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La lotta alle gang in El Salvador trascina il Paese verso la dittatura

Tra il 25 e il 27 marzo 2022 le gang hanno ucciso 87 persone non legate ai gruppi criminali. Per rispondere a questa violenza, il governo di Bukele ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale © Mahé Elipe

Le misure adottate dal presidente Bukele per fermare la ripresa delle violenze da parte dei gruppi criminali colpiscono indiscriminatamente tutti i cittadini. Detenzioni arbitrarie, sparizioni, torture: la tenuta democratica è a rischio

Tratto da Altreconomia 251 — Settembre 2022

Da fine marzo il governo di El Salvador ha dichiarato guerra aperta alla Mara Salvatrucha 13 e al Barrio 18, gang nate dopo il conflitto armato salvadoregno (1980-1992) e in seguito alla deportazione, alla fine degli anni Novanta, di membri di gruppi criminali dagli Stati Uniti a El Salvador. Per anni la più piccola nazione centroamericana ha registrato il tasso di omicidi più alto del mondo. Con l’arrivo di Nayib Bukele alla presidenza, nel 2019, il numero di morti violente è diminuito notevolmente grazie a un patto non ufficiale che il governo ha raggiunto con le gang, assicurando benefici speciali in cambio di una riduzione della violenza. Questo accordo è però fallito. A maggio, leader della Mara Salvatrucha 13 hanno rivelato al media digitale salvadoregno El Faro che il governo non avrebbe mantenuto le promesse fatte. Per questo il gruppo criminale ha deciso di fare pressione sull’esecutivo, uccidendo tra il 25 e il 27 marzo 87 persone non vincolate alle gang.

In risposta all’escalation di violenza, il governo di Bukele ha preso provvedimenti drastici, dichiarando il 27 marzo uno stato d’emergenza nazionale. Questa misura ha sospeso alcune garanzie costituzionali come il diritto alla difesa legale e quello alla libertà di riunione e associazione. Ha limitato inoltre il diritto a essere informati del motivo dell’arresto e permesso di prolungare la durata della detenzione da 72 ore a 15 giorni. Oltre allo stato d’emergenza l’Assemblea legislativa ha approvato anche una serie di riforme per inasprire le pene contro le gang; una di queste prevede una condanna fino a 15 anni di reclusione per chi condivide dichiarazioni o messaggi presumibilmente provenienti dalle suddette bande criminali.

Organizzazioni internazionali come Human Rights Watch hanno avvertito che questa legge bavaglio -estremamente vaga e incompatibile con i trattati internazionali che tutelano la libertà di espressione e di associazione- avrebbe generato una censura asfissiante. Dopo l’approvazione della “riforma”, le intimidazioni nei confronti di giornalisti e accademici non allineati al governo si sono infatti intensificate. Uno dei bersagli è stato Juan José Martínez d’Aubuisson, antropologo e giornalista specializzato nello studio delle gang centroamericane, fenomeno che ha trattato in molte pubblicazioni, tra cui “El Niño de Hollywood. Una storia personale della gang più pericolosa al mondo” (pubblicato in Italia da Milieu, 2021). 

“Mi rattrista dirlo ma quella salvadoregna è una società che si trova a proprio agio con l’autoritarismo, con la violenza, con figure tiranniche e militari”, spiega ad Altreconomia l’antropologo che, in seguito a molteplici rappresaglie, ha scelto di lasciare El Salvador. L’attacco principale è arrivato direttamente da Bukele che, con un tweet dell’11 aprile, ha definito Martínez d’Aubuisson “spazzatura” e insinuato che con il suo lavoro di ricerca difende e sostiene le gang. Il messaggio del presidente ha scatenato un’ondata di commenti d’odio -anche da parte di diversi funzionari pubblici- e di minacce di morte nei confronti dell’antropologo e di alcune delle sue fonti, costrette a loro volta ad abbandonare la propria casa. “Bukele ha operato una trasformazione antidemocratica molto profonda -continua Martínez d’Aubuisson-. Ha distrutto un sistema istituzionale che, pur essendo tutt’altro che perfetto, almeno si basava su una separazione dei poteri, un’alternanza politica e istituzioni più o meno efficienti che garantivano i diritti umani”.

Dalla sua ascesa al potere Bukele ha fatto sfoggio di misure autoritarie, occupando militarmente l’Assemblea legislativa e cooptando a suo favore la magistratura. Il presidente millennial -con un passato da imprenditore nel mondo del marketing e della pubblicità- ha anche saputo costruire un efficiente apparato mediatico attraverso cui rendere popolare al massimo se stesso come un leader moderno e cool. Non sorprende quindi che lo stato d’emergenza sia stato prorogato per ben tre volte, al luglio 2022, con un ampio consenso popolare. A poco sono servite le critiche di Amnesty International la cui direttrice per le Americhe, Erika Guevara Rosas, ha affermato che le autorità salvadoregne stanno sottomettendo la popolazione a una tragedia invece di costruire risposte efficaci alla violenza delle gang. Con lo stato d’emergenza, l’accentramento del potere perseguito da Bukele ha prodotto un cortocircuito.

