti comportano incrementi del carico urbanistico sui sistemi urbani esistenti e la loro dotazione infrastrutturale con inevitabile aumento di traffico e inquinamento. Siamo sicuri che queste scelte urbanistiche contribuiscono allo sviluppo della nostra Regione? E ancora, che cosa faremo in futuro con questi volumi edilizi spesso connotati da una bassa qualità edilizia? Nell’incertezza di una Regione in cambiamento, i nostri piani regolatori non sembrano più in grado di immaginare un futuro che non prescinda dal consumare nuovo suolo.
Francesco Berni, PhD in Urbanistica, è esperto in rigenerazione urbana e innovazione sociale. Svolge attività di ricerca e sviluppo per enti pubblici e privati. Coordina il City Science Office di Reggio Emilia e la rete di associazioni per la realizzazione del Parco della Piana di Assisi.
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