Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Opinioni

La partita decisiva all’Onu contro l’evasione fiscale del “club” dei Paesi ricchi

Il cartello “Tax the rich” a una manifestazione per la giustizia fiscale a Londra. Il Regno Unito guida il Corporate tax haven index 2021 grazie alle giurisdizioni agevolate delle Isole vergini, delle Cayman, Bermuda e Jersey © shutterstock.com - Bradley Stearn

Dopo anni di mobilitazioni è stata presentata una bozza di risoluzione che potrebbe portare a una convenzione delle Nazioni Unite sulla tassazione internazionale, contro i paradisi fiscali. Uno strumento prezioso per superare le resistenze del “club dei ricchi”. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022

“Supponente, prepotente, arrogante e offensiva”. Nella settimana in cui la cronaca politica italiana è impazzita per gli epiteti rivolti da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni, a livello internazionale è accaduto un evento importantissimo in tema di giustizia fiscale globale e lotta all’evasione. Non sorprende che nel Paese dei condoni invocati dai ricchi all’avvio di ogni nuovo governo -a proposito di prepotenti e arroganti- non se ne sia parlato. Eppure dopo anni di mobilitazioni è stata presentata dinanzi al secondo comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quello che si occupa di finanza globale e questioni economiche, una bozza di risoluzione che potrebbe portare, da qui a poco tempo, alla redazione di una convenzione Onu dedicata proprio alla tassazione internazionale.

Per Tax Justice Network (Tjn), preziosa rete indipendente che si occupa di equità fiscale, si tratterebbe di uno strumento in grado davvero di “ridurre le possibilità di abusi fiscali da parte di società multinazionali e individui facoltosi”, segnando così il più grande “cambiamento delle regole fiscali internazionali da un secolo a questa parte”. La bozza di risoluzione è lunga tre pagine scarse, una sorta di scintilla che però riesce a sprigionare una luce forte. Constata infatti “l’effetto corrosivo che l’elusione e l’evasione fiscale hanno sulla fiducia, sul patto sociale, sull’integrità finanziaria, sullo Stato di diritto e sullo sviluppo sostenibile”, riconosce “la necessità che tutti i Paesi collaborino per eliminare l’evasione fiscale, l’erosione della base imponibile e il trasferimento dei profitti” e s’impegna a “garantire che tutti i contribuenti, comprese le società multinazionali, paghino le tasse ai governi dei Paesi in cui si svolge l’attività economica e si crea valore, in conformità alle leggi e alle politiche nazionali e internazionali”.

Non si limita a questo ma dice esplicitamente che l’adozione di una convenzione internazionale “efficace e inclusiva” sulla cooperazione fiscale internazionale è ormai “necessaria e opportuna” e che l’elaborazione del testo dovrà tenersi presso il Palazzo di vetro. Il passaggio è storico. “In passato le proposte di stabilire regole nell’ambito delle Nazioni Unite, che sono inclusive a livello globale, sono state bloccate dai Paesi più ricchi e dalle ex potenze imperiali che hanno sempre preferito mantenere il processo decisionale all’interno del proprio organismo, ovvero l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che ha ricoperto questo ruolo per decenni”, ricorda Tax Justice Network.

Peccato che l’Ocse, cioè il “club dei ricchi”, sia rimasta impantanata in un processo di riforma delle norme sull’imposta sulle società iniziato nel 2013 e che sembra sempre più improbabile possa portare a una soluzione concreta. L’inghippo è voluto: come ricorda Tjn, sono i Paesi ricchi a guidare l’elenco dei paradisi fiscali che garantiscono anonimi e agevolati rifugi a beneficio dei singoli (classificati nel Financial secrecy index) e delle imprese (Corporate tax haven index). Stati Uniti, Svizzera, Singapore, Regno Unito, Olanda, Lussemburgo, Hong Kong, per citare i primi.

“Questo ha lasciato i Paesi di tutto il mondo esposti al dilagante abuso fiscale globale da parte di società multinazionali e dei più ricchi, che secondo le nostre stime costa ai Paesi qualcosa come 483 miliardi di dollari di mancate entrate all’anno”. L’Africa da sola perde ogni anno quasi 89 miliardi di dollari per via di flussi finanziari illeciti, pari al 3,7% del Pil del continente, cioè più di quanto riceve in aiuti allo “sviluppo”.

L’inflazione globale galoppante e l’aggravarsi ulteriore delle disuguaglianze stanno mettendo inoltre a dura prova i bilanci pubblici. Spostare dalla sede Ocse a quella Onu la discussione cancellerebbe per Tax Justice quella “morsa che le ex potenze coloniali hanno continuato a esercitare sulle norme fiscali globali dopo la dissoluzione dei loro imperi”. L’appoggio cresce. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha espresso il suo sostegno ai negoziati per una convenzione. Qualcosa si muove, là fuori.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati