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Ambiente / Intervista

La moda della “natura in città” e l’ombra di nuove diseguaglianze

La professoressa Isabelle Anguelovski studia la green gentrification: i progetti “ambientali” che mirano ad aumentare le aree verdi nel contesto cittadino rischiano infatti di diventare strumenti per accelerare speculazioni immobiliari

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022
Un rendering del progetto di riqualificazione di East Boston © dezeen.com

Dalla seconda metà degli anni Novanta la città Boston, nel Nord-Est degli Stati Uniti, ha iniziato a investire nella realizzazione di parchi e aree verdi in diverse aree affacciate sull’oceano. Tra le zone della città interessate c’è anche East Boston, storico quartiere operaio, abitato principalmente dalle comunità latina e italiana, che per decenni è stato pesantemente segnato dall’attività industriale sul suo lungomare e nell’area più vicina all’aeroporto internazionale Logan. Più recentemente questo sforzo “verde” è stato guidato dalla città con una serie di interventi volti a mitigare gli impatti del cambiamento climatico, tra cui il “Resilient Boston harbor” del 2018: un progetto che prevede la realizzazione di terrapieni rialzati, greenways, parchi e litorali “resilienti” per proteggere 75 chilometri di lungomare da inondazioni, erosione delle coste e innalzamento del livello del mare.

Interventi verdi e certamente utili per la città, ma che stanno accelerando e peggiorando il processo di gentrificazione del quartiere: con la costruzione di edifici di lusso e una maggiore attrattività dell’area per nuovi investimenti immobiliari, i prezzi delle abitazioni stanno diventando insostenibili per coloro che oggi ci abitano. “Nonostante la potenzialità di generare enormi benefici sociali e sanitari per i residenti ‘storici’, alcuni di questi nuovi progetti verdi sono diventati strumenti per accelerare gli investimenti immobiliari di lusso, il che ha suscitato preoccupazione e critiche da parte dei leader della comunità”, spiega ad Altreconomia Isabelle Anguelovski, direttrice del Barcelona Laboratory for urban environmental justice and sustainability (Bcnuej) dell’Universitat autonoma de Barcelona. 

Professoressa Anguelovski, quello di Boston rappresenta un esempio lampante di quello che lei definisce green gentrification. Può spiegarci meglio questo fenomeno?
IA Quando parliamo di green gentrification ci riferiamo a progetti e a infrastrutture realizzati con l’obiettivo di riportare la natura in città e che sono associati alla creazione di nuove diseguaglianze sociali. Questo avviene perché le nuove aree verdi aumentano le opportunità di investimento e fanno crescere i prezzi delle proprietà. Se da un lato questi progetti portano benefici ecologici e per la salute, dall’altro producono anche un valore economico soprattutto per le élite locali e globali. Di fronte a questi cambiamenti alcuni abitanti delle zone interessate continueranno a viverci e ne avranno dei benefici: il verde, ad esempio, permette di abbassare la temperatura durante i mesi estivi e contrastare le isole di calore. Mentre altri, in particolare gli appartenenti ai ceti popolari e ai gruppi etnici marginalizzati, saranno costretti ad andarsene verso zone più “grigie” della città, spesso più economiche, dove non hanno accesso a infrastrutture che li possano proteggere dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Anche gli interventi di adattamento alla crisi climatica possono innescare “gentrificazione verde”?
IA Molte città stanno lavorando per creare nuovi parchi, aumentare il numero di alberi o riqualificare i waterfront per affrontare meglio le isole di calore, la gestione delle acque piovane o altri eventi estremi provocati dal cambiamento climatico. Sono strategie di adattamento che permettono anche di ridurre le emissioni di carbonio e spesso hanno un costo minore rispetto ad altre infrastrutture. Interventi da cui possono trarre vantaggio anche gli investitori del settore immobiliare di lusso: pubblicizzare un palazzo immerso nel verde è molto più efficace rispetto a un edificio costruito a ridosso di una diga. È inoltre possibile ottenere condizioni di finanziamento migliori se si costruisce in un’area più sicura e adattata al clima, che dispone delle infrastrutture giuste per proteggere i nuovi residenti e la casa dagli impatti climatici. In questo senso, i due fenomeni sono correlati.