Come fa notare Martínez d’Aubuisson, i parenti delle persone arrestate sono intrappolati in una istituzionalità disfunzionale: “Quando vanno dalla polizia per reclamare i loro diritti vengono repressi con violenza. Quindi si rivolgono alla Procura per la difesa dei diritti umani ma non sono ricevuti, e allora vogliono sporgere denuncia alla Procura della Repubblica, ma non sono accolti perché anche qui regna il bukelismo. Decidono di cercare i media, ma la maggior parte dei giornalisti ha lasciato il Paese”. Secondo l’antropologo, per il momento, questa rapida erosione dello Stato di diritto non sembra preoccupare troppo la società civile. Questo deriverebbe dall’apartheid socio-economico a cui è stata condannata per anni: “Mantenuta al margine di ogni dinamica politica, ascoltata solo se diventa una massa violenta, la popolazione non ha mai percepito la libertà di stampa o la democrazia come importanti. In questo senso, si tratta di una popolazione facile da manipolare”.

Secondo dati della Polizia nazionale civile, dall’inizio dello stato d’emergenza all’8 luglio sono state arrestate circa 45mila persone. Mentre il governo sostiene che tutti i detenuti siano terroristi, ovvero membri delle gang, migliaia di persone rivendicano l’innocenza dei loro familiari. Lo scorso 23 giugno diverse organizzazioni salvadoregne e internazionali hanno presentato alla Commissione interamericana per i diritti umani un resoconto degli abusi commessi finora: detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate a breve termine, ma anche torture e morti nelle carceri.

Bukele ha annunciato il 21 giugno la costruzione di una nuova prigione dal nome altisonante, “Centro de confinamiento del terrorismo”, e ripetuto che grazie allo stato d’emergenza il suo governo è riuscito a portare “pace, tranquillità e libertà di movimento alla popolazione” oltre a ridurre al minimo storico il tasso di omicidi. “Tutte le strategie del governo ruotano attorno alla costruzione di una sorta di racconto in cui Bukele, che è un giovane allegro e coraggioso, sconfigge le vecchie strutture della politica salvadoregna e risolve il problema della povertà, della violenza, della corruzione in modo semplice e, soprattutto, molto allegro -osserva Martínez d’Aubuisson-. In questa narrativa, che credo sia inutile dire che è menzognera, Bukele è fondamentalmente l’eroe che si frappone tra il popolo e l’abisso. E questo abisso è abitato da tutte quelle entità che lo ostacolano: i partiti politici corrotti del passato, alcune università, i giornalisti indipendenti, le gang. Sono tutti un unico nemico”. 

Secondo dati della Polizia nazionale civile salvadoregna, dall’inizio dello stato di emergenza all’8 luglio sono state arrestate circa 45mila persone. Mentre il governo sostiene che tutti i detenuti siano terroristi, ovvero membri delle gang, migliaia di persone rivendicano l’innocenza dei loro familiari © Mahé Elipe

“Bukele è arrivato al potere perché ha mantenuto una narrativa solida ed efficace, per questo chiunque fa ricerca e pubblica informazioni veritiere rappresenta un pericolo terribile -continua l’esperto-. Il governo cerca costantemente di convincere la popolazione a non leggere quello che scriviamo e non smette di ripetere che siamo criminali, che lavoriamo per i partiti corrotti che Bukele ha sconfitto. Poco importa il fatto che abbiamo fatto ricerche anche su quei governi e ci abbiano minacciato a loro volta”. L’esperienza fallita dei partiti storici salvadoregni -Arena per la destra e l’ex-guerriglia rappresentata dal Frente Farabundo martí para la liberación nacional (Fmln) per la sinistra- ha spianato la strada a un leader carismatico come Bukele.

Con l’obiettivo di marcare distanza dai vecchi partiti, il presidente non perde occasione per screditare il passato. Attraverso un tweet il 16 gennaio 2021 Bukele ha cancellato la commemorazione degli Accordi di pace firmati nel 1992. Posero fine a 12 anni di guerra civile. Al suo posto ha stabilito una depoliticizzata “Giornata per le vittime”, facendo a brandelli i risultati ottenuti con il patto: la riforma del sistema giudiziario, la creazione di istituzioni per i diritti umani e lo scioglimento di alcune forze di sicurezza. Oggi, alcune pratiche dello stato d’emergenza, come l’intervento massiccio dell’esercito nella gestione della sicurezza, stanno seminando terrore in molte comunità salvadoregne che durante la guerra sono state brutalmente attaccate dalle forze armate. Anche questo, però, non sembra preoccupare particolarmente Bukele. “La sua scommessa, a livello narrativo, è quella di rifondare El Salvador -avverte Martínez d’Aubuisson-. Tutto ciò che appartiene al passato fa parte di qualcosa di corrotto che dobbiamo dimenticare: se il presidente potesse riscrivere i libri di storia, El Salvador sarebbe stato fondato il giorno in cui è salito al potere”. 

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