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Finanza / Opinioni

La nuova Legge di Bilancio è diversa da come la presenta il Governo Meloni

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti © governo.it

Dal presunto valore di 30 miliardi di euro della manovra al “contributo” chiesto a banche e assicurazioni che non scalfisce gli extra-profitti stellari di questi anni (e fa felici i principali fondi azionisti, tipo BlackRock). Come stanno le cose. E perché c’è una somiglianza non banale con la linea Monti-Letta-Draghi. Mentre previdenza e sanità scivolano sempre di più verso il privato. L’analisi di Alessandro Volpi

La Legge di Bilancio approvata del Consiglio dei ministri il 15 ottobre presenta alcuni aspetti che sono stati forse trascurati dalla maggior parte delle prime analisi, certamente condizionate dalla scarsa chiarezza sui numeri contenuti nel documento.

Il provvedimento è stato raccontato infatti come un insieme di misure del valore complessivo di 30 miliardi di euro. In realtà si tratta di 20 perché 10 miliardi devono essere destinati alla riduzione dello 0,5% del deficit, secondo quanto previsto dal folle Patto di stabilità riformulato di recente della Commissione europea.

Inoltre i mancati acquisti di titoli del debito pubblico italiano -che, è bene sottolinearlo, garantisce la copertura alla “Manovra” per circa otto miliardi di euro- da parte della Banca centrale europea (Bce) fanno salire il conto interessi complessivo pagato dal Tesoro di una decina di miliardi.

In altre parole, questa Europa costa circa 20 miliardi, buttati via nel delirio della austerità. Peraltro, in tale ottica, può essere utile ricordare che la Commissione europea ha collocato, nell’ultima asta, Eurobond per 11 miliardi di euro, ricevendo un’offerta 166 volte maggiore. Dunque, un grande successo, peraltro con un tasso d’interesse lordo compreso fra il 2,5% e il 3,2% a seconda delle scadenze.

È evidente quindi che esiste una platea di possibili compratori di un debito europeo che potrebbe servire ad alimentare le spese di investimento dei sistemi di welfare e a ridurre il fabbisogno di risorse da acquisire con l’emissione di debiti “nazionali” a tassi decisamente più alti.

La narrazione in merito alla Legge di Bilancio, poi, è stata tutt’altro che chiara sulla questione del “contributo” delle banche e delle assicurazioni. Il ministro Antonio Tajani, fermo avversario di ogni ipotesi di imposta sugli extra-profitti, ha annunciato un gettito da parte delle banche nella manovra stimabile in tre o quattro miliardi, spalmati su due anni; un contributo rivendicato con orgoglio dalla presidente Meloni, che si è quantificato per il 2025, tra banche e assicurazioni, in 1,75 miliardi di euro.

Il plenipotenziario ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è spinto a definire questo “sforzo” nei termini del vero e proprio “sacrifico”. Di nuovo, in nome della chiarezza, non si tratta affatto di un’imposta più pesante sui profitti e neppure di un prelievo una tantum, ma solo di una anticipazione su future imposte, le cosiddette imposte differite attive, che le stesse banche recupereranno in pieno senza alcun aggravio.

Quindi i 100 miliardi di euro di profitti, accumulati dagli istituti di credito in due anni, e in larga parte distribuiti agli azionisti, ancora una volta non saranno toccati e, anzi, alle banche sono stati indirizzati espliciti ringraziamenti dal governo per la loro “collaborazione”.

Del resto, dopo l’incontro con Larry Fink, amminstratore delegato del fondo statunitense BlackRock, è difficile immaginare un’azione della presidente Meloni contro uno dei principali azionisti delle banche italiane, al quale è stato, assai probabilmente, richiesto di partecipare all’acquisto di partite rilevanti del debito pubblico italiano.

In materia di tasse, poi, questa Legge di Bilancio è coerente con quanto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato e messo in essere a più riprese: condono fiscale tombale per gli evasori per il periodo 2018-2022, riduzione delle aliquote in direzione della flat-tax, autonomia differenziata a vantaggio delle fasce di reddito alte delle Regioni più ricche, alleggerimento dell’imposizione sulle rendite finanziarie attraverso il “Ddl Capitali”.

Naturalmente tale avversione si accompagna a una massiccia opera di privatizzazioni -per oltre 20 miliardi di euro-, e allo spostamento verso il settore privato della previdenza attraverso la crescente defiscalizzazione della previdenza complementare. Con conseguente vassallaggio verso i grandi fondi, padroni della previdenza e della sanità private, e a nuovi tagli nel settore pubblico.

Appare evidente, da questo punto di vista, una somiglianza non banale, in una sorta di continuità, con la linea Monti-Letta-Draghi che sottopone i conti pubblici italiani alla dura, e inutile, cura europea, che accetta l’austerità, con una spending review, di nuovo lineare, destinata a tagliare il 5% a tutti i ministeri, fatta eccezione per la Difesa e la Sanità, dove la cifra stanziata nel 2025 di 2,3 miliardi di euro è in larghissima parte destinata a consentire la defiscalizzazione delle retribuzioni del personale, e che celebra le privatizzazioni.

Con una considerazione finale: la tanto celebrata difesa del ceto medio viene in larga misura cancellata dalla soppressione di numerose deduzioni e detrazioni fiscali, rimodulate per ridurne sensibilmente il perimetro.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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