Anguelovski dirige il “Barcelona Laboratory for urban environmental justice and sustainability” che sviluppa ricerche sulla giustizia e la sostenibilità ambientale partendo dalla pianificazione urbana © Bcnuej

Ogni volta che un quartiere povero o marginale diventa più verde finisce sempre nelle mire di un progetto di speculazione e gentrificazione con l’espulsione degli abitanti?
IA No, per fortuna non è automatico. Lo scorso luglio abbiamo pubblicato sulla rivista Nature lo studio “Green gentrification in European and North American cities” in cui abbiamo osservato che questa tendenza si è verificata in 17 città sulle 28 del nostro campione. Il fenomeno, quindi, esiste e osserviamo i luoghi in cui tende a manifestarsi con maggiore continuità nel tempo, come ad esempio a Seattle o Atlanta negli Stati Uniti, o in luoghi con una forte identità verde come Vancouver o Copenhagen. In Europa, lo abbiamo registrato a Barcellona dove la gentrificazione era meno evidente negli anni Duemila ma con i nuovi interventi “green” avviati attorno al 2010 è aumentata in maniera significativa. Mentre a Nantes, in Francia, il verde ha avuto un ruolo nella gentrificazione solo nell’ultimo decennio. Ci sono poi città in cui questo non è avvenuto: a Vienna, sono stati messi in atto interventi di edilizia sociali e forme di tutela per le fasce di popolazione più marginalizzate che hanno permesso loro di restare a vivere nei loro quartieri.

Quali tipologie di intervento possono essere messe in atto per evitare che le persone siano costrette a lasciare le proprie case?
IA Ad aprile 2021 abbiamo pubblicato un rapporto dal titolo “Policy and planning tools for urban justice” in cui sosteniamo l’importanza di due diverse tipologie di intervento. Da una parte ci sono quelli che potremmo definire come anti-gentrification che riguardano la pianificazione urbanistica o la tassazione. Ad esempio la riduzione delle tasse nei quartieri in via di sviluppo per proteggere i residenti a reddito medio-basso, come ha fatto Filadelfia. Oppure meccanismi di pianificazione che obbligano i costruttori a costruire il 15-20% o addirittura il 55% delle unità abitative come alloggi sociali all’interno di complessi a prezzo di mercato, in modo da evitare lo sfratto o il trasferimento dei residenti meno abbienti, ottenendo al contempo risorse per gli alloggi popolari. Inoltre troviamo città che hanno imposto tasse sugli appartamenti vuoti, come ad esempio Vancouver, in Canada, per prevenire la speculazione immobiliare. Un altro esempio di interventi sono quelli di inclusive greening che consentono un processo di progettazione degli spazi verdi più inclusivo o la protezione degli orti urbani e degli appezzamenti che i residenti coltivano come orti comunitari. Gli spazi pubblici e le aree verdi possono essere utilizzati anche per interventi “riparativi” o anti-trauma nelle comunità, come nei quartieri con alti livelli di segregazione o sfratto, rendendoli luoghi di guarigione e rifugio.

”Le aree verdi possono essere utilizzate anche per interventi ‘riparativi’ nei quartieri con alti livelli di segregazione o sfratto rendendoli luoghi di guarigione e rifugio”

Quali sono, a suo avviso, alcuni esempi di green gentrification particolarmente negativi?
IA Penso che uno di questo sia il “Bosco verticale” di Milano. Nonostante gli oltre 2.500 nuovi alberi e piante che adornano le facciate e i balconi di due grattacieli, questo nuovo verde è solo un’illusione perché dietro c’è l’estrazione e l’utilizzo di enormi quantità di materiali per la loro costruzione. Inoltre, le unità immobiliari sono tutt’altro che accessibili alla classe media milanese -essendo vendute a prezzi superiori al milione di euro- per non parlare dei ceti popolari. Se invece guardiamo agli Stati Uniti c’è “Atlanta Beltline”: un percorso circolare che corre intorno alla città seguendo la linea di un vecchio tracciato ferroviario trasformato in un’area verde con percorsi a piedi e in bicicletta. Lungo la Beltline sono stati costruiti complessi residenziali di lusso che hanno fatto lievitare i prezzi delle abitazioni nelle aree circostanti, in particolare nei quartieri abitati da persone di colore, rendendo impossibile per loro restare nelle case e nelle strade dove avevano vissuto per decenni.

The Atlanta BeltLine

Che cosa succede alle persone che sono costrette a lasciare il quartiere in cui vivevano a causa di questi processi?
IA Abbiamo osservato diverse ricadute sulla loro salute, sia fisica sia mentale, a causa della disgregazione delle reti di relazioni, dello stress e della depressione. Spesso queste persone sono costrette a trasferirsi in quartieri periferici, lontani da quelli in cui hanno vissuto per anni e dal posto di lavoro: questo è particolarmente vero per gli Stati Uniti dove, tra l’altro, sono ancora più dipendenti dall’automobile, dal momento che le reti di trasporto pubblico sono insufficienti. A questo si aggiunge un profondo senso di lontananza e solitudine, che colpisce soprattutto le minoranze etniche che hanno un forte senso di coesione nei quartieri in cui vivono. L’ansia e le difficoltà vissute dalle famiglie che non riescono a pagare gli affitti e sono a rischio sfratto si riflettono sui bambini e sui ragazzi, che spesso vivono un profondo senso di angoscia. Nella nostra ricerca, alcune scuole e associazioni giovanili riferiscono addirittura un senso di profondo lutto e perdita per i bambini costretti a lasciare le proprie case. 

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