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La libera scelta dell’Eluana

Dopo l’incidente del ‘92 ci sono voluti 6.233 giorni perché la giovane potesse essere lasciata morire. Intervista a Beppino Englaro: "Il ceto politico non affronta un tema divisivo. Eluana ha dato una svolta di civiltà al Paese” 

Tratto da Altreconomia 178 — Gennaio 2016
Beppino Englaro - © Duccio Facchini

“Sono nato durante la guerra, in Carnia, in Friuli, nella miseria di un paesino di montagna. Da piccoli si andava a recuperare le patate che rimanevano nei campi, si strappavano pezzetti di terra per piantare fagioli e granoturco. Si cresceva nel nulla, tra i mulini, inventandosi qualcosa per giocare, per essere vivo. E si doveva lavorare parecchio per sopravvivere, sognando il greto del fiume dove fermare l’acqua d’estate con le frasche. Tutto questo temprava ad affrontare asprezze, anche se non così tragiche come quella che abbiamo patito con Eluana. Prova a negare la libertà di assumersi le proprie responsabilità a un carnico della mia generazione, impedirgli di bastare a se stesso, di chieder niente agli altri: diventerà una belva”. Dallo scorso dicembre, Beppino Englaro è l’unico rimasto in piedi del nucleo familiare un tempo composto da Eluana, sua figlia, rimasta intrappolata per 6.233 giorni, e Saturna, sua moglie, ammalatasi poco tempo dopo l’incidente della giovane, del 18 gennaio 1992.

In più di un’occasione hai affermato che Eluana è morta il giorno dell’incidente, nel gennaio 1992, e non il 9 febbraio 2009. Perché?
Perché è dal giorno dell’incidente che noi non abbiamo potuto percepire più niente dell’Eluana (sic), intrattenere cioè alcuna relazione, lo zero assoluto. Da subito i medici ci dissero ‘non sappiamo se riusciremo a strapparla alla morte’, per poi aggiungere la celebre frase ‘non possiamo non curare’. Eravamo consapevoli di alcuni rischi della rianimazione, ed è per questo che volevamo dialogare. E questo ci fu negato. Da lì è nato l’inghippo.

Ovvero l’inizio.
Quando siamo capaci di intendere e di volere si dialoga con il medico, e l’ultima parola spetta alla persona. Non riuscivo a concepire, fin dal primo colloquio, che se la persona non è più capace di intendere e di volere questo diritto venisse meno. Tutto lì. Dovevano spiegarmi perché la Costituzione italiana, che non lascia discriminare le persone per nessuna ragione, non avesse valore. La partenza è stata lì, questa discriminazione ai danni dell’Eluana, che si era espressa, avendo le idee chiare riguardo queste cose. Noi eravamo in grado da subito di assumerci le nostre responsabilità, dialogando con i medici, e dire un ‘no grazie’ all’offerta terapeutica lasciando che la morte potesse accadere. Non si tratta di alcun ‘diritto di morire’ ma del sacrosanto diritto di essere lasciati morire. È una cosa banalissima, che ha richiesto però molto tempo. Mi piace citare Mandela: i cambiamenti culturali hanno i loro tempi. Lui è stato in galera 28 anni. Eluana, per rivendicare quel famoso ‘no grazie, lascia che la morte accada’, è stata intrappolata nei tempi che si conoscono, 6.233 giorni. È disarmante la semplicità di questa vicenda. Ripeto: noi eravamo in grado di accettare la tragedia di perdere una figlia. Ma non di accettare una tragedia nella tragedia.

I cambiamenti culturali hanno i loro tempi, dicevi.
All’epoca tutti, non solo i medici, mi dicevano ‘ma dove vivi, cosa doveva fare il medico secondo te? Non esiste il non curare’. Ecco secondo noi, secondo me, fin dall’inizio, il medico avrebbe dovuto dialogare e rispettare il volere dell’Eluana.

Nel 2014, il Consiglio di Stato ha stabilito che Regione Lombardia, negando ogni struttura sanitaria per il distacco del sondino che alimentava e idratava artificialmente Eluana, ha calpestato un diritto costituzionale.
Roberto Formigoni mi ha causato una situazione drammaticissima, un supplemento di devastazione a quella già patita per arrivare al riconoscimento della Cassazione nel 2007 e poi della Corte d’Appello di Milano nel 2008. Andrò fino in fondo anche qui, perché la decisione dei vertici della Regione Lombardia -nelle persone di Formigoni e di Carlo Lucchina (ex direttore generale della Direzione generale Sanità di Regione Lombardia, ndr)- è stata gravissima. Per me, umanamente, questi devono rispondere fino in fondo di quell’atto inaudito che hanno opposto a una cittadina di questa Regione. Manca solo questo passaggio alla chiusura del cerchio, e poi torneremo a quella che io chiamo la ‘fine dell’inizio’.

