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“La nave c’è”: ResQ è pronta alla ricerca e soccorso nel Mediterraneo

A fine luglio 2021 la ResQ People lascerà il porto spagnolo di Burriana per provare a riempire il vuoto lasciato dalle autorità italiane ed europee nel soccorso dei naufraghi. “Un sogno realisticamente irrealizzabile che abbiamo raggiunto”, spiega Luciano Scalettari

Una nuova nave è pronta a svolgere attività di ricerca e soccorso nelle acque al largo del Mediterraneo. La ResQ People, a fine luglio 2021, lascerà il porto spagnolo di Burriana per provare a riempire, per quanto possibile, il vuoto lasciato dalle autorità italiane ed europee nel soccorso dei naufraghi. “È una soddisfazione enorme -spiega Luciano Scalettari, giornalista e presidente di ResQ-People Saving People-, un sogno che ritenevamo realisticamente irrealizzabile e che oggi abbiamo raggiunto. Un segno concreto che c’è una parte di Italia che non accetta che le persone vengano lasciare morire in mare”. 

La ResQ People è un’imbarcazione di 39 metri che ha già solcato le acque del Mediterraneo centrale con l’organizzazione Sea-Eye e il nome Alan Kurdi salvando 900 persone. Dal 30 luglio in poi sarà in mare battendo bandiera tedesca. “Resta ferma la volontà di avere bandiera italiana -chiarisce il presidente di ResQ- ma purtroppo i tempi per il cambio erano lunghi e abbiamo preferito salpare subito: non c’era tempo da perdere, l’estate è il momento in cui si parte, e si muore, di più. Siamo contenti di farlo su un’imbarcazione che ha già salvato tante vite nel Mediterraneo”. A bordo, per la prima missione, oltre al personale indispensabile alla navigazione ci saranno un medico e un’infermiera, sei soccorritori, di cui due mediatori culturali, più un logista che si occuperà di coordinare i servizi di assistenza dei naufraghi a bordo. 

L’inaugurazione è fissata per il 29 luglio 2021, a un anno di distanza esatto dalla conferenza stampa che presentava il progetto. Un anno ricco di sorprese e, soprattutto, partecipazione. “C’è una parte di Italia -continua Scatellari- che non accetta che alcune persone non vengano considerate come tali e siano lasciate morire in mare. Persone impegnate in attività magari non strettamente connesse alla tematica dei migranti, in organizzazioni che si occupano di antimafia, tutela dell’ambiente ma che si sentono toccate nel profondo da questa realtà che è estrema. Una politica che ha lasciato morire in mare, da gennaio 2021 ad oggi, più di 800 persone. E che ha permesso che oltre 15mila venissero riportate nei centri di detenzione libici”.

In un anno sono stati raccolti 400mila euro, ovvero i fondi necessari per cominciare con la prima missione. I soci di ResQ sono attualmente 1.300 a cui si aggiungono quasi 4mila donatori e 80 associazioni di piccole e medie dimensioni, con l’aiuto di alcune organizzazioni più grandi. Ne sono un esempio l’Unione Buddhista, che ha donato 100mila euro, e la rete della diaspora eritrea che con grande impegno si è attivata per raccogliere fondi per sostenere la causa. “Come potete immaginare -spiega Lia Manzella, anima di ResQ People- i costi che dobbiamo sostenere per ogni missione sono elevati: dobbiamo acquistare farmaci, coperte, cibo. Dobbiamo acquistare materiale necessario per i più piccoli, come ad esempio giochi, latte in polvere, biberon e tutto quello che serve per mettere in sicurezza le persone che salveremo. Per questo motivo è importante che le persone continuino a sostenere il progetto di ResQ, ciascuno secondo ciò che ritiene”.

“ResQ è nata per un motivo molto semplice -racconta il presidente onorario di ResQ ed ex magistrato Gherardo Colombo- chiunque di noi, se stesse rischiando la vita in mezzo al mare vorrebbe una mano tesa in soccorso. Nasce per salvare bambini, donne e uomini, per praticare diritti e tutelare la dignità umana. Siamo felici di poter salpare presto e fare la nostra parte nel Mediterraneo centrale: soccorrere è un obbligo, essere soccorsi un diritto”.

La ResQ raggiungerà al largo del Mediterraneo la nave Astral, di Open Arms, che nella mattina di lunedì 19 luglio 2021 ha lasciato il porto di Badalona, in Catalogna, per la missione numero 83 nel Mediterraneo centrale. “Sono solo due le navi di organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo nonostante siano otto in totale -sottolinea Scalettari-. Significa che, anche considerando i tempi particolarmente lunghi per il ripristino tra una missione, almeno quattro dovrebbero essere sempre presenti”. Non è così. Negli ultimi tre anni le autorità italiane hanno bloccato in porto per 13 volte le Ong impegnate nel soccorso in mare attraverso fermi amministrativi. Come spiegato su Altreconomia, le motivazioni di questi fermi sono pretestuose perché non esiste una chiara normativa di riferimento e le inadempienze contestate di volta in volta agli equipaggi delle navi non hanno una base giuridica chiara. “Siamo pronti per cercare di convincere le autorità -sottolinea Scattelari- della bontà delle nostre missioni. Missioni che, l’abbiamo detto fin dall’inizio, speriamo che, il prima possibile, non siano più necessarie. Non è compito delle navi umanitarie soccorrere le persone ma dei governi che oggi scelgono di non farlo”.

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