Non esistono grigi, quindi.
L’idea del rispetto della dignità e della libertà individuale era  profondamente radicata nel nucleo familiare formato da Eluana, Saturna e me. È per questo che non abbiamo atteso un istante o cercato di barcamenarci quando è avvenuto l’incidente. Siamo andati dritti, fin dal primo momento, e non siamo scesi a nessun tipo di compromesso, anche perché non ci è stato dato scampo. Eluana del resto conosceva solo il bianco e il nero nella sua vita, e in questi termini si era espressa chiaramente: “Se non posso essere quella che sono adesso, e c’è la possibilità che possa esser lasciata morire -diceva-, lasciatemi morire”.Perché avrei dovuto far ingoiare a mia figlia questo grigio quando lei sapeva assumersi le sue responsabilità? Perché trasformarla nella vittima sacrificale di questa cultura contraria alla nostra Costituzione? Questa domanda non si poteva nemmeno evocare in quel tempo. Era come se quell’interpellanza arrecasse un fastidio alla società. Non rimprovero nulla a chi ha curato Eluana, ma i medici avevano creato quella situazione ad Eluana e dunque i medici dovevano risolverla, rispondendone. Ne ho trovato uno disposto a farlo, con il tempo: Amato De Monte (l’anestesista che ha seguito la  donna negli ultimi giorni alla clinica La Quiete di Udine, ndr).

La vostra battaglia ha dimostrato che non c’è alcun “vuoto normativo”, ma il Parlamento non è stato ancora capace di regolamentare operativamente il testamento biologico.
Le sentenze l’hanno chiarito, non c’è alcun “vuoto”. Al limite ne esiste uno specifico, cioè di regole e procedure per le dichiarazioni e le modalità. Ma il principio dell’autodeterminazione è già sancito. Le persone sono molto più avanti del ceto politico, che non è in grado di affrontare il tema. La magistratura, invece, non poteva non rispondere. La politica ha soltanto promesso ma nel concreto non ha mai raggiunto nulla, rivendicando strumentalmente chissà quale “primato”, arrivando persino a sollevare, come ha fatto il Parlamento nel 2008-2009, il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale proprio sul caso di Eluana.

È lo specchio di una regressione culturale?
No. Quei cittadini che 24 anni fa mi dicevano ‘Cosa vuoi?’, oggi hanno capito. Su quelle posizioni sono rimasti arroccati solo alcuni politici, spaventati dal fatto che questo sia un tema “divisivo”.

Nella maggioranza parlamentare che si propone mediaticamente come “riformista” anche su questi temi ci sono Roberto Formigoni, Paola Binetti, Maurizio Sacconi. Persone che in veste istituzionale ostacolarono più volte il vostro percorso.
Non vedo alcuna maggioranza riformista su questi temi etici. Vedo solo immobilismo. Manca il coraggio civile dentro il Parlamento. Quanto ci vuole per fare una legge semplice che stabilisca che cosa si possa disporre e come, sempre in base alla Costituzione? È da 24 anni che li ho costretti ad affrontare il tema. Solo la magistratura ha risposto, dimostrando di non esser serva di nessun potere.

Sei rimasto in piedi.
Mi sono salvato perché ho avuto contro tutti tranne Beppino Englaro. E l’avrei avuto contro se non avessi fatto tutto quel che ho fatto, rispettando questo istinto naturale verso la libertà. E mia moglie avrebbe avuto contro se stessa se non fosse rimasta accanto a sua figlia, anche se ciò l’ha distrutta. Non potevo non dar voce a una figlia del genere, rispettandola così com’era, un “purosangue della libertà”, rispondendo alla mia coscienza personale.
È lei la protagonista. E chi ha dato una svolta di cultura e di civiltà a questo Paese è l’Eluana.
Chiuso l’argomento. —

Cronologia di un diritto negato
18 gennaio 1992, Lecco: Eluana Englaro, classe 1970, rimane coinvolta in un incidente stradale. Giunge in ospedale in coma, in gravi condizioni dovute a un trauma cranico-encefalico. Fin dal 1992, Eluana rimane in uno stato vegetativo permanente. I genitori, Saturna e Beppino, e gli amici, chiedono di rispettare il volere che la giovane aveva già manifestato in passato, dando seguito così al percorso del morire. Il 14 giugno 2000, Beppino Englaro si rivolge alle istituzioni, chiedendo di affrontare il tema della libertà di scelta in ambito medico. Il 16 ottobre 2007 la Cassazione dà ragione alla famiglia, riconoscendo diritto e libertà di scelta di Eluana.
Il 9 luglio 2008 la Corte di Appello di Milano riconosce il diritto di procedere al distacco del sondino naso-gastrico che alimenta la donna.
Il 3 settembre 2008 Regione Lombardia rifiuta di mettere a disposizione una struttura sanitaria.
Il 9 febbraio 2009 Eluana muore a Udine. Il 2 settembre 2014 il Consiglio di Stato respinge l’appello della Regione, confermando le ragioni della famiglia.

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